LA CORTE DEI
CONTI ANNULLA UNA CONDANNA PER IL SINDACO E GLI ASSESSORI
DEL COMUNE
DI VAIRANO PATENORA
Erano stato
condannati in primo grado al pagamento in favore dell’Erario di 40 mila euro
per aver promosso indebitamente un impiegato al ruolo di “avvocato” dell’Ente –
Decisione emessa l’altro giorno in grado di appello dalla Prima sezione giurisdizionale centrale –
Caserta ( di Ferdinando
Terlizzi ) – Ribaltando totalmente la decisione di primo grado, la Prima
Sezione Giurisdizionale Centrale della Corte dei Conti, composta da Piero Maggi, presidente, Mauro Orefice, relatore e da Rita
Loreto, Piergiorgio Della Ventura e Massimo Di Stefano, consiglieri, ha deciso
( sentenza n°366 dell’11 giugno 2013 Pubblico Ministero nella persona
del Vice Procuratore Generale dott.ssa Cinthia
Pinotti ) che il sindaco e alcuni assessori del Comune di Vairano Patenora, già condannati in primo grado dalla
Corte dei Conti della Campania, non
dovranno subire vessazioni di sorta avendo operato nel giusto diritto.
Il
fatto in sintesi. Il sindaco e gli assessori Massimo Visco, Nicola Raffaele e Pasquale
Zompa, rappresentati
e difesi dagli Avvocati Felice Laudadio,
Ferdinando Scotto e Roberto De Masi, unitamente a Domenico De Luca, rappresentato e difeso
dall’Avv. Carlo Zannini, hanno impugnato la sentenza la Sezione Giurisdizionale della Corte dei
conti per la regione Campania che li aveva
condannato al pagamento, in favore del Comune di Vairano Patenora, della
complessiva somma di euro 36.263,92, variamente ripartita in relazione alle
rispettive condotte causali, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e
spese di giudizio, per avere gli stessi, in qualità, rispettivamente, di
Sindaco e di Assessori del predetto Comune, proceduto ad un illegittimo
inquadramento nel ruolo dirigenziale di un dipendente dell’ente locale, signor Gaetano Di Nocera, appartenente alla
ottava qualifica funzionale con compiti di responsabile dell’Ufficio legale
dell’ente medesimo.
Risulta infatti dagli atti di causa che il
Comune, con delibera di Giunta n. 119 del 30 giugno 2006, adottata con il voto
favorevole degli odierni appellanti, provvedeva ad accogliere l’istanza di
inquadramento nella qualifica dirigenziale avanzata dal signor Di Nocera ai
sensi della legge n. 27/1997, la quale aveva abolito la figura del procuratore
legale ed unificato le carriere di avvocato e procuratore legale. Si provvedeva
pertanto con la delibera citata, dopo aver esperito il tentativo di
conciliazione che si concludeva in senso favorevole per l’interessato, all’inquadramento
del Di Nocera nella qualifica dirigenziale ed ad attribuire il connesso
trattamento retributivo.
Il danno subito dal Comune per tale
vicenda veniva individuato nella differenza retributiva tra quanto
complessivamente percepito con la qualifica dirigenziale e quanto, invece,
sarebbe spettato all’Avv. Di Nocera sulla base della sua qualifica di avvocato
funzionario, nonché quanto erogato come prima rata a titolo di “bonus
transattivo”, per un totale di euro 36.263,92.
Avverso la sentenza di condanna hanno
interposto appello i convenuti, adducendo la legittimità del provvedimento di
inquadramento, l’esclusione del nesso causale e della colpa grave, la richiesta
di integrazione del contraddittorio nei confronti dei legali incaricati
dall’Ente di portare a termine la procedura conciliativa.
Il Procuratore Generale, con atto conclusionale
depositato il 26 ottobre 2010, ha ritenuto infondati i motivi di appello
prodotti. In particolare, ha sostenuto come non sia condivisibile l’asserita
legittimità del provvedimento di inquadramento, dal momento che lo stesso si
pone in contrasto con la pacifica giurisprudenza della Cassazione, Sezione
Lavoro, la quale ha chiarito che la legge n. 27 del 1997, disponendo
l’abolizione dell’albo dei procuratori legali e prescrivendo che “il termine di procuratore legale si intende
sostituito con il termine di avvocato”, non ha tuttavia
comportato alcun automatismo, per cui i funzionari di Vili livello, una volta
divenuti avvocati ex legge, non hanno diritto, per
ciò solo, alla qualifica di dirigenti dll’Amministrazione comunale, dal momento
che l’accesso alle qualifiche dirigenziali è consentito solo previo superamento
della relativa procedura concorsuale. Nella specie, peraltro, l’inquadramento
in questione non risulta essere stato preceduto da un formale atto deliberativo
che consacrasse la scelta dell’ente di creare al suo interno un ruolo
dirigenziale.
Né può sostenersi, al pari degli appellanti,
che l’attribuzione della qualifica dirigenziale sarebbe avvenuta non con la
delibera giuntale n. 119 del 30 giugno 2006, bensì con il verbale di
conciliazione datato 14 luglio 2006, atteso che tale verbale si limita ad
eseguire quanto già deliberato dalla Giunta, peraltro all’unanimità, nella
seduta del 30 giugno 2006.
Quanto al requisito della colpa grave, il Procuratore
Generale ricorda che già in una precedente riunione di Giunta del 22 dicembre
2005 il Segretario comunale, su richiesta del Sindaco, aveva prodotto specifica
relazione con la quale evidenziava che, nella specie, non poteva farsi luogo ad
un automatismo dirigenziale e che non era opportuno definire, in sede di
conciliazione, la questione in maniera favorevole per il ricorrente.
In ordine alla richiesta di integrazione del
contraddittorio nei confronti dei legali incaricati di portare a termine la
procedura conciliativa, il Procuratore generale sottolinea che tali
professionisti hanno avuto nella vicenda un ruolo meramente esecutivo della
volontà del Comune.
Con successive memorie depositate il giorno 2
ed il giorno 20 marzo 2012, gli appellanti hanno ribadito le proprie posizioni.
Alla odierna pubblica udienza del 5 ottobre 2012, udito il Consigliere
relatore, l’Avv. Roberto De Masi, in difesa degli appellanti Visco, Raffaele e Zompa, ha insistito diffusamente sulla
mancanza di responsabilità degli assistiti, sia per la discrezionalità che
veniva riconosciuta agli enti locali dalla legge n. 27/97 nel procedere
all’inquadramento degli Avvocati; sia perché la relazione del Segretario
comunale, che si esprimeva in senso contrario all’inquadramento, si limitava a
formulare una valutazione di mera opportunità. Il patrono ha pertanto chiesto
l’assoluzione degli appellanti e, in subordine, la valutazione dei vantaggi
conseguiti dall’Ente a seguito dell’inquadramento dirigenziale del signor Di
Nocera e, da ultimo, l’applicazione del potere riduttivo.
L’Avv. Zannini per i De Luca ha messo in luce la posizione del tutto
particolare del suo assistito, ritenuto responsabile per aver partecipato alla
Delibera di Giunta n. 119/2006, con la quale veniva esteso anche all’Avv. De
Angelis il mandato, già conferito all’Avv. Stellato, a fini conciliativi della
controversia. A tal riguardo il difensore sottolinea la legittimità
dell’operato della Giunta, e dunque del De Luca, nella vicenda.
Il
Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale dott.ssa Cinthia Pinotti, ha precisato che la
colpevolezza degli appellanti scaturisce dall’aver agito in difformità da
quanto rappresentato dal Segretario generale del Comune sulla base di una
normativa che, seppure consente ampi spazi di discrezionalità, tuttavia non
prescinde dal ricorso alla procedura concorsuale per l’inquadramento
dirigenziale di cui si discute. Gli appelli vanno riuniti, ai sensi dell’art.
335 c.p.c., essendo proposti entrambi avverso la medesima sentenza.
Con la sentenza impugnata gli odierni
appellanti sono stati condannati al risarcimento del danno che sarebbe derivato
all’Ente dall’inquadramento del Responsabile dell’ufficio legale dell’ente
medesimo nella qualifica dirigenziale; tale inquadramento era stato disposto a
seguito di transazione conclusa innanzi al Giudice del lavoro, transazione che
impegnava il Comune a modificare il Regolamento organico del personale e
successivamente ad inquadrare il dipendente nella qualifica dirigenziale.
La Sezione ha già esaminato tale tematica in
precedenti giudizi (cfr. sent. 575/2012/A), ed ha avuto modo di rilevare,
invero, che vi sono plurimi arresti giurisprudenziali, tanto del Giudice civile
del lavoro ( Trib. Napoli, sent. 4 marzo 2003, n. 1392 citata anche dal primo
giudice) che del Giudice amministrativo (Consiglio di Stato, 2 febbraio 2009,
n. 561) i quali affermano proprio il contrario, e cioè il diritto degli
avvocati di ente pubblico, di qualifica direttiva, ad essere inquadrati nella
dirigenza, proprio (e solamente) in virtù dell’entrata in vigore della L. n. 25/1997,
che aveva unificato le figure professionali di avvocato e di procuratore
legale. Anzi, è plausibile che l’Avv. Di Nocera abbia dato l’avvio al previo
tentativo di conciliazione della lite con l’Amministrazione, ai sensi dell’art.
410 c.p.c., proprio a seguito di alcune di tali pronunzie, i cui principi
riteneva potessero essergli estesi.
E tale circostanza, evidentemente, rileva anche
in punto di sussistenza dell’illiceità del comportamento e della stessa colpa
grave in capo ai soggetti agenti: non è del tutto irragionevole che il Sindaco
e gli Assessori competenti del Comune abbiano ritenuto opportuno aderire al
tentativo di conciliazione al fine di evitare gli ulteriori aggravi economici
di una soccombenza in giudizio, ritenuta probabile (a ragione o a torto, ma non
infondatamente), per di più in presenza di una norma di legge che consente
anche alle pubbliche amministrazioni la transazione giudiziale, anzi incentiva
tale strumento.
Com’è noto, gli artt. 65 e 66 del D.Lgs. n.
165/2001 hanno innovato gli artt. 410 e segg. del c.p.c., prevedendo che la
causa di lavoro sia obbligatoriamente preceduta da un tentativo di
conciliazione dinanzi ad un collegio istituito presso la Direzione provinciale
del lavoro; se non si raggiunge l’accordo tra le parti e viene proposto ricorso
da parte del dipendente pubblico, è previsto un ulteriore tentativo di
conciliazione, su impulso dello stesso giudice del lavoro, ex art. 420 c.p.c.
(art. 65, comma 3 e art. 66, commi 7 e 8 del D.Lgs. n. 165/2001).
La conciliazione della lite da parte di chi
rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai
sensi dell’articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a
responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave”.
La Corte ha inoltre precisato che “la decisione
di conferire natura apicale all’ufficio legale non è l’unica perseguibile. Tale
scelta (fra ufficio apicale e sub apicale), ampiamente discrezionale, dipende
dalla quantità e qualità del contenzioso dell’Ente e delle risorse finanziarie
disponibili nel bilancio comunale. Venendo
al caso di specie, osserva il Collegio che l’inquadramento dirigenziale
dell’Avv. Gaetano Di Nocera - peraltro posto in essere all’esito di procedura
di conciliazione - rientrava tra le opzioni legittimamente praticabili dal
Comune, in assenza di previsioni ostative della legge, con conseguente
esclusione di profili di antigiuridicità e di colpa grave nella scelta del
Comune.
La Corte dei conti - Sezione Prima
Giurisdizionale Centrale - definitivamente pronunciando, in riforma della sentenza n. 527/2010 emessa
dalla Sezione Giurisdizionale Regionale per la Campania in data 26.03.2010,
accoglie gli appelli in epigrafe e, per
l’effetto, assolve i signori Massimo Visco, Pasquale Zompa, Nicola Raffaele, e
Domenico De Luca dalla domanda attrice.
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