NON FU UN PROCLAMA CONTRO ROBERTO SAVIANO
E
ROSARIA CAPACCHIONE
MA UNA CRITICA ALLA
GESTIONE DEI PENTITI
NON TROPPO CRISTALLINA
L’AVV. SANTONASTASO A GIUDIZIO PER CALUNNIA AI PM CAFIERO E CANTONE
Imputati anche Bidognetti e Iovine – Nel documento si ipotizzava un uso poco ortodosso dei pentiti e la spinta colpevolista degli articoli dei due giornalisti – Il proclama letto nell’ultima udienza di appello del processo Spartacus
Caserta – ( di Ferdinando Terlizzi ) - II Pubblico Ministero Dott.ssa Clara De Cecilia, del Tribunale di Roma, ha comunicato agli imputati Francesco Bidognetti, detenuto presso il penitenziario di Parma, Antonio Iovine, difeso d'ufficio dall’avv. Umberto De Cesare del foro dl Roma, e Michele Santonastaso, detenuto a Secondigliano, difeso di fiducia dall'avv. Laura Arena, del foro di Santa Maria Capua Vetere, che si è conclusa la fase delle indagini preliminari ed è stata fissata la prima udienza per il 22 novembre prossimo.
Agli stessi è stato contestato, in concorso tra loro, il reato di calunnia ( aggravata dal metodo mafioso) nei confronti dei magistrati Federico Cafiero De Raho e Raffaele Cantone. Il tutto trae origine dalla lettura di un documento “di remissione alla Corte di Cassazione“ letto dall’avv. Michele Santonastaso, difensore storico di vari boss, ora detenuto per altro, nel corso del giudizio di appello del famoso processo Spartacus.
Una memoria che era stata definita una “vera e propria minaccia” nei confronti dei giornalisti Rosaria Capacchione e Roberto Saviano, laddove sarebbero stati invece definiti semplicemente “stampa prezzolata”. Nella richiesta di rinvio a giudizio, però, non si fa cenno alcuno ai due giornalisti. Pare che la posizione sia stata stralciata e che ora sia al vaglio del Tribunale di Napoli per l’ulteriore corso.
Con riferimento al P.M. Raffaele Cantone ( ora al Massimario della Cassazione ) i tre sarebbero accusati di aver sostenuto che vi sarebbero stati pesanti condizionamenti cui la DDA presso la Procura della Repubblica di Napoli sottopone i giudici della Corte di Appello di Napoli sostenendo tra l’altro che: “E’ difficile trovare nella storia giuridica italiana un esempio altrettanto grave ed evidente di condizionamento dell'organo giudicante, avendo l'accusa tentato di predisporre l’animus del giudice alla stesura di una sentenza, facendo leva su quel diffuso sentimento di timore che serpeggiava tra i giudici a causa dell'ormai consolidato clima di sospetto e di dubbio abilmente alimentato nel corso degli anni”.
La prova viene offerta dalla requisitoria del P.M. dell’udienza del 28.11.03 dove si tenta di imporre all’organo giudicante una condanna all’ergastolo. L'imperativo invito rivolto all’organo giudicante dal PM: ”In questo processo dovrà essere scritto in modo chiaro questo dato”… è di una evidenza sconcertante.
Tale frase viene definita nell'atto di remissione quale “dichiarazione di guerra” ed è posta come una anticipazione di quello che poi sarebbe stata la minaccia esplicita perpetrata nei confronti dei giudici della Corte di Assise di Appello ed anticipazione dell’articolo del quotidiano “Il Mattino”, del 23.04.2004 in cui si pubblicava la notizia che il magistrato Pietro Lignola ( presidente della Corte di Assise di Napoli ) era stato sottoposto a procedimento disciplinare.
“Tali condotte – è detto nell’accusa – vengono indicate come finalizzate al chiarissimo intento di “delegittimare il giudice che non sposasse i teoremi precostituiti della Procura Distrettuale”. Un altro passo che sarebbe stato ritenuto diffamatorio sarebbe quello che riguarda il (pentito) Augusto La Torre.Nella contestazione fatta all’avvocato Santonastaso è specificato il passo relativo alla “gestione” dei pentiti. In particolare è detto: ”Indicando l'introduzione del pentito Augusto La Torre nel processo Spartacus come “il punto più sconcertante toccato ( dagli inquirenti ) nel corso di questo procedimento, una nuova e potente arma da lanciare sul già arroventato ambiente del distretto di Corte di Appello di Napoli”.
Ed inoltre attribuendo all’affermazione del P.M. Cantone “se la sono bevuta”, “l’intento di intimidire i giudice della Corte di Assise dì Appello cercando in tutti i modi di ridicolizzare una loro coraggiosa decisione”, comportamento che, sempre secondo i remittenti, “ si inserisce in un torbido disegno criminosi volto a destabilizzare, con le armi del sospetto e delle tendenziose insinuazioni, la serenità e la obiettività del giudizio della Magistratura Giudicante. Ed inoltre, qualificando nell’atto di remissione illegittime le condotte dei P.M. della DDA di Napoli e del Dr. Cantone in particolare con le frasi: “Legalità, valore calpestato, da chi ha fatto del proprio ufficio e dell'immenso potere che ne deriva, degli strumenti efficacissimi per il perseguimento dell’ideale di machiavellica memoria del fine giustifica il mezzo”.
Poi all’avvocato Santonastaso, e ai due boss, Bidognetti e Iovine è contestato anche la diffamazione per quanto attiene al falso alibi di La Torre ( per il duplice delitto Luciano Rosselli e Salvatore Riccardi, avvenuto nel marzo del 1990 N.d.R. ) “affermando circa la vicenda dal falso alibi del pentito Angusto La Torre, in ordine all’omicidio Rosselli –Riccardi e quindi, circa l'approfondimento investigativo del PM Cantone, in merito all'episodio ed alle relative domande al pentito; “Il P.M. anziché limitarsi ad ascoltare le propalazioni accusatorie del La Torre, pone domande su argomenti fino ad allora mai riferiti dal pentito… l' intento del PM di forzare le dichiarazioni del La Torre cercando in tutti i modi di fargli proferire accuse che in realtà non appartengono alla sfera conoscitiva del collaboratore”… L’Organo Inquirente resosi conto che il La Torre proprio non riesce a percepire l’intento cripto, onde evitare che vengano verbalizzate verità poco convenienti per i fini dell'accusa, rimanda ad un interrogatorio successivo … aggiungendo… “ed infatti nelle successive dichiarazioni rese dal La Torre al PM il collaboratore introduce particolari assolutamente nuovi e sconvolgenti rispetto alla ricostruzione del 21.2.2003”; dichiarazioni che sarebbero state indotte a seguito dell'interrogatorio del 20.9.2003.
Concludendo e commentando in proposito che si sarebbe in presenza di “un caso cristallino di plagio probatorio”. E in ordine al sopraggiunto recupero dei ricordi da parte del pentito, commentando: ”oppure è più probabile che questo apparentemente inspiegabile recupero di ricordi sia dovuto al malizioso suggerimento di un “quidam”.
Ed ancora… “Definendo la richiesta di trasmissione degli atti in Procura avanzata dal P.M. Raffaele Cantone a conclusione dell’udienza del 29.4.2003, nel corso della quale il pentito La Torre coinvolgeva l'avvocato Santonastaso nel suo falso alibi di cui sopra, “una minaccia nei confronti del difensore". “Commentando una presunta comunicazione telefonica tra il PM Cantone e il collaborante La Torre, definito amico del PM, avvenuta al termine dell’udienza del 29.4.2003.
A proposito poi della risonanza data dalla stampa alla vicenda del coinvolgimento dell'avvocato nella costruzione del falso alibi viene definita “quale machiavellica mossa” del PM che “aveva come unico scopo quello di alimentare con gli strumenti del sospetto e della tendenziosa insinuazione, la pressione gravante sulle spalle della magistratura del distretto”... sostenendo falsamente che il magistrato coltivava rapporti can la stampa perché alla “ricerca di pubblicità”.
Con riferimento al PM dr. Federico Cafiero de Raho, commentando, una lettera inviata dalla pentita Adriana Rambone al presidente del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in cui sono lamentate delle omissioni, con la frase: “Il colloquio telefonico intercettato tra il collaboratore di giustizia Giuseppe Pagano e Carmine Schiavone: Schiavone nella predetta intercettazione confida a Pagano “di aver ricevuto un proponimento per accusare Silvio Berlusconi dal comportamento avuto dai magistrati napoletani e ne fa un nome Cafiero”…Dal contenuto effettivo della intercettazione il P.M. di questa accusa rileva invece che “emerge il contrario e cioè una correttezza del magistrato nel gestire i pentiti”.
L’avv. Santonastaso ( che è difeso dall’avv. Carlo De Stavola), ha presentato per l’altro processo ( accusato di trasmettere direttive dei boss, di contribuire ad aggiustare i processi, di impedire la collaborazione degli affiliati ) una memoria da lui scritta, di circa 100 pagine, dove, con ben 34 allegati, confuta punto per punto le accuse mossegli. Si è cancellato dall’Albo degli avvocati, si è rifiutato di collaborare ed ha anche rinunciato al rito abbreviato. Sta esercitando la professione di avvocato “gratis” dei detenuti di Secondigliano… e in attesa ha…“fiducia nella Giustizia!”. Ma di quale?
Frattanto – nonostante la strenua difesa – il professionista casertano rimane in carcere, come ha stabilito il Gip Maurizio Conte, che a luglio ha rigettato l’istanza per gli arresti domiciliari ( anche fuori regione )… “perché - tra l’altro - ha rinunciato al rito abbreviato, che era stato precedentemente valorizzato, in quanto espressione del desiderio di chiudere una pagina della propria vita sottoponendosi al giudizio del giudice…”.
SULLO STESSO ARGOMENTO UN ARTICOLO DE "IL GIORNALE"
I pentiti accusano la polizia: “Manovre contro il premier”
Di sottoosservazioneIl vicecapo della polizia Francesco Cirillo ha avuto contatti con il boss casalese Carmine Schiavone? E risponde al vero che lo ha sollecitato ad accusare Silvio Berlusconi?
Gli interrogativi, inquietanti, vengono sollevati in una interrogazione dal capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri e dal senatore Luigi Compagna, suo collega di partito. Le domande al ministro Maroni si rifanno a un’intercettazione telefonica nella quale il cugino del boss «Sandokan», parlando con un malavitoso di Casal di Principe (Giuseppe Pagano) fa espressamente riferimento a un certo Cirillo. Gasparri e Compagna chiedono urgentemente al responsabile del Viminale di chiarire se il riferimento sia effettivamente al numero due della polizia, all’epoca dei fatti contestati ai vertici del servizio centrale operativo della polizia di Stato, già a capo della divisione che si occupa della gestione dei collaboratori di giustizia. Gasparri e Compagna si rifanno a quanto rivelato dal sottosegretario Nicola Cosentino nella puntata di Porta a porta del 16 novembre, nel corso della quale il vice di Tremonti fece riferimento alle trascrizioni di un’intercettazione fra i due casalesi, cinque giorni dopo le elezioni del 2001. «Nella chiacchierata intercettata – osservano Gasparri e Compagna – Giuseppe Pagano afferma: “don Carmine come andiamo?”. E Carmine Schiavone risponde: “Eh, come andiamo, sempre in guerra con queste merde del Servizio Centrale… comunque se mandi a fare in culo il Servizio… quelli non mollano, perché non possono fare i processi senza di noi”. Pagano risponde piccato: “Ma stai zitto, a me mi fanno avvelenare tutti i giorni”. Schiavone lo interrompe: “Uh, dovessi vedere, stamattina li ho cacciati fuori”. Pagano sembra sorpreso: “Carminuccio, questo non lo devi fare perché te li metti troppo contro!”. Schiavone pare tranquillizzarlo: “Ma, contro, io già ci sto da parecchi anni. Da quando stava quel piecoro di Cirillo che andava cercando che io accusassi Berlusconi… Eh, io gli dissi: ma chi cazzo lo conosce!”.
Questa è una delle quattro intercettazioni «calde» estrapolate dalle utenze (su schede prepagate) di Carmine Schiavone. Gasparri e Compagna chiedono a Maroni di sciogliere subito il dubbio: è lui o non è lui, visto che Cirillo fu alla Dia di Napoli dal 1993 al 1997 e successivamente, fino al 2000, a capo del Servizio Centrale di Protezione, «e dal 2008 a oggi quale vice capo della polizia ha la delega alla Criminalpol nel cui ambito rientra il servizio protezione pentiti»? Gasparri e Compagna chiedono di sapere, inoltre, quali e quanti colloqui investigativi, o contatti, l’attuale numero due della Ps «abbia avuto con Carmine Schiavone e con Giuseppe Pagano, con quali collaboratori di giustizia il Cirillo abbia dato corso a colloqui investigativi, quali collaboratori di giustizia erano affidati al servizio di protezione nel periodo in cui il dottor Cirillo ne era responsabile, ovvero sono affidati da quando il medesimo dottore ricopre la carica di vice capo della polizia». Da chiarire anche come mai i due pentiti avessero la possibilità di dialogare (è vietato per legge) senza timore di essere ascoltati utilizzando schede prepagate intestate a nomi di fantasia.
Il caso delle presunte pressioni per incastrare Berlusconi viene allo scoperto il 13 marzo 2008 nell’aula bunker del carcere di Poggioreale. A farne cenno è l’avvocato Michele Santonastaso, difensore dei boss Iovine e Bidognetti, quando chiede che il processo Spartacus al clan dei casalesi venga immediatamente spostato ad altra sede per legittimo sospetto: da alcune intercettazioni in suo possesso vi è la prova, dice, che i pentiti si incontrano per concordare dichiarazioni accusatorie. Compresa quella di Carmine Schiavone, il cugino del boss Sandokan, nei confronti di Berlusconi. Lo notizia non viene rilanciata perché l’avvocato compie un’ingenuità: nel leggere l’atto in cui motivava la necessità di trasferire il processo, riporta anche le clamorose accuse dei boss a Saviano, ai magistrati, ad alcuni giornalisti. E così delle intercettazioni Schiavone-Pagano (gli stessi che oggi accusano Cosentino) non si parlò più. Ma se ne era parlato prima. Già nel novembre del 2005 una pentita di camorra, Adriana Rambone, aveva parlato di pressioni della Dda. Il prefetto Cirillo ha sempre smentito ogni illazione: «In 25 anni di polizia giudiziaria non ho mai consigliato a nessuno dichiarazioni di alcun genere, i magistrati napoletani hanno già verificato quelle accuse».
Gian Maria De Francesco
Il Giornale
Gli interrogativi, inquietanti, vengono sollevati in una interrogazione dal capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri e dal senatore Luigi Compagna, suo collega di partito. Le domande al ministro Maroni si rifanno a un’intercettazione telefonica nella quale il cugino del boss «Sandokan», parlando con un malavitoso di Casal di Principe (Giuseppe Pagano) fa espressamente riferimento a un certo Cirillo. Gasparri e Compagna chiedono urgentemente al responsabile del Viminale di chiarire se il riferimento sia effettivamente al numero due della polizia, all’epoca dei fatti contestati ai vertici del servizio centrale operativo della polizia di Stato, già a capo della divisione che si occupa della gestione dei collaboratori di giustizia. Gasparri e Compagna si rifanno a quanto rivelato dal sottosegretario Nicola Cosentino nella puntata di Porta a porta del 16 novembre, nel corso della quale il vice di Tremonti fece riferimento alle trascrizioni di un’intercettazione fra i due casalesi, cinque giorni dopo le elezioni del 2001. «Nella chiacchierata intercettata – osservano Gasparri e Compagna – Giuseppe Pagano afferma: “don Carmine come andiamo?”. E Carmine Schiavone risponde: “Eh, come andiamo, sempre in guerra con queste merde del Servizio Centrale… comunque se mandi a fare in culo il Servizio… quelli non mollano, perché non possono fare i processi senza di noi”. Pagano risponde piccato: “Ma stai zitto, a me mi fanno avvelenare tutti i giorni”. Schiavone lo interrompe: “Uh, dovessi vedere, stamattina li ho cacciati fuori”. Pagano sembra sorpreso: “Carminuccio, questo non lo devi fare perché te li metti troppo contro!”. Schiavone pare tranquillizzarlo: “Ma, contro, io già ci sto da parecchi anni. Da quando stava quel piecoro di Cirillo che andava cercando che io accusassi Berlusconi… Eh, io gli dissi: ma chi cazzo lo conosce!”.
Questa è una delle quattro intercettazioni «calde» estrapolate dalle utenze (su schede prepagate) di Carmine Schiavone. Gasparri e Compagna chiedono a Maroni di sciogliere subito il dubbio: è lui o non è lui, visto che Cirillo fu alla Dia di Napoli dal 1993 al 1997 e successivamente, fino al 2000, a capo del Servizio Centrale di Protezione, «e dal 2008 a oggi quale vice capo della polizia ha la delega alla Criminalpol nel cui ambito rientra il servizio protezione pentiti»? Gasparri e Compagna chiedono di sapere, inoltre, quali e quanti colloqui investigativi, o contatti, l’attuale numero due della Ps «abbia avuto con Carmine Schiavone e con Giuseppe Pagano, con quali collaboratori di giustizia il Cirillo abbia dato corso a colloqui investigativi, quali collaboratori di giustizia erano affidati al servizio di protezione nel periodo in cui il dottor Cirillo ne era responsabile, ovvero sono affidati da quando il medesimo dottore ricopre la carica di vice capo della polizia». Da chiarire anche come mai i due pentiti avessero la possibilità di dialogare (è vietato per legge) senza timore di essere ascoltati utilizzando schede prepagate intestate a nomi di fantasia.
Il caso delle presunte pressioni per incastrare Berlusconi viene allo scoperto il 13 marzo 2008 nell’aula bunker del carcere di Poggioreale. A farne cenno è l’avvocato Michele Santonastaso, difensore dei boss Iovine e Bidognetti, quando chiede che il processo Spartacus al clan dei casalesi venga immediatamente spostato ad altra sede per legittimo sospetto: da alcune intercettazioni in suo possesso vi è la prova, dice, che i pentiti si incontrano per concordare dichiarazioni accusatorie. Compresa quella di Carmine Schiavone, il cugino del boss Sandokan, nei confronti di Berlusconi. Lo notizia non viene rilanciata perché l’avvocato compie un’ingenuità: nel leggere l’atto in cui motivava la necessità di trasferire il processo, riporta anche le clamorose accuse dei boss a Saviano, ai magistrati, ad alcuni giornalisti. E così delle intercettazioni Schiavone-Pagano (gli stessi che oggi accusano Cosentino) non si parlò più. Ma se ne era parlato prima. Già nel novembre del 2005 una pentita di camorra, Adriana Rambone, aveva parlato di pressioni della Dda. Il prefetto Cirillo ha sempre smentito ogni illazione: «In 25 anni di polizia giudiziaria non ho mai consigliato a nessuno dichiarazioni di alcun genere, i magistrati napoletani hanno già verificato quelle accuse».
Gian Maria De Francesco
Il Giornale
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