Accadde sul Ponte Ferroviario tra Aversa e Casaluce
il 6 aprile 1949
ASSASSINATO DAL FIGLIO DELL’ AMANTE
La
vittima coniugato, aveva vissuto vari
anni “more uxorio”, con la moglie di un
infermiere del manicomio criminale di
Aversa con la quale aveva procreato 5
figli.
Poi aveva abbandonato la donna, passando a convivere con altra donna, più giovane
della prima, durante la relazione
però aveva sedotto e resa incinta una sorella di costei.
Il cadavere della vittima lasciato sul selciato dell’Appia fu
poi travolta da parte di un pesante automezzo subito dopo il delitto
La
sera del 6 aprile del 1949, verso le ore
21,35 i carabinieri di Casaluce venivano informati che sul piano asfaltato
della via Appia – nel tratto Teverola-Aversa a circa 100 metri dal Ponte
Ferroviario, giaceva il cadavere di un uomo. Accorsi sul posto constatavano che
il cadavere, riconosciuto subito per quello di Salvatore Iuliano, di anni 49 nato a Teverola, domiciliato in
Marano di Napoli e residente da qualche tempo ad Aversa ( per ragione del suo
commercio di cavalli) giaceva per terra,
con la testa che presentava ferite di punta e taglio anche al volto, con
escoriazioni sul palmo della mano destra ed altre ferite da arma da fuoco alla
regione cervicale destra quasi
all’incontro della clavicola con lo sterno. Vi erano, a poca distanza dal
cadavere, tracce di colluttazione e ancora più lontano una chiazza di sangue. Difatti,
la Squadra Giudiziaria dei Carabinieri di S. Maria C.V., al comando del Brig. Aniello Romanucci accertò – attraverso
le deposizioni di Giuseppe Ebraino, Salvatore Pellegrino e Luigi Caputo, che il cadavere giaceva,
in un primo tempo, proprio sul punto dove avevano notato la macchia di sangue e
che inverosimilmente verso le 21,35 il corpo senza vita della vittima era stato
travolto da un autotreno - non
identificato – proveniente da Napoli
nell’atto di sorpassare un altro veicolo. Sul passeggiatoio i carabinieri
rinvennero il tamburo di una rivoltella ad estrattore di marca nazionale cal.
380 a 5 colpi, che presentava la canna
centrale leggermente contorta. In 3 dei 5 fori del tamburo notarono tracce di
fumo da recente esplosione. Repertarono altresì, un orologio con la cassa
schiacciata e le sfere ferme alle ore 21, e 25; un portafogli contenente
documenti vari e soldi, l’uno e l’altro appartenenti alla vittima.
Compiute
le relative indagini i carabinieri con loro rapporto riferivano agli inquirenti che lo Iuliano
coniugato con Patrizia De Felice,
aveva vissuto vari anni “more uxorio”, con Gelsomina
Zaccarriello, (moglie di un infermiere del manicomio criminale di Aversa tale Vincenzo Stabile), con la quale aveva procreato 5 figli. Da
circa 4 anni aveva abbandonato la Zaccariello,
passando a convivere in Casaluce con tale Nicolina Tozzi, più giovane della Zaccariello, con la quale Tozzi
ancora conviveva pur avendo – durante tale relazione – sedotto e resa incinta
una sorella di costei a nome Maddalena.
Tuttavia aveva continuato a dare denaro
alla Zaccariello provvedendo così ai bisogni della stessa e dei cinque figli
nati dalla relazione adulterina – ma tra la fine del 1947 ed i primi del 1948,
per sopravvenuti dissesti finanziari non
era stato più puntuale nei suoi impegni la qual cosa aveva dato occasione a litigi sempre più
frequenti.
L’assassino si era trasferito
nell’Italia del Nord in cerca di lavoro.
Negli
ultimi 5 mesi aveva sospeso qualsiasi corresponsione di denaro. Dopo qualche
anno – dall’inizio della relazione predetta la Zaccariello aveva incitato il
figlio 17enne Umberto, nato dal suo
matrimonio con Vincenzo Stabile ad abbandonare la casa paterna ed a vivere con
lei e l’Umberto, aderendo all’invito -
in considerazione delle condizioni economiche dell’amante della madre che in quell’epoca
erano floride – aveva accettato lasciando così il padre e gli altri fratelli. Quando poi le condizioni economiche dello
Iuliano mutarono Umberto Stabile si
era trasferito nell’Italia del Nord in cerca di lavoro, ma dopo circa un anno e mezzo, era stato costretto a fare ritorno a Teverola,
presso la madre tentando inutilmente di trovare
una occupazione. Aveva inoltrato anche domanda di arruolamento nell’arma
dei carabinieri ma la domanda era stata respinta a causa della condotta della
madre. Dopo il risultato di tale domanda lo Stabile aveva cominciato a
riflettere sugli errori della madre e su quello da loro commesso abbandonando
- per il miraggio di una vita più comoda
- il padre e gli altri fratelli. Censurato alle armi per il sevizio di leva era
ritornato in Teverola circa un anno
prima. Sempre senza lavoro aveva cominciato a litigare con la madre alla quale
faceva risalire la causa di tale sua situazione. Il suo risentimento era esteso
– naturalmente – allo Iuliano col quale tuttavia aveva continuato a mantenere
rapporti apparentemente normali. Nel
dicembre del 1948 si era presentato ai carabinieri di Aversa denunciando che
ignoti ladri gli avevano sottratto una bicicletta, da lui momentaneamente
lasciata incustodita nell’interno di un portone - bicicletta appartenente
all’amante della madre – dal quale l’aveva ricevuta in prestito la sera
precedente. I carabinieri non avevano creduto al furto ed avevano tratto in
arresto lo Stabile per simulazione di reato. Lo Stabile – a sua volta – aveva
creduto che il suo arresto fosse stato determinato dall’intervento dello Iuliano
ed anche questo aveva contribuito a
troncare i suoi rapporti con l’ex amante della madre. Un mese prima del
delitto, lo Stabile si era presentato ai
carabinieri di Aversa richiedendo di diffidare lo Iuliano a corrispondere
all’ex amante la somma di lire centomila vivendo la stessa nella più squallida
miseria e facendo presente che lo Iuliano se non avesse ottemperato alla
richiesta egli sarebbe stato capace di ucciderlo. Lo Iuliano, dal canto
suo, aveva fatto presente che già aveva dato abbastanza quando aveva
abbandonato la Zaccariello – le aveva dato centomila lire, una vacca lattifera e continuando a
corrispondergli 10 mila lire al mese e che le condizioni economiche del momento
non gli consentivano di aderire alla
richiesta e che comunque avrebbe fatto il possibile per non privare degli
alimenti i figli adulterini. Avvertito delle minacce dello Stabile aveva
risposto che questi avrebbe trovato pane per i suoi denti. I carabinieri
accertarono, altresì, che nel dicembre del 1948 lo Stabile – dopo che era stato
dimesso dal carcere – ove era stato associato per simulazione di reato – aveva
acquistato dall’armiere Luigi Perletti
di Aversa, una pistola avancarica cal.
16 pistola che aveva poi rivenduto allo
stesso armiere il 10 marzo del 1949. Due giorni prima del delitto – si era
ripresentato dallo stesso armiere per l’acquisto di una pistola chiedendo,
però, che la vendita non venisse segnata nei prescritti registri. L’armiere non
aveva accettato la condizione e pertanto la cessione dell’arma non avvenne. Lo
Stabile si era dovuto rivolgere ad altri riuscendo nell’intento, perché un suo
fratello uterino, di nove anni, a nome Salvatore,
il 7 aprile aveva dichiarato che tre
giorni prima aveva visto nelle mani di Nicola una pistola nichellata.
La preparazione del
disegno criminoso!
Risultò,
inoltre ai carabinieri, attraverso le dichiarazioni della Gelsomina Zaccariello, che lo Stabile il 5 aprile era andato dal
padre ad Aversa per chiedergli del denaro, ricevendo, però, un netto rifiuto. E
che nello stesso giorno aveva parlato a lungo con Umberto Iuliano (figlio dell’ucciso) dal quale la Zaccariello aveva
detto di avere appreso la notizia che lo stesso si era recato ad Aversa presso
il padre perché gli doveva consegnare un lettino da far recapitare alla sua
fidanzata Carmela Montanino, da Castel
Cisterna (Napoli), ma poiché la vittima
si trovava a Nola per una fiera, il
ragazzo era ritornato a Teverola. Verso le 18,30 di quello stesso giorno il
padre ritornato ad Aversa, lo aveva informato di aver incontrato lo Stabile il
quale il quale gli aveva detto di fermarsi a Teverola nel suo viaggio di
ritorno a Casaluce – (lo Iuliano
conviveva in Casaluce con la nuova amante Nicolina Tozzi) perché doveva consegnargli una
lettera. Al ritorno da Casaluce - verso le 19,30 raccontò ancora il giovane - aveva incontrato lo Stabile il quale gli aveva
chiesto se il padre (la vittima) fosse presso la Tozzi, e se fosse ritornato a
Casaluce con la bicicletta o con il treno. Infine, precisò, che lo Stabile
(l’assassino) appariva agitato ed in orgasmo e che si era rifiutato di
consegnargli una lettera adducendo che avrebbe voluto consegnarla
personalmente. Egli era rimasto ad Aversa – per custodire gli animali, mentre
il padre – in bicicletta – era partito per Casaluce. E’ la fase della preparazione del disegno criminoso!
Gli inquirenti attribuiscono molta importanza a questi attimi per definire una eventuale premeditazione del delitto. I
carabinieri, dopo gli ultimi sviluppi denunciarono lo Stabile quale autore
dell’omicidio. Undici giorni dopo il delitto lo Stabile si costituì nelle
carceri giudiziarie di S. Maria Capua
Vetere esibendo una rivoltella priva di tamburo e con l’arco posteriore del
grilletto ammaccato. Interrogato dal magistrato di turno dichiarò che quattro o
cinque giorni prima del delitto aveva chiesto all’ex amante di sua madre di
trovargli un posto di lavoro come
autista. Lo stesso gli aveva promesso di
interessarsi e di ripassare da lui dopo alcuni giorni.
Il racconto dell’assassino
Si
era recato a Aversa ma aveva appreso da figlio Umberto che il padre si recato al mercato di Nola e
sarebbe ritornato dopo mezzogiorno. Poi aveva
incontrato Salvatore Iuliano, il quale gli aveva detto di segnare su un
foglio di carta le sue generalità,
l’indirizzo e il grado della patente di guida. Di chiudere il tutto in
una busta perché egli l’avrebbe consegnata alla persona alla quale l’aveva
raccomandato. Verso le 18,00 era ritornato a Teverola, aveva atteso per un poco e poi si era avviato
verso Casaluce per consegnare la lettera all’amante dello Iuliano. Si era poi – dopo la vana attesa – riportato
ad Aversa. Poco prima del cavalcavia ferroviario aveva incontrato lo Iuliano in
bicicletta il quale ad un fischio si era fermato. Salvatore Iuliano, però, lo
aveva apostrofato: “Questo cornuto sta
ancora dinanzi ai miei piedi”, tirandogli, nel contempo, un calcio alla gamba destra (a conferma di
tale ultimissime affermazioni – mostrava al magistrato che lo stava
interrogando – una crosticina ematica disseccata
alla faccia anteriore della gamba destra). Tirato il calcio lo Iuliano aveva
abbandonato la bicicletta e gli si era lanciato addosso dandogli pugni e
ceffoni. Egli gli aveva risposto che nel pomeriggio lo aveva accolto ben
diversamente ma lo Iuliano aveva estratto una pistola ed aveva esploso contro
di lui un colpo andato a vuoto. Egli, allora, aveva afferrato il polso dello
Iuliano, ed era riuscito a disarmarlo ma lo Iuliano con una mano gli aveva
afferrato i testicoli stringendoglieli forte e con l’altra mano la sciarpa
che portava al collo. Intuendo
che sarebbe stato ucciso se avesse perduto il possesso dell’arma, aveva sparato
un colpo e poiché l’altro continuava a stringergli forte i testicoli aveva
sparato tutti i colpi di cui era munita l’arma. Cio nonostante lo Iuliano aveva
continuato a tenerlo avvinto ed allora egli per liberarsi – lo aveva percosso
alla testa con l’arma che aveva impugnato per la canna. Lo Iuliano,
finalmente, era caduto a terra
esclamando : “Madonna, madonna”. Egli allora si era impossessato della
bicicletta ed era fuggito.
Gli
inquirenti avevano avuto subito delle perplessità sul fantasioso racconto
dell’assassino e tuttavia, fu accertato però, che il tamburo dell’arma era
saltato nel momento in cui usava la
pistola per colpire alla testa il suo avversario. Nel corso dei lunghi interrogatori ammetteva
che lo Iuliano era stato amante della madre dichiarando che con lo stesso era
stato sempre in buoni rapporti
ammetteva, infine, di aver comprato nel dicembre del 1948 una pistola a 2 canne presso l’armiere Luigi Perletti, in Aversa.
Fu condannato a 18 anni di carcere. La pubblica accusa
aveva chiesto l’ergastolo. L’imputato aveva chiesto la legittima difesa. In
appello la condanna scesa a 14 anni.
Umberto Stabile venne rinviato a giudizio per
omicidio aggravato dalla crudeltà e
dalla premeditazione, nei confronti di Salvatore
Iuliano, e giudicato dalla Corte di
Assise di S. Maria C.V. (Presidente Pietro
Giordano, giudice a latere Victor
Ugo De Donato, giudici popolari: Luciano
De Gennaro, Vincenzo Cogliandro, Pasquale Auriemma, Giuseppe De Rosa, Giovanni
Perretta, e Giuseppe Della Rosa; Pubblico Ministero Pasquale Allegretti, cancelliere Domenico Aniello e ufficiale giudiziario Giuseppe Girardi e con la concessione delle attenuanti generiche e
quelle per aver agito in stato d’ira (determinato da fatto ingiusto altrui) fu condannato a 18 anni di carcere. Il
pubblico ministero d’udienza però aveva chiesto per l’imputato la pena massima
dell’ergastolo. La Corte, invece, alla
pena dell’ergastolo sostituiva, con la concessione delle circostanze generiche,
la pena di anni 22 di reclusione e
questa pena veniva poi diminuita di altri 4 anni per l’attenuante della
provocazione. Vi fu anche la condanna al risarcimento della parte civile con la
cifra di un milione di lire. Come sempre accade della sentenza non fu soddisfatto nessuno.
Produssero appello, infatti, sia il condannato e sia il procuratore generale
adducendo il primo che “la Corte avrebbe dovuto assolverlo per avere
egli agito in stato di legittima difesa ed in subordine avrebbe dovuto
dichiararlo colpevole di omicidio
colposo per avere ecceduto per colpa i limiti imposti dalla necessità e sempre
più subordinatamente avrebbe dovuto escludere
le aggravanti della premeditazione e della crudeltà e riconoscere il
motivo di particolare valore morale e sociale e partendo dal minimo della pena
ed applicare nel massimo le riduzioni conseguenti alle attenuanti.”
Il
Procuratore Generale, dal canto suo, dopo aver insistito per una condanna
all’ergastolo, aveva argomentato che “la
Corte aveva errato nel riconoscere la esistenza della provocazione perché era
partita dalla premessa che l’ucciso era colpevole di grossi torti verso la
madre dell’ imputato per averla abbandonata, dopo averne distrutto l’esistenza
con la seduzione esercitata anni addietro fino ad indurla ad abbandonare il
tetto coniugale, sottraendosi al dovere di alimentare i figli nati dalla lunga
relazione adulterina e che lo Stabile uccidendo lo Iuliano aveva agito in
rivendicazione non soltanto dell’interesse materno ma anche nell’interesse
proprio, perché lo Iuliano col suo comportamento aveva pregiudicato la sua
ascesa sociale non elidendo fattivamente le conseguenze collaterali sul suo
operato sospendendo anzi quei sussidi
economici alla sua ex amante che gli
avrebbe forse consentito di attendere, con più fiducia e senza precipitazione
alla ricerca di una sistemazione”.
Tali
premesse – secondo la pubblica accusa – dovevano ritenersi errate perché “non era
vero che Gelsomina Zaccariello
avesse abbandonato il tetto coniugale – perché spintava dallo Iuliano – ma
perché ne era stata scacciata dal marito – che aveva scoperto la tresca col suo
amante. Non vi era alcuna norma – concluse la pubblica accusa – né morale né
giuridica che obbligasse l’amante a continuare ad alimentare i figli legittimi
della propria amante. In ogni caso pure dopo l’abbandono della Zaccariello lui
aveva continuato a corrispondere alla
stessa mensilmente somme di denaro e se negli ultimi tempi – avesse sospeso
tali elargizioni - era dovuto alle
mutate condizioni economiche.
La
Corte di Assise di Appello di Napoli (Presidente Giulio La Marca, giudice a latere, Antonio Grieco, procuratore generale Tito Manlio Bellini), con sentenza del 19 giugno 1952, giudicando
in grado di appello ed in parziale
riforma della sentenza della Corte di
Assise di Santa Maria Capua Vetere, del 21 novembre del 1951, condannava ad
anni 14 e mesi sei di reclusione Nicola Stabile, accusato di omicidio aggravato
premedito in danno di Salvatore Iuliano. La Corte, disattendendo la richiesta
della pubblica accusa (anni 22 di reclusione) ma accogliendo la esclusione
delle attenuanti della provocazione e la legittima difesa, chiesta dagli
avvocati Enrico Endrik, e Pasquale De Gennaro, rigettava, inoltre le richieste delle
attenuanti dello eccesso colposo, della premeditazione, della crudeltà, dei
particolari motivi di valore morale,
riduceva la pena ad anni 14. La motivazione fu che “l’imputato venne a trovarsi in una situazione psicologica
il quale aveva perduto anche la speranza di poter ricevere il perdono
paterno – tante volte invocato –questo elemento toglie anche al reato – quella gravità naturalmente insita nel fatto di chi deliberatamente sopprime una vita
umana”.
Fonte: Archivio di Stato
di Caserta
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