VENERDI’ INNANZI
LA II° SEZIONE DELLA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
L’ex assessore al
comune di Casagiove è accusato di
concorso esterno con il clan dei Casalesi
GIUDIZIO DI SECONDO GRADO PER L’AVV. GERRY CASELLA CONDANNATO IN PRIMA
ISTANZA A 15 ANNI DI RECLUSIONE -
LA
VICENDA TRAE ORIGINE DALLE PERIZIE
SULLA PRESUNTA CECITÀ DI GIUSEPPE SETOLA. SECONDO IL PUBBLICO MINISTERO
ALESSANDRO MILITA L’AVV. DEL BOSS
SAREBBE STATO RITENUTO IL RESPONSABILE MORALE DEI 18 OMICIDI DI SETOLA – SI SPERA NELLA CLEMENZA
DEL COLLEGIO –
di Ferdinando Terlizzi
Caserta
– Comparirà venerdì prossimo, innanzi la
II° Sezione della Corte di Appello di Napoli,
l’avv. Gerry Casella – già
condannato in primo grado ad anni 15 di reclusione –( accolta in toto la
richiesta del pubblico ministero che era partito da una pena edittale – col
rito abbreviato – di 22 anni ), per il giudizio di appello che lo vede accusato
di concorso esterno in associazione
mafiosa e per aver favorito al fuga del boss Giuseppe Setola, recentemente condannato a vari ergastoli (
l’ultimo dei quali è stato quello inflittogli dalla prima Corte di Assise di S.
Maria C.V., presieduta da Maria Alaia, per l’omicidio di Domenico
Noviello). Nel corso dell’arringa del giudizio abbreviato – come si
ricorderà - l’avv. Vittorio Giaquinto, primo
difensore di Casella, in unione
all’avv. Alessandro Barbieri, aveva prospettato una condanna mite per il
suo assistito – in considerazione del fatto che era stato minacciato da Setola
– chiedendo la derubricazione del reato a favoreggiamento. Parole al vento.
“Una
via di mezzo tra l’avvocato di grido e il politico in carriera”. Questo è
il quadro che fino a qualche anno fa la stampa faceva di Girolamo Casella,
detto Gerry. L’ex assessore al Comune di Casagiove, però, ha tramutato quella
sua notorietà di personaggio pubblico in strumento per favorire il clan dei
Casalesi.
Come si ricorderà il Giudice per l’udienza
preliminare del Tribunale di Napoli, Francesca
Ferri, su richiesta dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale
antimafia Giovanni Conzo, Cesare
Sirignano e Alessandro Milita, lo condannò a quindici anni di carcere con rito
abbreviato. Il legale avrebbe fatto da
messaggero al capo dell’ala stragista del clan dei Casalesi e avrebbe avuto un
ruolo nella redazione della falsa perizia medica in base alla quale il boss
venne scarcerato perché ritenuto cieco. Il medico che firmò la perizia, Aldo Fronterré, é a sua volta a
giudizio, ma nel processo con rito ordinario innanzi alla prima Sezione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere la cui sentenza è prevista
a giorni.
L’inchiesta che ha portato alla condanna
del penalista è nata qualche anno fa, quando la D.d.A. si mise sulle tracce dei
fiancheggiatori che avevano prima favorito la fuga e poi la latitanza del boss
Setola. Quest’ultimo, infatti, aveva simulato una gravissima malattia agli
occhi così da ottenerne il trasferimento dal carcere agli arresti domiciliari,
da cui il capoclan è evaso successivamente, il 7 aprile 2008 per mettersi a
capo di uno spietato gruppo di killer che in dieci mesi ha ucciso 18 persone.
Del ruolo di Casella ha parlato nel 2008
il collaboratore di giustizia Emilio di
Caterino: “Un terzo incontro l’ho avuto
con Setola verso la fine di luglio. Nel
corso di questo incontro si presentò l’avvocato Gerry Casella, che avevo già
incontrato a casa di Alessandro Cirillo. È un avvocato che difende gli
affiliati del clan Bidognetti. Peppe voleva essere spiegato il processo a
carico di sua moglie. Fu lo stesso Peppe Setola ad avere l’idea di mandare una
sua foto con una benda e un bastone, in modo da rappresentarlo come semicieco.
L’avvocato disse di sì e consigliò di mandarla ai giornali. A un certo punto
l’avvocato chiese a Setola di farci allontanare per parlare di una cosa
delicata. Setola disse che avrebbe potuto parlare tranquillamente perché
eravamo amici. L’avvocato disse che aveva saputo che la Dia aveva ordine di
sparargli a vista. Setola scattò, e rivolgendosi a me disse: “Miliù, se è così
allora noi dobbiamo uccidere un paio di poliziotti”. Io gli risposi che queste
cose non ero disposto a farle”.
In manette finirono anche l’oculista Aldo Fronterré, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa,
e l’avvocato Girolamo Casella a cui l’Antimafia contestarono direttamente
l’appartenenza al gruppo criminale. Il legale, dicono le indagini, avrebbe
fornito un “consapevole e stabile apporto
all’organizzazione” trasformandosi di volta in volta in messaggero e
postino del boss latitante e i suoi uomini di fiducia rimasti ancora in
libertà.
Nello stesso processo di primo grado furono
condannati – quali fiancheggiatori ed ideatori del piano di fuga – anche Alfiero e Brusciano ( richiesta
del pubblico ministero di condanna per il primo a
10 anni e per il secondo ad anni 8 di reclusione ). La pena
inflitta fu invece di anni 5 anni
per Massimo Alfiero, difeso dall’avv. Angelo Raucci e 2 anni per Gabriele Brusciano ( con la continuazione
della condanna già in atto per 416 bis) difeso dall’avv. Giuseppe Stellato. Alla lettura della sentenza Gerry Casella si
accasciò sullo scranno della gabbia e
scoppiò a piangere.
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