UN GIORNO IN PRETURA,
LE COSE DA SAPERE
Com'è nata e com'è cambiata la
trasmissione più longeva di RaiTre che il 20 maggio in prima serata celebra i
trent'anni in prima serata.
di Elisa Chiari
Un giorno in Pretura, la
trasmissione tra le più longeve della Rai, sulla terza rete seconda in
anzianità solo al Tg3, nasce nel gennaio del 1988, grazie a un’idea di Roberta
Petrelluzzi, da allora titolare del programma e celebra trent’anni tornando per
due sere in prima serata il 20 e il 27 maggio. Il titolo Un giorno in Pretura
ricalca quello dell’omonimo film di Steno con Peppino De Filippo e Alberto
Sordi (1953). La scelta lascia intendere due cose: la prima è che un titolo da
commedia potrebbe alludere al fatto che il processo penale osservato
dall’esterno sia considerato una finestra aperta sul grande teatro del mondo e
sulla tragicommedia umana, o quantomeno, trattandosi di diritto penale, sulla
loro patologia.
La seconda è che la trasmissione
risale a un tempo ormai andato. Le Preture, deputate alla trattazione degli
affari penali semplici, sono scomparse dal panorama della giustizia italiana
nel 1989 con l’adozione del “nuovo”, cioè dell’attuale, Codice di procedura
penale. Il programma, nato davvero ai tempi delle Preture, all’inizio ne
riproduceva fedelmente il lavoro, trasmettendo per intero processi che, in
quanto brevi e riguardanti questioni poco complesse, potevano essere ripresi
senza interventi esterni e trasmessi compiutamente, dando alla trasmissione una
funzione anche democratica, di controllo e trasparenza sull’attività della
giustizia penale. Una funzione – al netto di quel tanto di voyeurismo da secoli
connesso all’argomento, dagli spettatori davanti alla ghigliottina in giù - in
qualche modo anche educativa, perché consentiva allo spettatore di farsi
un’idea realistica del meccanismo del processo vero e italiano, uscendo
dall’immaginario condizionato dalle interferenze dei telefilm americani alla
Perry Mason che raccontavano un procedimento diverso, nonché parecchio
romanzato.
La funzione di trasparenza e di
pubblicità del processo è la medesima che consente nel sistema italiano le
telecamere e le fotografie nel processo, salvo casi a porte chiuse o diversa
decisione del presidente della corte: non in tutti i sistemi è così. In
Inghilterra, negli Stati Uniti o a Hong Kong non sarebbe possibile
l’equivalente di Un giorno in Pretura, perché, pur essendo aperti al pubblico i
dibattimenti, le immagini sono vietate perché si teme possano influenzare la
decisione della giuria popolare, che in quei sistemi emette verdetto da sola.
Questo spiega anche perché i giornali da quelle parti sopperiscano alla
mancanza di immagini affidando l’illustrazione del processo a disegnatori.
A partire dai primi anni Novanta,
dopo il passaggio con il nuovo Codice dal rito inquisitorio al rito accusatorio
(1989) e la chiusura delle Preture, anche il programma ha cambiato un po’
pelle: non potendo più riprendere processi complessi per intero e perché i
tempi televisivi erano cambiati, ha dapprima raccontato processi a puntate,
seguendone le udienze: fu il caso del processo Cusani, durante Tangentopoli,
che, proprio a causa di Un giorno in Pretura, finì per trasformare Antonio Di
Pietro, Pm di udienza, in un’involontaria icona pop televisiva.
Il passaggio al nuovo Codice di
procedura ha cambiato, indirettamente, la trasmissione anche in un altro senso:
non più piccoli casi da stanze di vita quotidiana, ma grandi casi già finiti in
cronaca al tempo delle ordinanze di custodia cautelare o di rinvio a giudizio,
di cui si cercava di seguire il dibattimento per capire come fossero andati a
finire. La maggior trasparenza del processo accusatorio, rispetto al precedente
rito inquisitorio, ha fatto sì infatti che si sia abbreviata la fase segreta
dell’indagine, con l’effetto collaterale di mettere al centro dell'attenzione
della cronaca il momento della chiusura indagini, anziché il processo vero e
proprio, anche a causa dei tempi del processo sempre lenti, a fronte di una
cronaca resa dalla tecnologia sempre più veloce e meno paziente.
Un giorno in Pretura senza
cambiare titolo si è adeguata alle esigenze dei tempi nuovi e agli spettatori
nuovi, passando dai processi a puntate, al rimontaggio di processi conclusi in
primo grado: grandi casi di cronaca nera, dal mostro di Firenze ad Avetrana,
passando per Erba e Bilancia, ma anche per il caso Cappato e Calciopoli. Più
omicidi che maxiprocessi, non solo per assecondare i gusti del pubblico,
storicamente attratto dall’effetto catartico da tragedia greca ad alto tasso di
emotività, ma anche per un aspetto pratico: è più semplice raccontare,
attraverso un montaggio di spezzoni reali – senza attori, salvo il riassunto di
una voce fuori campo -, un processo con uno o due imputati di quando non sia
rimontare un maxiprocesso di mafia con decine o centinaia di imputati, per
quanto interessante e significativo. La scelta dei temi da cronaca nera, con la
componente naturale di crudezza che i processi veri comportano, spiega la
migrazione della trasmissione stabilmente in seconda serata.
Il montaggio, pur indispensabile
per conciliare tempi brevi della tv e tempi lunghi della giustizia, resta la
grande incognita, la questione eternamente aperta su Un giorno in Pretura, come
su tutta la giustizia rinarrata sui media: se è vero, infatti, che rispetto
alle altre trasmissioni a tema giudiziario Un giorno in Pretura può vantare la
maggiore oggettività dovuta ai contenuti in presa diretta, senza aggiunte che
non siano il raccordo di una voce fuoricampo, ma con tagli, lo spettatore non
può e non deve dimenticare che in ogni montaggio c’è la soggettività di uno
sguardo che può condizionare, poco o tanto, avvicinando il confine tra realtà e
reality: occorre ricordare che Un giorno in pretura resta il racconto di un
processo, che è sempre cosa diversa dal processo.
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