Cesare Battisti: «Se avessi parlato prima mi avrebbero
ucciso»
Il terrorista: mi sarei dissociato già nel 1981, ma
evasi. Da latitante fui costretto a dissimulare
di Giuseppe Guastella
In Brasile. Cesare
Battisti in passeggiata per le strade di San Paolo: era arrivato in America
dalla Francia nel 2004 (Afp)shadow
Due i verbali, una decina di pagine riempite da Cesare
Battisti di fronte al capo del pool antiterrorismo della Procura di Milano
Alberto Nobili che lo interroga nel carcere di Oristano. «Parlo solo delle mie
responsabilità», è la sua premessa. Il primo verbale si apre con l’ex
terrorista dei Proletari armati per il comunismo il quale assicura che si
sarebbe dissociato già nel 1981 se quell’anno non fosse evaso dal carcere di
Frosinone dandosi latitante.
Solo oggi, a quasi 40 anni dai delitti per i quali è stato
condannato all’ergastolo, ha la prima «opportunità — dice — di ripercorrere le
mie esperienze». E lo fa non perché spera di ottenere benefici penitenziari, ma
per una scelta che a quel tempo «avevo dovuto dissimulare ai miei ex compagni
della lotta armata perché avrei messo a rischio la mia vita».
Cesare Battisti, i
quattro omicidi firmati Pac di cui ha ammesso la responsabilità
Comincia da quando aveva 17/18 anni e già si dedicava a furti
e rapine intorno a Frosinone. La famiglia era vicina al Pci, lui stesso era
stato iscritto alla Fgci prima di passare a Lotta continua e, come una specie
di Robin Hood, «diverse volte — dichiara — ho dato per la causa comunista somme
di denaro che arrivavano dai furti e dalle rapine».
Finì in galera dove avvenne la trasformazione. «Fui
influenzato da Nicola Pellecchia (un fondatore dei Nap, morto nel 2013, ndr.)
il cui padre divenne il mio avvocato». Era il 1976 quando a 21 anni fu
rinchiuso nel carcere di Udine dove incontrò il veronese Arrigo Cavallina che
lo fece entrare nei Pac. Il resto è nelle sentenze di condanna all’ergastolo,
compresi i nomi dei suoi complici, che lui non fa «per un fatto personale» e
perché sarebbe inutile.
Quando ripercorre ferimenti e omicidi, la memoria torna
vivida. Parla della gambizzazione nel ‘78 della guardia carceraria di Verona
Arturo Nigro, perché era convinto che «faceva parte di agenti di custodia
picchiatori», o del medico dell’Inail Diego Fava, che all’Alfa Romeo non voleva
rilasciare certificati di malattia compiacenti.
Quindi gli omicidi. Il maresciallo Santoro delle guardie del
carcere di Udine «segnalato dai compagni del Veneto per le torture subite dai
detenuti politici. Fui io ad ucciderlo a colpi di arma da fuoco». Le esecuzioni
del macellaio Lino Sabbadin, ammazzato a Mestre, e del gioielliere Pierluigi
Torregiani, freddato a Milano, la cui colpa fu di essersi difesi uccidendo i
rapinatori dei loro negozi. «Chiamavamo costoro i miliziani perché
rivendicavano l’uccisione dei rapinatori che, nella nostra ottica erano
proletari che volevano riappropriarsi di quello che gli era stato tolto dal
capitalismo».
Volevano solo ferirli (Battisti partecipò solo al primo
omicidio) perché altrimenti ci «saremmo messi sullo stesso piano dei miliziani,
quello dei giustizieri». Solo che la persona che doveva sparare a Sabbadin, lo
uccise, mentre Torreggiani fu ammazzato perché tentò di reagire.
«Non sono un killer, ma — dichiara ancora — una persona che
ha creduto in quell’epoca nelle cose che abbiamo fatto. Il mio era un movente
ideologico, non avevo un temperamento feroce. A ripensarci oggi, provo una
sensazione di disagio, ma all’epoca era così».
A Nobili che gli chiede chi l’abbia aiutato nella latitanza,
risponde che in Italia nessuno, all’estero sono stati «partiti, intellettuali e
mondo editoriale» a dargli «sostegno ideologico e logistico. Lo hanno fatto per
ragioni ideologiche e di solidarietà. Non so se queste persone si siano mai
chieste se fossi responsabile di ciò per cui sono stato condannato», ma «per
molti non si poneva il problema», ma «sono stato anche supportato perché mi
dichiaravo innocente, perché in molti paesi non è pensabile una condanna in
contumacia e perché davo l’idea di un combattente per la libertà».
Quando il pm gli chiede se ha altro da dire, Battisti,
risponde: «Chiedo scusa ai familiari delle persone che ho ucciso o alle quali
ho fatto del male. La lotta armata è stata disastrosa ed ha stroncato la
rivoluzione positiva, sociale e culturale, cominciata nel ‘68. Per me e per gli
altri era una guerra giusta, oggi provo disagio a ricostruire momenti che non
possono che provocare una mia revisione. Parlare oggi di lotta armata per me è
qualcosa privo di senso».
Fonte: Corriere della Sera on line
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