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lunedì 18 marzo 2019




Il laccio di seta

RUBRICA DI ATTUALITA’

A CURA DI

(di Stelio W. Venceslai)


(



            La questione dei nostri rapporti eventuali con la Cina non mi emoziona in modo particolare. Non riesco a vedere il perché di tanto interesse morboso. Non altrettanto è accaduto quando Francia, Germania e Regno Unito sono andati a Pechino ad offrire le loro meraviglie. I passi degli altri non sono disinteressati né l’Unione europea ha mai mosso un dito, preoccupata da questi sviluppi.
            In un mondo dominato dagli interessi, ognuno segue il proprio tornaconto e non è certo l’inesistente politica estera europea a poter dettare condizioni.            Lo insegnano gli Stati Uniti di Trump, che ha messo a soqquadro la politica internazionale in base, esclusivamente, ai supposti interessi economici americani.
            In un mondo di valori, invece, molti possono obiettare sull’opportunità di rapporti più stretti con la Cina popolare (niente elezioni democratiche, un partito unico, una dittatura di ferro, pena di morte a gogò, diritti civili pressoché inesistenti). Ma che l’Unione europea si attacchi a questi mancati valori per dirsi preoccupata delle iniziative italiane, significa che la Comunità ha ben poco altro da dire, se non nei confronti di una potenza minore, come il nostro Paese.
            La cosiddetta via della seta, che è di tutto tranne che della seta, è un nuovo modello di penetrazione della crescente influenza cinese nel mondo. Vogliamo arrestarla per dirottarla verso Paesi più deboli o più compiacenti?
            Una strada maestra è fatta sia per andare sia per tornare. Le merci viaggiano in tutti i sensi. L’interesse cinese a stabilire un punto d’approdo per il commercio in Europa è analogo a quello europeo in Cina. La differenza è che in Cina c’è un governo, in Europa solo confusione e contrasto d’interessi. I Paesi membri vanno in ordine sparso e non hanno certo bisogno del coordinamento della Mogherini.
            Anche gli Stati Uniti manifestano un certo malumore. La Cina è una grande potenza mondiale emergente, con evidenti ambizioni imperiali, che minaccia l’egemonia americana, già piuttosto appannata. Siamo tutti preoccupati di questo, ma per finta. Trump non ha certo chiesto se eravamo d’accordo con le sue iniziative. Nel contesto internazionale siamo tutti uguali: Malta come il Canada, le Comore come la Russia. Uno vale uno, come sostengono i Pentastellati.  È una sciocchezza, ma la finzione resiste, salvo che per l’Italia.
            Da noi, questo conato di politica estera sembra strano. O è l’inizio di un riscatto o è solo il ruggito della formica. I Cinesi sanno che siamo l’anello debole di una catena che parte da Bruxelles. Forse proprio per questo ci offriranno condizioni migliori. Dipenderà dalla qualità dei nostri negoziatori.
            E qui cade l’asino, perché anche su questo i contrasti al governo sono palesi. Sembra impossibile che in un governo che, a detta dei suoi membri, dovrebbe durare cinque anni, non ci sia un solo punto di accordo, tranne che sulla durata. Salvini e Di Maio, i Dioscuri giallo-verdi, propendono per due parti opposte. Di Maio è favorevole a stringere rapporti con Pechino, Salvini si preoccupa delle reazioni di Washington. Ovviamente, manca il parere del Ministro degli Esteri. Forse Moavero lavora sullo sfondo e produce il fatto compiuto, ma c’è da dubitarne. Sino ad ora non si è visto un granché di politica estera.
            Dissenziente è l’opposizione. Capisco Forza Italia, capisco di meno il PD, sempre schierato all’opposizione anche quando si tratta di un accordo-quadro con un Paese palesemente comunista e scarsamente democratico.
            In materia di politica estera, in verità, non ci dovrebbero mai essere posizioni contrapposte.
            Siamo membri delle Nazioni Unite, della NATO e dell’Unione europea e, quindi, alleati degli Stati Uniti e del Regno Unito, se quest’ultimo riesce a uscire dal casino combinato dalla May con la Brexit. Queste scelte fondamentali sono state fatte subito dopo la 2° guerra mondiale e durante la guerra fredda Molto probabilmente, sono ancora valide. Metterle in discussione è improponibile. Sarebbe un cambio di appartenenza strutturale su cui ci sarebbe molto da discutere. Ciò detto, però, ciò non significa che non dobbiamo avere una politica estera. Purtroppo, è proprio quella che ci manca.
            Le nostre beghe politiche interne hanno di molto appannato una visione italiana di medio periodo degli interessi italiani nel Mediterraneo e nei confronti dei Paesi più prossimi alla penisola.
            Nell’Unione europea abbiamo simpatie turistiche e indifferenze politiche. Siamo serviti solo a far numero nelle maggioranze, ma le questioni sollevate dall’Italia, quando le abbiamo sollevate, non hanno mai trovato risposte soddisfacenti.
            Nel Mediterraneo siamo in freddo con l’Egitto, che è il Paese più importante, per il caso Ingeni. In Libia favoriamo un Presidente debole che è in contrasto con il generale Haftar, l’uomo forte della Libia, sostenuto invece dall’Egitto, dall’Arabia saudita e dagli Stati Uniti. Con la Tunisia abbiamo rapporti di buon vicinato, se non parliamo di olio e d’immigrati da respingere. Con l’Algeria c’è un equilibrio retto solo dagli interessi petroliferi dell’ENI. Il dopo Bouteflika è tutto da vedere. Figuriamoci se abbiamo un’idea di come comportarci!
            I nostri rapporti con la Turchia sono ambigui, come quelli di Ankara con la NATO mentre fa alleanze con Mosca. Con la Siria, prima siamo stati contro Bashar Assad e ora, che sta vincendo lui, con l’aiuto dei Russi, dei Turchi e dei Kurdi, non si sa che pesci prendere. Con Israele siamo amici però strizziamo l’occhio ai Palestinesi.
            La nostra politica estera è una non politica: tirare a campare, ondeggiando tra alleanze, compiacenze e simpatie che, almeno fino ad ora, ci hanno evitato i colpi del terrorismo islamico.
            Manca un dibattito nazionale sulle nostre priorità. Il caso del Venezuela è evidente: un silenzio condito da frasi fatte: elezioni, non violenza, legittimismo. Aria fritta, mentre la gente muore di fame.
            Nell’idea dominante del cambiamento propugnato dal governo giallo-verde, manca uno spazio adeguato per una politica estera (e della difesa) coerente con i nostri interessi. Il vuoto italiano si aggiunge al vuoto dell’Unione europea. Non ci si deve lamentare se altri cercano di riempire questo vuoto.

Roma, 13/03/2019



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