Accadde a Maddaloni il 23 aprile del 1949
UXORICIDIO PER GELOSIA
Alfonso Sagnelli, 25enne era un venditore di “E spingule francese”, che andava casa per
casa vendendo la biancheria intima.
Uccise la moglie, Alessandra Pascarella di 20 anni, con tre colpi di pistola. Attribuiva alla donna amanti fantasma –
Torno’ dopo sei mesi da un viaggio e gli riferirono che la moglie era incinta
dell’amante. Ma non era vero…
Il fatto
Il 30 maggio del 1949, alle
ore 12, in Maddaloni il magliaro Alfonso Sagnelli, di anni 25, esplodeva, nel cortile della casa dei suoceri
– contro la moglie Alessandra Pascarella
numerosi colpi di pistola cagionando la morte immediata dandosi poi alla fuga. Verso le 19 il Sagnelli fu sorpreso dai carabinieri
a Cancello Scalo, mentre si svestiva, in preda a delirio e venne tratto in arresto.
Per le sue condizioni mentali il Sagnelli non fu in grado di rendere alcuna
dichiarazione né ai carabinieri né all’Autorità Giudiziaria. Dagli accertamento
del Giudice Istruttore risultò che il Sagnelli aveva sposato la Pascarella
sette anni prima del fatto. Egli faceva il venditore ambulante di indumenti, il
magliaro, girando l’Italia settentrionale e spesso, per tale sua attività,
restava lontano da casa per diversi mesi. Era tornato dopo alcuni mesi di
assenza, il sabato Santo precedente alla Pasqua del 1949, che quell’anno cadde
il 7 aprile. Fin dai primi giorni del suo ritorno a Maddaloni, aveva raccolto
delle insinuazioni sulla condotta della moglie, la quale aveva abbandonata la
casa dei suoi genitori ed era andata a convivere col padre del marito Evangelista Sagnelli, collaborando al
suo commercio di vendita di benzina.
La prima insinuazione fu fatta
da tale Anna Schiattarella, detta Ines, o meglio in arte Ines perché lei
era la tenutaria del locale postribolo che, avendo saputo che il
Sagnelli voleva emigrare, gli consigliò di portare con sé la giovane e
avvenente moglie. Però, dalle
deposizioni della Schiattarella e di Alessandro
D’Angelo risultò che in un confronto in casa del D’Angelo - tra la Pascarella e la Schiattarella ed il
Sagnelli – la Schiattarella negò di aver sparlato della moglie del Sagnelli ed
il padre di costui (che aveva
amorevolmente accolto la giovane nuora) affermò che essa era una buona donna.
Un’altra insinuazione sulla condotta della
Pascarella – per quanto fu riferito dalla
sorella dell’uccisa Domenica Pascarella – sarebbe stata fatta Gelsomina Cerreto, cognata della Pascarella, la quale
un giorno avrebbe detto al Sagnelli – mentre percuoteva la moglie, che essa era incinta di quattro mesi – e cioè
da un periodo in cui il marito era assente da casa. Ma la Cerreto al Giudice
Istruttore negò di aver detto la frase, anzi sostenne che la Pascarella era una
donna che per vivere faceva la serva
al suocero. Fu una frase, abbastanza
sibillina, in linea però, con quanto si diceva in giro… Ma colui che
dovette portare nell’animo del Sagnelli il
maggiore turbamento con continue insinuazioni malefiche fu tale Alfonso Recupito - suo
amico del cuore – il quale affermò, infatti, di aver appreso da due amici –
dei quali però conosceva solo i nomi di Gigi e Vincenzo che la moglie del Sagnelli non
serbava buona condotta.
Il
paese è piccolo… la gente mormora…
L’episodio culminante dei
continui litigi tra il Sagnelli e la moglie, che si verificarono dalla Pasqua
del 1949 accadde il 29 maggio di quell’anno. Nel pomeriggio di quel giorno il
Sagnelli – non trovando la moglie – si recò a cercarla in casa della suocera Lucia Tagliaferri e non avendo avuto
notizie di lei, minacciò i presenti tra i quali vi erano il Recupito ed il
cognato Francesco Pascarella. I due
però, lo indussero ad andare con loro – per calmare la sua agitazione – per
assumere informazioni e sembra, per quanto riferì il Recupito che da alcune donne appresero che la moglie si
era recata a Messercola dove abitava Michele
D’Angelo, per il quale il Sagnelli
aveva dei sospetti di relazione con la moglie. Poiché il Sagnelli, irato,
mostrava il proposito di recarsi a Messercola il fratello della moglie
Francesco Pascarella vi andò lui. Ed infatti il Pascarella trovò la sorella a
Messercola in casa di Saverio De
Francesco, suo parente, dove si era recata in seguito ad un litigio avuto
col marito. Il De Francesco la tenne a pranzo e poi il fratello la ricondusse a
Maddaloni. Dopo poco partita la Pascarella col fratello andò a casa del De
Francesco anche il Sagnelli e da lui appurò che la moglie era stata da lui ed
era andata via con il fratello. Infatti, tornato il Sagnelli a Maddaloni – si
incontrò con la moglie che era in
compagnia della madre ed entrata in casa di questa il Sagnelli disse alla
moglie che dovevano dividersi, ma prima essa doveva farsi visitare da un medico
per constatare se fosse o meno incinta.
Si instillò
nella mente del marito geloso il
tarlo del dubbio
La Pascarella si rifiutò di
sottoporsi a visita dichiarando che non voleva dargli soddisfazione e profferì
contro il marito parole ingiuriose e fece l’atto di stutargli in viso! Il
consiglio di Vincenzo e Franco Argenziano non valse a
convincere la Pascarella a sottoporsi a visita medica. Fu un grave errore ed
una grande provocazione. Questo fatto instillò nel marito geloso il tarlo del
dubbio: atroce, di qui il delitto! Continuando nel litigio, intanto, i due
coniugi si recarono anche dal
maresciallo dei carabinieri che si dichiarò incompetente e consigliò di rivolgersi ad un avvocato.
Quindi si recarono dall’avv. Francesco
De Lucia, il quale, però, disse di rivolgersi ad un avvocato civilista
essendo lui un penalista. Si rimase
d’accordo che la mattina seguente sarebbero andati da un avvocato civilista per
provvedere alla separazione. La Pascarella, quella notte, andò a dormire a casa della madre ed
il Sagnelli – che appariva in grande agitazione pregò il Recupero di tenergli compagnia durante la notte. I due
si sdraiarono nel letto coniugale e il Sagnelli si lamentò con l’amico di aver passato molto tempo
(quasi sei mesi precisò) senza avere
avuto contatti sessuali con la moglie. La mattina del 30 maggio il Sagnelli –
in compagnia del Recupero – si recò dall’avv. Nicola Serra, in Maddaloni, al quale espose il desiderio di
separarsi dalla moglie e l’avvocato l’assicurò che si sarebbe ottenuto in breve
tempo il provvedimento perché vi era
l’accordo tra le parti e lo invitò a tornare nel pomeriggio con la moglie.
La donna cercò di fuggire, ma lui la raggiunse ed
afferrandola per il collo la fece cadere a terra e le esplose contro a bruciapelo atri colpi e poi si dette alla fuga.
Usciti dallo studio
dell’avvocato – riferì il Recupero – incontrarono la Pascarella che era in
compagnia della madre ed ella sollecitò la definizione della pratica di
separazione. Quella mattina il Sagnelli appariva calmo e dichiarò al Recupito
che presto avrebbe ripreso o i suoi viaggi e con lui si recò da Francesco Pascarella, fratello della moglie,
per ritirare biancheria lavata che non trovò pronta. Poi pregò il Recupero di portare una valigia a
casa di sua nonna e da riprendere delle
scarpe date ad un calzolaio e salutatolo si diresse alla cassa dei genitori
della Pascarella dove si trovava la moglie. Il Recupito portò subito la valigia
alla nonna e mentre parlava con lei sentì delle persone che gridavano di avere il Sagnelli ucciso la
moglie. Infatti il Sagnelli, dopo essersi separato dal Recupito si recò in casa
dei genitori della moglie e dichiarando che doveva partire manifestò desiderio
di salutarla. La moglie si trovava al primo piano e la sorella Domenica andò a chiamarla perché
il Sagnelli appariva calmo, tanto che
disse di non comunicare al suocero ammalato i suoi dissidi con la moglie. Poco
dopo la Pascarella uscì dalla camera dove era e sul pianerottolo delle scale –
che il marito aveva salito – si incontrò
con lui, ed insieme, senza parlare discesero
le scale, la Pascarella avanti e il marito dietro. Ma quando furono
sugli ultimi scalini il Sagnelli improvvisamente estrasse la rivoltella e gli sparò
contro alcuni colpi a brevissima distanza, la Pascarella cercò di fuggire, ma lui la raggiunse ed
afferrandola per il collo la fece cadere a terra e le esplose contro a bruciapelo atri colpi e poi si dette alla fuga.
L’uxoricida voleva prima suicidarsi con un
colpo di pistola e poi buttarsi sotto il treno – Prima fu bloccato e poi
arrestato- Ma era veramente pazzo?
Alla grida provenienti dalla casa della
Pascarella accorse Vincenzo Argenziano
che inseguì il Sagnelli e lo raggiunse mentre puntava contro la sua tempia la
rivoltella e riuscì a disarmarlo ma l’assassino riuscì a svincolarsi e fuggi via. Alcune ore dopo il
Sagnelli fu tratto in arresto presso la stazione di Cancello Scalo mentre si
stava spogliando per lanciarsi sotto il treno. Nel prosieguo delle indagini la perizia sulla
vittima accertò che il decesso era avvenuto in seguito alle ferite riportate da
quattro colpi di arma da fuoco per emorragia e lesioni gravi. Uno speciale esame eseguito dal prof. Vittorio Verga dell’Università di
Napoli, mise anche in luce il fatto che
lei non era affetta da sifilide ma che era gravida
nella fase iniziale.
Fino al giorno del delitto Evangelista Sagnelli – padre
dell’assassino – aveva sempre affermato che la nuora aveva tenuto buona
condotta ed in più di una occasione aveva rimproverato il figlio per il
contegno tenuto verso di lei. Ma dopo il delitto Evangelista Sagnelli - manifestò parere contrario arrivando perfino
ad offendere di aver appreso il 29 maggio da Francesco e Vincenzo
Argenziano che effettivamente la nuora aveva tradito il figlio con Michele D’Angelo, circostanza questa
smentita dagli Argenziano. Egli affermò che il figlio era stato assente sei
mesi da Maddaloni – e di avergli confidato di essere affetto da un male venereo
e di non essersi mai congiunto con la moglie.
Furono inoltre sentiti dalla Corte numerosi testimoni sulla esistenza
del rapporto tra la vittima ed il presunto amante D’Angelo. Infatti tale Luigi Mandato, dipendente di Evangelista Sagnelli riferì di aver
sorpreso in atteggiamento intimo nello scantinato della casa del Sagnelli la
Pascarella con il D’Angelo e che entrambi gli offrirono dei dolci per ottenere il silenzio ma che lui non volle accettare.
Un altro teste tale Gaetano Fedele,
riferì di aver ricevuto l’incarico dalla Pascarella di consegnare al D’Angelo
un biglietto col quale gli richiedeva
delle pillole per abortire ma poi la donna non gli consegnò più il biglietto. Domenico
Correra, sentì invece la Pascarella
che sospirava nel negozio del suocero: ”Quando
vieni… quando vieni?”… ed a sua domanda gli disse che attendeva il
D’Angelo. Vincenzo Russo riferì di
aver avuto in custodia dalla Pascarella un biglietto che non lesse che doveva
consegnare il giorno seguente ma fu smentito dalla madre Filomena Zuppa. Filomena
Magliocca e Giuseppina Vinciguerra
(altre due capere) riferirono alla Corte di aver notato più volte la
Pascarella nell’auto del D’Angelo. Filomena
Cioffi, dichiarò di aver visto il D’Angelo in cordiale colloquio con la
Pascarella e che il d’Angelo quando passava con l’automobile vicino alla casa
della Pascarella, faceva continui suoni di tromba. Contro tutte queste
dichiarazioni si opponeva la dichiarazione del Michele D’Angelo che affermò di non aver mai avuto un rapporto
illecito con l’uccisa. “Andavo a far benzina dai Sagnelli -
soggiunse – e facevo il servizio di
noleggio taxi ed una volta trasportai la
Pascarella in occasione di un battesimo e lei mi regalò 10 litri di benzina”.
Anche l’amico del cuore negò: Alfonso
Recupito, affermò di non aver fatto
cenno alcun al rapporto tra la Pascarella ed il D’Angelo. Ma chiarì che era
stata la fruttivendola Maria Petrillo
a dirgli - il giorno della mattina del
delitto – che il suo amico era cornuto.
Durante il periodo istruttorio
il Sagnelli - che appariva sempre
sconvolto – non fu possibile al Giudice Istruttore di interrogarlo e fu sottoposto
a perizia psichiatrica con diagnosi definitiva che “al momento del fatto presentava uno stato emotivo-affettivo ansioso
con riflesso turbe intellettivo ed ideativo a carattere ossessivo per cui la
sua capacità d’intendere e volere era grandemente scemata”. Ecco la chiave
di salvezza dell’imputato…farsi passare per pazzo! Ed inoltre il Sagnelli
all’esame peritale era risultato affetto da lue (ma non si potette accertare se
il suo liquido seminale spermotico fosse idoneo alla fecondazione)
Avv. Alfredo De Marsico |
La Corte di Assise di
S. Maria C.V. con la concessione delle
attenuanti generiche della seminfermità
di mente lo condannava ad anni 15
e mesi otto di reclusione. A pena
espiata doveva essere internato in una casa di cura per almeno tre anni.
Alfonso
Sagnelli, di anni 25 da Maddaloni, arrestato il 30 maggio del 1949
perché aveva ucciso la moglie il 23 aprile dello stesso anno fu rinviato a giudizio – dopo l’istruttoria
formale per omicidio aggravato premeditato innanzi la Corte di Assise del Tribunale di S. Masria
C.V. ( Presidente Carlo Fellicò, a
latere, Victor Ugo De Donato e
pubblico ministero Francesco Andreaggi).
Difeso dagli Avvocati Ettore Botti
e Alfonso Raffone, in appello anche
da Alfredo De Marsico, dovette
fronteggiare l’accusa con la costituzione della parte civile rappresentata
dall’avv. Vittorio Verzillo. Il
Sagnelli innanzi alle Assisi rese un completo interrogatorio. Disse di averla
sposata con amore ma di aver avuto dei sospetti nel momento in cui si sottrasse
alla visita medica. Il colmo dell’ira
che l’aveva armato era stato lo sputo in
faccia e la frase sei un cornuto.
Dichiarò di aver contratto la blenoraggia
(la gonorrea o blenorragia, è una malattia sessualmente trasmissibile causata
dal batterio Neisseria, che infetta le vie uretrali nell’uomo. N.d.R.) e di
avere da tempo la sifilide. Nel corso del dibattimento il pubblico ministero
contestò all’imputato anche la violazione degli obblighi di famiglia. La Corte,
col vizio parziale di mente e con la concessione delle attenuanti generiche lo
condannò ad anni 13 di reclusione. I difensori fecero appello adducendo che
andava riconosciuta l’attenuante dell’onore, in subordine la rinnovazione
parziale del dibattimento, una nuova perizia sullo stato di gravidanza. Nei
motivi la difesa sostenne inoltre che effettivamente la vittima era in rapporto con Michele D’Angelo e che l’imputato nella
mattina del delitto ebbe la certezza del suo tradimento.
Avv. Vittorio Verzillo |
La Corte di Assise di
Appello di Napoli composta da Giulio La
Marca, presidente, Antonio Grieco, a latere e Tito Manlio Bellini, Procuratore Generale, che giudicava in grado
di appello il Sagnelli, vide le cose da un altro punto di vista. Contestò - in
primis – che in coro tutti avevano esclamato che la vittima era una brava donna, mentre prima
avevano detto peste e corna. Secondo
i giudici i sospetti dell’imputato erano una morbosa manifestazione di gelosia
causa anche dei continui litigi: Il padre dell’imputato – stranamente –
parteggiava per la nuora (da viva) ma la detestava da morta. La Corte inoltre
ritenne i testimoni tutti falsi ed inattendibili.
Non vi era certezza sull’adulterio e sula gravidanza. Secondo la difesa del
Sagnelli, poiché era affetto da sifilide e non si accoppiava la moglie era
incinta da un altro. La Corte ritenne questi argomenti utili alla difesa ma non veritieri. “E’ il delitto di un semi-folle geloso e violento”, tuonò il
pubblico ministero. E si domando? Chi era
il provocatore e chi il provocato. “Per
una donna - egli disse – anche se colpevole per la visita medica
questo fatto costituiva una ingiuria atroce. Vi fu una ribellione della donna.
Fu giusta la sua reazione più ingiusta l’accusa del marito. Sospetti e gelosie non
possono uccidere una persona. Il Procuratore Generale chiese un aumento
della pena. La Corte motivò la sentenza “La verità emane da tutto il processo
per i molteplici elementi specifici e generici
accertati è che il Sagnelli,
soggetto psichicamente tarato e di limitata capacità volitiva, torturato
dai sospetti di gelosia per la moglie che per il suo stato morboso tenevano in
uno stato di esaltazione, fu preso da
una turbe emotiva che lo spinse al delitto senza alcuna azione provocatoria. La
Corte di Assise di Appello stima per il delitto di omicidio aggravato di cui si
è reso responsabile il Sagnelli partendo dalla base fissata dalla Corte di Assise
di S. Maria C.V. di anni 24 di
reclusione, ridursi per il vizio parziale di mente di un terzo ad anni 16 e di
un terzo per le attenuanti generiche ad
anni 19 e mesi 8 di reclusione. Inoltre, tenuto conto dello stato di mente
dell’imputato concede allo stesso il beneficio delle attenuanti generiche e lo
condanna complessivamente ad anni 12,
mesi 5 e giorni 10 di reclusione. Ma il prof. Alfredo De Marsico non si
arrese. Produsse ricorso per Cassazione adducendo il fatto che era stata
rifiutata l’attenuante dello stato d’ira e che la sentenza aveva una
motivazione (è un classico!) contraddittoria, illogica e antigiuridico. Fu una
battaglia “tra egregi colleghi”. Alla perizia
anatomo ed istopatologica sulla gravidanza di Alessandra Pascarella, redatta
dal Prof. Vincenzo Maria Palmieri, direttore dell’Istituto di Medicina Legale
dell’Università di Napoli, per la parte civile: “Non si hanno elementi
probativi per la esistenza di una gravidanza, sia pure in fase iniziale”; si
contrapponeva la perizia del Dr. Alfonso
De Vico, di S. Maria C.V. redatta
sul cadavere della vittima. Ma la salvezza per l’imputato arrivò dalla perizia
del Prof. Pasquale Coppola, Primario
Alienista dei Manicomi Giudiziari, in servizio ad Aversa che il 20 novembre del
1949, con uno scritto di 121 pagine
diagnosticò che… “Alfonso Sagnelli incarna una personalità nevrotica
per fattori costituzionali temperomentali. Al momento dell’uxoricidio
presentava una condizione emotivo-affettivo ansiosa con riflesse turbe
intellettive, ideative a tinte ossessive per cui la capacità di intendere e di
volere erano grandemente scemate. Egli può
essere considerato sulla via della
remissione clinica (lui era internato in manicomio allora N.d.R.) della sindrome confusionale che presentò
dopo il reato; tale remissione non è
ancora completa per il Sagnelli è da considerare persona socialmente
pericolosa”.
Fuori carta, come si dice, il perito raccontò che il Sagnelli
aveva pianto quando gli aveva mostrato la foto della moglie, dalle quale era ancora innamorato, apparsa
sul settimanale ”Reportage”. Poi gli
aveva esibito un foglietto sul quale c’era un disegno e la frase: “T’amo e t’amerò, fino all’ombra dei
cipressi. Tuo Alfonso”.
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