Il
laccio di seta
RUBRICA
DI ATTUALITA’
A
CURA DI
(di Stelio W. Venceslai)
(
La questione dei nostri rapporti
eventuali con la Cina non mi emoziona in modo particolare. Non riesco a vedere
il perché di tanto interesse morboso. Non altrettanto è accaduto quando
Francia, Germania e Regno Unito sono andati a Pechino ad offrire le loro
meraviglie. I passi degli altri non sono disinteressati né l’Unione europea ha
mai mosso un dito, preoccupata da questi sviluppi.
In un mondo dominato dagli interessi,
ognuno segue il proprio tornaconto e non è certo l’inesistente politica estera
europea a poter dettare condizioni. Lo
insegnano gli Stati Uniti di Trump, che ha messo a soqquadro la politica
internazionale in base, esclusivamente, ai supposti interessi economici americani.
In un mondo di valori, invece, molti
possono obiettare sull’opportunità di rapporti più stretti con la Cina popolare
(niente elezioni democratiche, un partito unico, una dittatura di ferro, pena
di morte a gogò, diritti civili
pressoché inesistenti). Ma che l’Unione europea si attacchi a questi mancati
valori per dirsi preoccupata delle iniziative italiane, significa che la
Comunità ha ben poco altro da dire, se non nei confronti di una potenza minore,
come il nostro Paese.
La cosiddetta via della seta, che è di
tutto tranne che della seta, è un nuovo modello di penetrazione della crescente
influenza cinese nel mondo. Vogliamo arrestarla per dirottarla verso Paesi più
deboli o più compiacenti?
Una strada maestra è fatta sia per
andare sia per tornare. Le merci viaggiano in tutti i sensi. L’interesse cinese
a stabilire un punto d’approdo per il commercio in Europa è analogo a quello
europeo in Cina. La differenza è che in Cina c’è un governo, in Europa solo
confusione e contrasto d’interessi. I Paesi membri vanno in ordine sparso e non
hanno certo bisogno del coordinamento della Mogherini.
Anche gli Stati Uniti manifestano un
certo malumore. La Cina è una grande potenza mondiale emergente, con evidenti
ambizioni imperiali, che minaccia l’egemonia americana, già piuttosto
appannata. Siamo tutti preoccupati di questo, ma per finta. Trump non ha certo
chiesto se eravamo d’accordo con le sue iniziative. Nel contesto internazionale
siamo tutti uguali: Malta come il Canada, le Comore come la Russia. Uno vale
uno, come sostengono i Pentastellati. È
una sciocchezza, ma la finzione resiste, salvo che per l’Italia.
Da noi, questo conato di politica
estera sembra strano. O è l’inizio di un riscatto o è solo il ruggito della
formica. I Cinesi sanno che siamo l’anello debole di una catena che parte da
Bruxelles. Forse proprio per questo ci offriranno condizioni migliori.
Dipenderà dalla qualità dei nostri negoziatori.
E qui cade l’asino, perché anche su
questo i contrasti al governo sono palesi. Sembra impossibile che in un governo
che, a detta dei suoi membri, dovrebbe durare cinque anni, non ci sia un solo
punto di accordo, tranne che sulla durata. Salvini e Di Maio, i Dioscuri
giallo-verdi, propendono per due parti opposte. Di Maio è favorevole a
stringere rapporti con Pechino, Salvini si preoccupa delle reazioni di
Washington. Ovviamente, manca il parere del Ministro degli Esteri. Forse
Moavero lavora sullo sfondo e produce il fatto compiuto, ma c’è da dubitarne.
Sino ad ora non si è visto un granché di politica estera.
Dissenziente è l’opposizione.
Capisco Forza Italia, capisco di meno il PD, sempre schierato all’opposizione
anche quando si tratta di un accordo-quadro con un Paese palesemente comunista
e scarsamente democratico.
In materia di politica estera, in
verità, non ci dovrebbero mai essere posizioni contrapposte.
Siamo membri delle Nazioni Unite,
della NATO e dell’Unione europea e, quindi, alleati degli Stati Uniti e del
Regno Unito, se quest’ultimo riesce a uscire dal casino combinato dalla May con
la Brexit. Queste scelte fondamentali sono state fatte subito dopo la 2° guerra
mondiale e durante la guerra fredda Molto probabilmente, sono ancora valide.
Metterle in discussione è improponibile. Sarebbe un cambio di appartenenza
strutturale su cui ci sarebbe molto da discutere. Ciò detto, però, ciò non
significa che non dobbiamo avere una politica estera. Purtroppo, è proprio
quella che ci manca.
Le nostre beghe politiche interne
hanno di molto appannato una visione italiana di medio periodo degli interessi italiani
nel Mediterraneo e nei confronti dei Paesi più prossimi alla penisola.
Nell’Unione europea abbiamo simpatie
turistiche e indifferenze politiche. Siamo serviti solo a far numero nelle
maggioranze, ma le questioni sollevate dall’Italia, quando le abbiamo
sollevate, non hanno mai trovato risposte soddisfacenti.
Nel Mediterraneo siamo in freddo con
l’Egitto, che è il Paese più importante, per il caso Ingeni. In Libia favoriamo
un Presidente debole che è in contrasto con il generale Haftar, l’uomo forte della
Libia, sostenuto invece dall’Egitto, dall’Arabia saudita e dagli Stati Uniti.
Con la Tunisia abbiamo rapporti di buon vicinato, se non parliamo di olio e d’immigrati
da respingere. Con l’Algeria c’è un equilibrio retto solo dagli interessi
petroliferi dell’ENI. Il dopo Bouteflika è tutto da vedere. Figuriamoci se
abbiamo un’idea di come comportarci!
I nostri rapporti con la Turchia
sono ambigui, come quelli di Ankara con la NATO mentre fa alleanze con Mosca.
Con la Siria, prima siamo stati contro Bashar Assad e ora, che sta vincendo
lui, con l’aiuto dei Russi, dei Turchi e dei Kurdi, non si sa che pesci
prendere. Con Israele siamo amici però strizziamo l’occhio ai Palestinesi.
La nostra politica estera è una non
politica: tirare a campare, ondeggiando tra alleanze, compiacenze e simpatie
che, almeno fino ad ora, ci hanno evitato i colpi del terrorismo islamico.
Manca un dibattito nazionale sulle
nostre priorità. Il caso del Venezuela è evidente: un silenzio condito da frasi
fatte: elezioni, non violenza, legittimismo. Aria fritta, mentre la gente muore
di fame.
Nell’idea dominante del cambiamento
propugnato dal governo giallo-verde, manca uno spazio adeguato per una politica
estera (e della difesa) coerente con i nostri interessi. Il vuoto italiano si
aggiunge al vuoto dell’Unione europea. Non ci si deve lamentare se altri cercano
di riempire questo vuoto.
Roma,
13/03/2019
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