DIFFAMAZIONE.
La Cassazione ha cancellato la sentenza clamorosa con la quale il 16 dicembre 2008 la Corte d’Appello di Roma aveva condannato il critico musicale Alfredo Gasponi a pagare 36.154 euro a ognuno degli 80 professori di orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. La condanna era frutto di un equivoco: l’intervista era corretta. Era forzato il titolo (“A Santa Ceciia non sanno suonare”) in prima pagina. L’amministrazione del Messaggero, dopo aver sborserà 2 milioni e mezzo, per conseguenza annunciò un bilancio in rosso e l’apertura dello stato di crisi, con prepensionamenti e cassa integrazione a carico della redazione del quotidiano. La causa dura da 16 anni ed ancora non si è conclusa. In coda un articolo che riepigola la vicenda incredibile.
La terza sezione civile della Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d'appello di Roma (del 15 dicembre 2008) che aveva condannato il critico musicale Alfredo Gasponi, - per un articolo pubblicato il 9 marzo 1996 sul Messaggero -, a pagare 36.154 euro a ognuno degli 80 professori di orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia. Si tratta del maggior indennizzo mai liquidato in Italia per risarcimento da diffamazione (fino alla sentenza Formigli/Fiat). La Cassazione, con la sentenza 17148/2012, - "cassata" la sentenza di condanna -, ha rinviato l’esame della lite, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione. La Suprema Corte ha fissato i “binari” entro i quali i giudici di appello si dovranno muovere: l’articolo di Gasponi non è censurabile perché ha riportato in maniera corretta le dichiarazioni del direttore d’orchestra tedesco Wolfgang Sawallisch. Quest’ultimo ha precisato: “Vorrei chiarire che non ho mai pronunciato le parole ‘Santa Cecilia non sa suonare’ che mi vengono attribuite nell’articolo di prima pagina del Messaggero e che non compaiono invece nell’intervista interna”. In sostanza chi ha scritto il titolo (“A Santa Cecilia non sanno suonare”) della prima pagina ha forzato il contenuto dell’intervista. Gasponi, che come critico musicale, è un collaboratore fisso del giornale, non si occupa della stesura dei titoli, che, per la prima pagina, sono opera dei quadri alti del quotidiano. Il Tribunale e la Corte d’Appello evidentemente non conoscono le regole redazionali e sono così incorsi in un errore madornale. L’amministrazione del Messaggero, dopo aver sborserà 2 milioni e mezzo, per conseguenza annunciò nel 2009 un bilancio in rosso e l’apertura dello stato di crisi, con prepensionamenti e cassa integrazione a carico della redazione del quotidiano. La posizione del Messaggero e quella dell’allora direttore Giulio Anselmi ora appaiono alquanto delicate.
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Un articolo dell’8 aprile del 2010 ripercorre la storia (è in
Il direttore critica l’orchestra di Santa Cecilia:
multa di 500.000 euro al giornalista!
Criticare un’orchestra sinfonica? Non si può. Riferire il giudizio severo di un grande direttore? Non si può. Chi ci prova, rischia di pagare mezzo milione di euro di risarcimento. La causa civile di cui è rimasto “vittima” il giornalista Alfredo Gasponi, critico musicale de Il Messaggero, ha conseguenze nefaste per l’informazione culturale. Meglio, molto meglio, scrivere che un’orchestra suona bene e che i suoi musicisti sono bravissimi. Incredibile, ma è così. Tengano a mente l’episodio anche i critici teatrali e magari quelli televisivi. La vicenda risale al 1996. Il giorno 9 marzo il giornale romano pubblica una grossa intervista di Alfredo Gasponi al direttore d’orchestra tedesco Wolfgang Sawallisch, uno dei più grandi musicisti viventi. E’ appena terminata la prova dell’orchestra di Santa Cecilia che sotto la guida di Sawallisch ha eseguito brani di Schumann e Hindemith. Il maestro non è contento. Gasponi chiede: “Ci sono problemi” e lui risponde affermativamente. “L’orchestra di S.Cecilia non è all’altezza del suo ruolo” dice senza mezzi termini. Gasponi, che è uno dei più esperti ed attenti critici musicali, lo interroga con professionalità e prudenza. Riporta fedelmente ciò che dice. In particolare egli afferma che il gruppo presenta numerosi elementi, “aggiunti”, che limitano il rendimento del complesso dell’Accademia romana; e fa un auspicio: “che durante i prossimi concorsi si possano trovare dei nuovi elementi, veramente all’altezza”. La serietà dell’articolo di Gasponi è avvalorata dal fatto che, accanto all’intervista, il giornale ospita il parere di Bruno Cagli e quelli di due componenti dell’orchestra (un violinista e un oboista) i quali da una parte ammettono che alcuni colleghi siano privi di esperienza, dall’altro affermano che il gruppo è preso di mira, si sente sotto tiro, forse per aver espresso un’opinione negativa nei confronti di un altro direttore (Welser Moest) poi sostituito.
Il titolo dell’articolo è “Sawallisch, allegro ma non troppo”, ma è quello in prima pagina: “A Santa Cecilia non sanno suonare”che darà più fastidio. Peraltro, non è stato preparato da Gasponi, che con il Messaggero ha un contratto esterno (articolo 2) e non si occupa dell’allestimento delle pagine. Quella frase il maestro Sawallisch negherà di averla pronunciata (e Gasponi non l’aveva scritta) mentre rilascerà una dichiarazione in cui afferma che il testo dell’intervista è corretto e corrisponde al suo.
Parte la denuncia al Tribunale civile, firmata dagli ottanta professori d’orchestra, contro Gasponi e contro il direttore del giornale Giulio Anselmi. Il percorso giudiziario – che dopo 15 anni non è ancora concluso - può essere così sintetizzato. Il giudice civile (Maurizio Durante) il 16 dicembre 2002 mette una sentenza in cui condanna al pagamento di 36.154 euro di risarcimento in favore dei ciascuno dei musicisti (più una ventina di mila euro per le spese). In secondo grado, sei anni dopo, il 15 dicembre del 2008, la Corte d’Appello (Ferrari Acciajoli, Cinorelli Belfiore, Sabeone) condanna Gasponi al pagamento di 36.154 euro per ciascun orchestrale. Mentre per Anselmi la sanzione pecuniaria è di 5.164 euro, a testa. L’amministrazione del Messaggero sborserà 2 milioni e mezzo. Per conseguenza annuncerà un bilancio in rosso e l’apertura dello stato di crisi, con prepensionamenti e cassa integrazione a carico della redazione del quotidiano.
Sbalordita l’Associazione nazionale dei critici musicali, che ha tentato invano di favorire una soluzione amichevole nei rapporti con l’orchestra. La preoccupazione è chiara: chi pubblicherà più giudizi negativi? Che fine farà il diritto di critica? Tra l’altro c’è da notare che Alfredo Gasponi dovrebbe pagare circa 500.000 euro non per aver espresso la propria opinione sull’esecuzione dell’orchestra, ma per aver riportato il giudizio di Sawallisch, espresso nel corso di’intervista. E’ il diritto di cronaca in discussione. E’ l’intera professione giornalistica ad essere colpita. Come è stato ricordato nel corso di una conferenza stampa nella sede dell’Associazione della stampa romana – presenti con molti giornalisti anche: Roberto Natale, Fabio Morabito, PaoloButturini, Bruno Tucci, Vittorio Emiliani, Paolo Cappelletto – i giudici hanno totalmente ignorato la sentenza (30/5/2001) emessa dalle Sezioni Unite della Cassazione, in cui finalmente era stato sancito che il giornalista non risponde delle eventuali affermazioni diffamatorie contenute di un’intervista, se egli ha preso le distanze da tali giudizi e se si è espresso in modo corretto e non offensivo.
Ora, toccherà proprio alla Cassazione dire l’ultima parola sull’articolo del Messaggero. Ma è evidente a tutti che la questione riguarda l’intero giornalismo. La professione stessa è in discussione. In un’epoca in cui appaiono sempre più rare le critiche, serie e documentate, e in cui si assiste a continui peana per spettacoli e performance discutibili, il diritto di critica rischia di spegnersi del tutto. Simili sentenze hanno un enorme effetto intimidatorio. La questione riguarda il sindacato dei giornalisti, ma più ancora l’Ordine (quello romano si costituì parte civile accanto a Gasponi) chiamati a mettere in campo ogni possibile strumento di difesa di fonte ad attacchi così clamorosi alla libertà di stampa. (vr)
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dal GIORNALE DELLA MUSICA - di Luca del Fra
Libertà di critica?
L'incredibile vicenda del critico musicale Alfredo Gasponi critico musicale? Un mestiere oramai rischioso. Alfredo Gasponi, storico critico de «Il Messaggero», è stato condannato dalla corte d'appello di Roma a un risarcimento per oltre 3 milioni di euro, compresi gli interessi, per un servizio uscito nel 1996 sull'Orchestra di Santa Cecilia. Se ne è parlato in un incontro venerdì 10 aprile, a cui hanno partecipato il presidente della Associazione stampa romana, Fabio Morabito, il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, Roberto Natale, dell'Ordine regionale, Bruno Tucci, Paolo Butturini segretario dell'ASR, Sandro Cappelletto per l'associazione nazionale dei critici musicali, Vittorio Emiliani, tra l'altro già direttore de "Il Messaggero", e l'avvocato Chiocci. Il 9 marzo del 1996 Gasponi pubblica sul quotidiano capitolino un lungo servizio dove Wolfgang Sawallisch (nella foto) si lamenta di problemi intervenuti durante le prove con l'orchestra di Santa Cecilia per la presenza di troppi giovani aggiunti. Una intervista condotta con toni tutt'altro che scandalistici, da un giornalista come Gasponi noto per professionalità ed equilibrio e che alle parole del direttore tedesco affianca le repliche affidate alla voce degli stessi musicisti dell'orchestra e a quelle del presidente ceciliano Bruno Cagli. Insomma, un lavoro esemplare: senonché in un occhiello sulla prima pagina del quotidiano campeggia un titolo eccessivamente "pompato": «A Santa Cecilia non sanno suonare». Di qui per iniziativa di circa 80 musicisti dell'orchestra parte una querela per diffamazione, che nel suo secondo grado di giudizio condanna Gasponi al pagamento di 500 mila euro di danni. Ennesimo paradosso, poiché come collaboratore de «Il Messaggero» proprio lui non può fare alcun titolo, che spetta alla redazione e tanto meno i «lanci in prima pagina» che sono appannaggio dei redattori capo. Eppure la corte d'appello di Roma ha ravvisato in Gasponi la machiavellica mente che ha confezionato «un articolo volutamente scandalistico», distorcendo «il pensiero» di Sawallisch, nonostante il maestro abbia rilasciato una dichiarazione scritta in cui afferma che Gasponi non aveva travisato le sue parole. Una vicenda triste e meschina e un evidente vulnus alla libertà di stampa: alla palese ingiustizia si assomma il peso psicologico sostenuto nei 14 anni dei processi da Gasponi "colpevole" di aver svolto il suo lavoro, e che ci ricorda come in Italia esista una anacronistica legge sulla diffamazione di stampo autoritario secondo cui se il giornalista, pur dicendo la verità, dà un'immagine negativa di qualcuno può essere condannato. Ora toccherà alla Cassazione dire la sua e di positivo, almeno per ora, c'è da segnalare l'interessamento delle organizzazioni della stampa.
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