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domenica 27 luglio 2014


Notte di compleanno fra le sbarre


Lacrime che cadono in un mare di silenzio, in una notte nera/eterna/piena di solitudine/  Buon compleanno Carmelo/La tua ombra.

(Tratto da:L’Assassino dei Sogni” di Carmelo Musumeci, Giuseppe Ferraro. “Stampa Alternativa”  prezzo 1.00 euro ISBN 978-88-6222-417-8)




Era la notte del 27 luglio 2010 quando la mia ombra scriveva sul suo diario:
Oggi compio cinquantacinque anni. Nel cielo ci sono le stelle e la luna. Afferro le sbarre con le mani. Le stringo con tutta la mia forza e urlo al mio cuore che è l’ora dei limoni neri, del buio e del dolore.

Sono passati altri quattro anni. Ed eccomi ad affrontare un altro compleanno da uomo ombra. Un altro ancora. Stesso cielo. Stessa luna. Stessa pena. Stesse mani che stringono le sbarre. E la mia stessa ombra che continua a scrivere sullo stesso diario.

Un ergastolano non ha paura più del futuro o dei giorni a venire, perché non ha più nessun domani, giacchè vivrà solo del passato.
Molti uomini ombra non hanno nessuna speranza perché non si può sperare su un futuro che non si ha più.
E a volte credo che non ci sia rimasto più niente a parte la nostra ombra.
La pena dell’ergastolo è una condanna irragionevole, sotto ogni punto di vista.
Credo che condannare una persona a essere cattiva e colpevole per sempre non solo dovrebbe essere un peccato per qualsiasi religione, ma dovrebbe essere considerato un reato per qualsiasi paese civile.
Penso che la pena dell’ergastolo sia un assassinio senza spargimento di sangue, una pena che non cambia la persona in meglio, ma piuttosto finisce per distruggerla, perché non siamo neppure ammazzati, però siamo eliminati per sempre dalla società.

Fra pochi mesi la mia ombra entrerà nel ventiquattresimo anno ininterrotto di carcere, ma continua a gridare fra le sbarre:
-Datemi un fine pena, anche fra diecimila anni, ma datemelo, perché c’è davvero poca giustizia in una condanna che non finisce mai.



Carmelo Musumeci
Carcere di Padova 27 luglio 2014








La Belva della cella 154 - Capitolo quattordicesimo


By Carmelo Musumeci |
Carmelo Musumecicarmelomusumeci.com
Nel nuovo carcere pian piano Nino si riprese. E ricominciò a fare la vita di prima. Volle per forza la cella numero 154. E gliela diedero. Volle per forza il lavoro nella lavanderia del carcere. E glielo diedero.
L'Assassino dei Sogni per tenere la Belva buona pensò persino di concedergli di tenere un gatto in cella. Lui però non volle. Gli sarebbe sembrato di tradire la memoria del povero Silvestro. E Nino non tradiva gli amici. Neppure quelli morti. E non tradiva nemmeno i gatti. Neppure quelli morti.
La nuova cella era più brutta dell'altra prigione. In più, a differenza dell'altro carcere, c'era la battitura dell'inferriata. Due volte al giorno. E questo alla Belva gli dava sui nervi. La stanza era piccola, stretta e buia. Era appena tre metri quadrati. Solo nella sua cella, a parte il blindato, ci avevano messo un doppio cancello. E doppie sbarre alla finestra. In cella c'era poco, ma abbastanza per sopravvivere. C'era una branda murata nel pavimento. Un tavolino di ferro attaccato alla parete. Uno sgabello, pure di ferro, bullonato per terra. E come arredamento, c'era un armadietto al muro metallico.
Nel nuovo Assassino dei Sogni i giorni, le settimane e i mesi iniziarono a scorrere di nuovo senza vita. Senza desideri. Senza amore. Senza neppure l'affetto e la consolazione di Silvestro.
Un giorno Nino ricevette una lettera. Vide dalla busta che non veniva dall'Italia. Gli tremarono le mani. C'era il timbro degli Stati Uniti. Gli ballarono subito gli occhi. Fissò quella lettera per un lungo istante. Poi la Belva sorrise, ma di un sorriso triste. E si domandò chi mai poteva avergli scritto, ma sapeva già chi era. Il suo cuore, molto più sveglio di lui, lo aveva indovinato subito. Era una lettera d'Isabella.
Il suo cuore s'illuminò. Invece Nino si ombrò. La Belva non aveva mai capito perché lui la pensava in un certo modo. E il suo cuore in un altro. Era passata una vita. Eppure a Nino sembrava ieri quando quella puttana traditrice di Isabella l'aveva lasciato.
Alla Belva sembrò molto strano e assurdo che dopo tanti anni lei avesse trovato il coraggio di farsi viva. E gli aveva scritto. Per un attimo andò indietro nel tempo. E fece viaggiare la mente. Poi si distese sulla branda. Si mise comodo con un cuscino dietro la nuca. E iniziò a leggere.
Caro Nino, pensavi che mi fossi dimenticato di te?
Non ho mai potuto farlo.
E come avrei potuto riuscirci con tuo figlio davanti ai miei occhi?
De vi sapere che quando sono andata via aspettavo un figlio.
Aspettavo tuo figlio.
Nostro figlio.
Non ti ho detto nulla perché sapevo che non mi avresti lasciato andare via.
Ed io invece dovevo partire perché sognavo per nostro figlio una vita migliore della mia e della tua.
Volevo dargli il meglio della vita.
La Belva leggendo quelle prime righe rimase di sasso. Il suo volto diventò bianco come la farina. Le sue mani iniziarono a tremare. E la lettera tremò insieme alle sue mani. La posò sulla branda. Scosse il capo come se avesse ricevuto dei forti pugni in testa. E dei calci nel cuore. Poi si alzò dal letto. Borbottò qualcosa sottovoce. Si sdraiò per terra a petto in giù. E come faceva quando era incazzato, iniziò a fare cinquecento flessioni con la mano destra. Cinquecento flessioni con la mano sinistra. Dopo si alzò. Prese il fazzoletto. E se lo passò nella fronte per asciugarsi il sudore. Gli sembrò di essersi calmato, ma non era così. Era più agitato di prima. Si rimise nella branda. Emise un grosso respiro. E riprese la lettera in mano.
Nino, ci sono diversi modi per amare un uomo.
Ed io ti ho amato nel modo più doloroso per me e per te, ma l'ho fatto per dare un futuro migliore a Michael.
Così si chiama nostro figlio.
Credo che Michael fino adesso abbia avuto una buona vita.
È cresciuto sano, felice e sereno.
Ed è un bravo figlio.
Il migliore che avrei potuto sognare.
Il migliore che avremmo potuto sognare.
Il migliore che il buon Dio ci poteva dare.
Sono orgoglioso di lui.
S'è appena laureato in ingegneria chimica.
La Belva chiuse un attimo gli occhi. La mente gli prese fuoco. Il suo cuore si stava commovendo. E lui non voleva Non voleva che il suo cuore sgocciolasse di sangue come una fontana. Ricacciò indietro le lacrime. Dopo qualche istante riaprì gli occhi. E cominciò di nuovo a leggere.
Nino, l'uomo che ho sposato non l'ho ingannato.
Sapeva che non era il padre di nostro figlio.
Eppure l'ha amato ugualmente come se fosse suo figlio.
L'uomo che ho sposato se lo è portato via il cancro.
E anch'io adesso sto per morire dello stesso male.
Quando riceverai questa lettera, sarò sicuramente già morta.
Il cuore di Nino leggendo quelle parole iniziò a tremare. E capì che nella vita aveva sempre e solo amato Isabella. Lei gli aveva catturato il cuore senza ridarglielo più.
Nino, in tutti questi anni ho sempre sentito il tuo amore e penso che anche tu abbia trovato dentro di te il mio.
Non essere triste per me perché sono nata senza amore e ora invece muoio con amore: quello di nostro figlio e, penso, anche il tuo.
La Belva leggeva senza vedere niente perché era il suo cuore che leggeva per lui. A un tratto senza nessun preavviso quel vigliacco e debosciato del suo cuore iniziò a sgocciolare d'amore. Mentre il viso della Belva rimaneva duro come una roccia. E i suoi occhi asciutti come un deserto.
L'amore è la migliore delle avventure.
La più bella delle avventure.
E sono stato felice di averla vissuta con te.
Con te ho passato il periodo più vero e più bello della mia vita.
E dopo ho vissuto di quello che ricordavo di quel periodo.
Nino disperato riposò di nuovo la lettera. Sembrava stordito. Si passò una mano fra i capelli. Scese di nuovo dalla branda. E per calmarsi iniziò a fare un altro migliaio di flessioni. Questa volta con braccia e con piede d'appoggio. E con un piede e una mano sola. Dopo che si fu stancato, si rimise nella branda. E con impazienza riprese a leggere.
Nino, spesso chi ama soffre, ma è felice.
Invece chi non ama non soffre, ma è infelice.
In questi anni sei sempre stato parte di me.
Nino mentre leggeva la lettera di Isabella la sognò a occhi aperti. E si ricordò tutto di lei.
Nino, ci sono uomini che ti aprono la testa.
E ci sono uomini che ti aprono il cuore.
Tu mi hai aperto sia il cuore che la mente.
Si ricordò dell'unica donna che aveva mai amato nella vita. Si ricordò del suo bel viso. Si ricordò dei suoi denti bianchi. Si ricordò delle sue labbra rosse. Si ricordò del suo sorriso. E gli vennero in mente i fianchi, i seni e il culo di Isabella.
Nino, sei sempre stato lontano, ma vicino.
Maledettamente vicino.
E in tutti questi anni non ho mai potuto fare una scopata in santa pace senza pensare a te.
Sono andato via, ma in realtà non mi sono mai mossa da te.
Sei sempre rimasto nel mio cuore o forse sono io che sono rimasta nel tuo.
A proposito, non ho mai trovato nessun uomo che scopasse meglio di te.
La Belva leggendo queste ultime righe pensò che Isabella era rimasta sempre lei. E non era cambiata per nulla perché anche in punto di morte pensava sempre alla stessa cosa. Pensava a fare l'amore. E si ricordò che quando scopavano non era lui che era bravo. Piuttosto era il contrario. Era Isabella che a letto era brava e prepotente, perché mentre facevano l'amore voleva comandare. E se lui non l'assecondava, lei lo graffiava come una tigre e lo prendeva a schiaffi e a pugni. Quando facevano l'amore erano più le volte che litigavano che le volte che andavano d'accordo, perché la posizione la voleva scegliere sempre lei. Nino non era mai riuscito a farle capire che sono gli uomini che scopano le donne. E non le donne che scopano gli uomini. Alla fine per non litigare l'accontentava sempre. E lui si metteva sotto come un lupo bastonato. Invece lei sopra, contenta come una lupa assatanata. Nino faceva sempre quello che diceva Isabella perché gli sembrava bello vederla felice.
Ho raccontato tutto a nostro figlio.
Ora è solo al mondo.
Ha solo te.
Sa che sei suo padre.
Sa che sei in carcere.
Sa che sei un ergastolano.
Sa che sei un uomo ombra.
Leggendo quelle righe il cuore di Nino si stava squagliando come neve al sole. E persino gli occhi della Belva si stavano inumidendo.
Ti verrà presto a trovare.
Ti vuole fare uscire a tutti i costi.
Ti ha preso uno dei migliori avvocati di qua.
E un buon avvocato in Italia.
Gli hanno dato speranza.
Finalmente gli occhi della Belva iniziarono a riempirsi di lacrime. Tentò di asciugarle con una mano. Poi lasciò stare. E le lacrime iniziarono a cadere una dopo l'altra, come sassi in un pozzo. Una lacrima dietro l'altra. E pensò che un uomo senza libertà sia poco, senza futuro sia niente e senza amore sia nulla.
Voglio che ami nostro figlio anche per me perché io da questo mondo non lo potrò più fare.
E dall'aldilà non so se si può continuare ad amare.
Io ci ho pensato tanti anni.
Ora pensaci tu.
Buona vita.
E non smettere di amarmi e di pensarmi.
Solo così potrò continuare ad esistere almeno nei vostri pensieri.
Nino pianse senza singhiozzare come sanno fare solo le belve. E come fanno solo i cattivi. Dopo aver pianto la Belva si sentì meglio.
Nino, l'amore è la porta della felicità.
Io a suo tempo non ho avuto il coraggio di attraversarla.
E ora per me è troppo tardi.
Stavo dimenticando di dirti che sono ricca e che ti ho lasciato metà della mia eredità.
Addio.
Tua per sempre Isabella.
Nino in tanti anni di carcere non aveva mai scritto nei muri della sua cella come facevano tanti detenuti. Quel giorno, finito di leggere la lettera di Isabella, per calmarsi, prese un carboncino e si mise a scrivere una poesia. E la scrisse piangendo di nascosto dalla Belva della cella 154 perché si vergognava della belva che c'era in lui.
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