Camillo Davigo il peggiore dei giudici, che eleva la sua morale personale a valore vincolante dell'etica pubblica, a metro dell'altrui onestà. Non a caso una delle frasi più celebri che vengono attribuite è la seguente: "non ci sono cittadini innocenti, ci sono solo cittadini sui quali non si è indagato abbastanza"...
(*) Io aggiungo la stessa cosa si potrebbe dire di molti magistrati... PIEMME COMPRESO... specialmente quelli delle sezioni Tributarie, del Tar e del Consiglio di Stato...!!!
(*) FerdinandoTerlizzi
di Vincenzo D'Anna*
"Quis custodiet ipsos custodes" recita un celebre brocardo latino
tratto dalle satire di Giovenale. Tradotto: "chi custodirà i sorveglianti
dai sorveglianti stessi?". Un espressione, quella degli antichi Romani,
che ha un grande fondamento di saggezza ed è sovente applicabile anche ai tempi
nostri, ai moralisti ad oltranza, ai severi custodi della legge e dei pubblici
costumi. A tale categoria di intemerati si può iscrivere certamente Piercamillo
Davigo magistrato del pool "Mani Pulite" e successivamente componente
del Consiglio Superiore della Magistratura nonché presidente dell'Anm,
l'Associazione Nazionale dei Magistrati. Costui non è stato solo un giudice
intransigente ma anche un togato etico, ovvero fermamente convinto che coloro
che non condividevano il suo stile di vita, oltre alle idee politiche ed alla
mentalità giacobina con le quali le portava fermamente avanti, fosse un
potenziale malfattore, un corrotto in potenza che non avrebbe potuto che
trasformare, prima o poi, quell'insana inclinazione ad infrangere le leggi in
un atto concreto. Insomma: stiamo parlando del peggiore dei giudici, che eleva
la sua morale personale a valore vincolante dell'etica pubblica, a metro dell'altrui
onestà. Non a caso una delle frasi più celebri che vengono attribuite è la
seguente: "non ci sono cittadini innocenti, ci sono solo cittadini sui
quali non si è indagato abbastanza". Ed ancora "i politici continuano
a rubare ma non se ne vergognano". Insomma, per dirla alla Davigo: la
politica come luogo naturale dell'illegalità e della corruzione, giammai luogo
della responsabilità e del buon governo della società. In fondamentale presidio
politico e costituzionale, i cui rappresentanti vengono scelti con il principio
del libero voto del popolo italiano in nome del quale la legge stessa si
applica. Un pregiudizio immarcescibile, il suo, che lo ha allineato al queì
giornalisti politicizzati ed agli ambienti che si nutrono di pane e veleno.
Fautore del rito ambrosiano, ai tempi di Tangentopoli, ossia della carcerazione
preventiva per estorcere confessioni da parte dei sospettati, Davigo si è
sempre detto convinto che la corruzione potesse essere contrastata solo con le
manette e la galera, che la Magistratura avesse una funzione vicariante
rispetto all'infida politica e che, pertanto, si dovesse elevare la
giurisdizione alla funzione di controllo preventivo della legge da varare. Non
sono state poche le interferenze pubbliche, e credo anche private, che questa
tipologia di magistrati ha esercitato sui taluni settori del Oarlamento
allorquando erano in discussione norme che riguardavano la giustizia, il ruolo
degli inquirenti (pubblici ministeri) e delle procure della Repubblica.
Insomma: un moderno Robespierre in toga, un fustigatore della società armato di
codice penale sotto la sicura copertura delle prerogative costituzionali che
ancora oggi cancellano anche le colpe e gli abusi delle toghe. Un tenace
assertore di quella grande menzogna che ancora alligna in molti ambienti:
quella che parifica l'indipendenza dei magistrati con la loro impunità
perpetua, alla remissione di errori, abusi e pregiudizi politici. Insieme ai
suoi avvocati, con uno scarno comunicato stampa emanato subito dopo la sentenza
del Tribunale di Brescia con la quale è stato condannato ad un anno e tre mesi
per rivelazione di segreto d’ufficio, Davigo ci ha ricordato che esiste ancora
la presunzione di innocenza. Peccato che per le stesse identiche motivazioni,
nella veste di pubblico ufficiale, l'ex presidente della Regione Siciliana Totò
Cuffaro, fu condannato a quattro anni di carcere, angariato ed allontanato
dalla politica!! Pensate: Davigo, allora, si dichiarò anche contrario alla
sospensione della pena dopo la sentenza di primo grado e buon per lui che la
legge non l'avesse scritta né lui né Gianroberto Casaleggio che all'epoca
perorava una soluzione di quel tenore!! Certo, presunti innocenti lo erano
anche quelle migliaia di cittadini stangati in primo grado oppure carcerati
senza processo, distrutti irreparabilmente nelle loro attività e nella vita
politica esposti alla gogna ed al pubblico ludibrio, salvo poi essere assolti
nei successivi gradi di giudizio!! Chissà, forse Davigo non conoscerà l'onta
del fango spalatogli addosso dai media compiacenti, ed il suo processo finirà
nel nulla come l'affaire Palamara e tanti altri processi che riguardano i
magistrati hanno finora insegnato. Tuttavia perderà almeno quell'alone di
mistico combattente per l'onestà e la moralità, che non poco ha gradito negli
anni. Forse da questa vicenda potrà venire non solo un monito contro
l’estremismo di certi magistrati, ma anche un viatico per una riforma, quella
della giustizia, giustamente messa in cantiere dal governo di centrodestra,
coalizione che più di tutte ha pagato un alto prezzo sull'altare del
pregiudizio e della politicizzazione dei togati. Sono convinto che da una
riforma anche lo stesso ordine giudiziario potrà trarne giovamento comprendendo
che solo il giudice sereno che applica leggi chiare e severe può essere posto a
presidio della legalità.
*già parlamentare
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