Accadde il 7
settembre del 1947 a S. Cipriano d’Aversa
UN FEROCE DELITTO PER IL
FURTO DI UNA PIGNA D’UVA
Pasquale
Di Donato uccise in un agguato Antonio Paolella
che riteneva avesse fatto sparare al figlio. Vendetta trasversale? Nelle
zone dei Mazzoni lo schiaffo rappresentava una caparra di morte. Quando al
figlioccio si regalava la pistola e non il Rolex… una usanza per fortuna
ora scomparsa.
Lo schiaffo caparra di morte?
A
Casal di Principe o S. Cipriano, nella zona dei Mazzoni, lo schiaffo è caparra di morte? Sembra proprio
di sì e questa storia lo conferma. “Andate
in via Michelangelo Diana, a S. Cipriano, è stato ucciso un uomo”. La
notizia, giunta ai carabinieri era purtroppo vera e questi recatisi sul posto
accertarono che Pasquale De Donato,
un possidente del posto di anni 72, aveva poco tempo prima freddato con vari
colpi di pistola tale Antonio Paolella, un
agricoltore, facoltoso, rissoso e più vendicativo del suo assassino. I
carabinieri accertarono inoltre che il cadavere era stato rimosso dai familiari
e portato nella propria abitazione. Ricercarono subito Pasquale Di Donato (che
alcuni testimoni avevano indicato come il probabile assassino) ma lo
stesso, a conferma dei sospetti, si era già dato alla latitanza. L’esame del
cadavere in sede di autopsia rilevò che era stato attinto alla regione dorsale
con uscita del proiettile dalla parte anteriore del torace nella zona sternale.
I periti settore diagnosticarono che addirittura un proiettile gli aveva
spaccato il cuore in due provocando, così, la morte immediata.
Il movente
Nella
circostanza fu accertato che Girolamo Di Donato, figlio di Pasquale,
aveva sorpreso il giovane Benito Guida
nell’atto di rubare dell’uva in un fondo tenuto in fitto dallo zio di esso, tale Antonio
Paolella,(uva che era di spettanza – a norma di contratto – della proprietà
del fondo signora Clorinda Tancredi). Incollerito, perché credeva di essere
incolpato, quale autore del furto Girolamo Di Donato – che coltivava un fondo
attiguo – aveva redarguito Benito Guida
e ne era scaturito un violento litigio nel corso del quale erano volati ceffoni
e minacce. Avendo il Guida avuto la peggio Pasquale Di Donato, padre di
Girolamo, si era preoccupato (ben
conoscendo i rancori che covavano in zona) di evitare le prevedibili reazioni
dell’altra parte ed aveva preso l’iniziativa di una riconciliazione, pregando tale
Domenico Diana, di recarsi a casa di
Antonio Paolella, zio del Guida, e chiarire la situazione per poter
addivenire alla pacificazione. Purtroppo il Paolella aveva risposto che se ne
sarebbe parlato il giorno successivo, e il Di Donato, informato dal
Diana di tale risposta se ne era allarmato fino al punto di manifestare la
preoccupazione che il Paolella avesse in animo di spingere il nipote a sparare
nel giorno successivo al figlio con il
quale il Guida aveva litigato.
La
preoccupazione del vecchio agricoltore –conoscitore di uomini e usanze della
zona dei Mazzoni – si era avverata. Il giorno successivo, infatti, la mattina
del 7 settembre del 1947, - come il Pasquale Di Donato aveva previsto – il
figlio Girolamo Di Donato, mentre si
trovava sul suo fondo, intento a raccogliere noci, era stato fatto segno a tre
colpi di pistola, fortunatamente andati
a vuoto, esplosigli contro da Benito Guida.
La vendetta
Quanto
era accaduto aveva fatto nascere un proposito di vendetta nell’animo di
Pasquale Di Donato - fermamente convinto – naturalmente che il giovane Guida
avesse sparato per istigazione dello zio Antonio
Paolella, appunto, per attuare la sua vendetta. La mattina del successivo
giorno 8 settembre, Pasquale Di Donato, si era appostato all’imboccatura del vicolo
in cui abitava, in attesa che Antonio
Paolella passasse – come faceva di solito per recarsi ogni mattina in campagna
– ed infatti verso le ore 7 il bersaglio comparve. Appena Antonio Paolella gli era passato davanti, egli si era tenuto dietro
di qualche passo –e senza proferire parola gli aveva esploso contro due colpi
di pistola da una distanza di circa 3 metri ferendolo mortalmente.
Naturalmente, subito dopo il delitto, si era reso latitante. Un classico! Il
tempo della latitanza, spesso, però, non serve per sfuggire alla giustizia… ma
per preparare la propria difesa. E così fu! Dopo 3 giorni dal delitto il Di
Donato si costituì ai carabinieri e fu tratto in arresto. Interrogato dal
magistrato inquirente, nel carcere di S. Francesco a Santa Maria Capua Vetere,
dichiarò di aver sparato contro il Paolella perché questi lo aveva provocato con parole
offensive e bestemmie all’indirizzo dei morti per non aver risposto al suo
saluto quando gli era passato davanti. Una tesi concordata
evidentemente con il proprio difensore per attenuare le responsabilità del suo
proditorio assassinio. Precisò, inoltre, che i suoi congiunti – cioè moglie ed
i figli Girolamo e Paolo, non erano stati informati di quanto egli
aveva in animo fare e che egli aveva ucciso il Paolella perché –conoscendone il
carattere violento – temeva che costui facesse uccidere suo figlio Girolamo.
Tuttavia le successive indagini esclusero che i figli avessero partecipato alla
esecuzione del delitto. I carabinieri infatti denunciarono all’Autorità Giudiziaria
soltanto il Pasquale Di Donato, per
omicidio volontario e Benito Guida
per tentato omicidio nei confronti del figlio dell’assassino.
Ma
spesso, come in questo caso, la voce popolare indicava un movente diverso e
coinvolgeva anche i due figli nella preparazione ed esecuzione del delitto. Gli
inquirenti richiesero ai carabinieri un approfondimento delle indagini e gli
stessi dopo un certo periodo di tempo relazionarono. “Nonostante le più attive
indagini, non è risultato, nemmeno in base a voci correnti nel pubblico, che i
figli del Di Donato fossero coinvolti nel delitto di omicidio e che è da
escludere che costoro avessero potuto istigare il padre a commettere l’omicidio
per la considerazione che il padre, essendo di età avanzata, e perciò prossimo
a morire, non avrebbe potuto scontare un lungo periodo di detenzione laddove
essi, ancora giovani, avrebbero dovuto scontare l’intera pena.”
Quanto
a Girolamo Di Donato i carabinieri, avevano riferito che pur essendo risultato fin dalle prime
indagini che egli si trovava a circa 200 metri di distanza dal luogo in cui era
stato ucciso il Paolella nei momenti il padre aveva sparato, non era da
escludersi che egli avesse indotto il padre ad uccidere dato che unicamente ad
esso Girolamo Di donato si riferiva la causale dell’omicidio, costituita dalle
offese che gli aveva fatto Benito Guida. Riferirono, infine, che tanto Girolamo
che il fratello Paolo si erano resi irreperibili subito dopo la consumazione
dell’omicidio. Dando così ad interpretare che il delitto sarebbe stato concertato dall’intera famiglia di
Pasquale Di Donato.
Da un ulteriore approfondimento investigativo,
invece, vennero fuori altri interessanti particolari. Si accertò, infatti, che
la mattina del 7 settembre, dopo che Benito
Guida aveva esploso i tre colpi di pistola contro Girolamo Di Donato, la madre di costui, Rosa Miele (moglie dell’assassino) si era recata a fare vive
rimostranze nella casa di Antonio
Paolella, zio del Guida e aveva pronunziato, all’atto di allontanarsi la
frase:” Compare Antonio, qua non ne viene bene”, che poteva considerarsi, secondo una
restrittiva interpretazione degli inquirenti, come un preannunzio del delitto
di omicidio commesso nel giorno successivo dal marito di lei. Si appurò,
inoltre - secondo la dichiarazione di tale Gennaro
De Laurentis - che Paolo De Donato, (figlio dell’omicida), verso le 5,30 del
giorno 8 settembre era stato visto mentre tornava, armato di fucile, dalla campagna e si
dirigeva verso la propria abitazione. I carabinieri ipotizzarono – ma ciò poi
fu smentito dalle risultanze processuali – che Paolo Di Donato si fosse recato in campagna per sincerarsi se il
Paolella vi fosse o non andato prima di lui e una volta assicuratosi che non vi
era, avrebbe avvisato il padre che a sua volta poi si sarebbe appostato nel
vicolo e commesso il delitto.
La via della follia come difesa
Secondo gli inquirenti, quindi, il Di
Donato agì per uccidere e premeditò il delitto
attuandolo freddamente, con un
proposito che egli aveva sicuramente
maturato fin dal 7 settembre. Ciò
risulta dalla testimonianza di Domenico Diana; la cui veridicità è
rivelata dalla obiettività con la quale egli ha riferito circostanze
sfavorevoli, ora al Di Donato e ora al
Paolella ed ora al Benito Guida – e risulta, infine, che Pasquale Di Donato
essendo fermamente convinto che Benito Guida aveva sparato per istigazione
della zio Antonio Paolella contro il figlio Girolamo non esitò a dichiarare che
Antonio Paolella “meritava una buona lezione, appunto, che esso Di Donato gli diede, la
mattina del giorno successivo uccidendolo”.
Per
Benito Guida, come in ogni processo, quando non vi sono motivi validi da
addurre, si cerca la cosiddetta “terza via” quella della
follia. Gli avvocati tentarono di farlo passare per pazzo e di evidenziare un gesto isolato e non suggerito dalla
vittima. Ma una perizia - ordinata dal Giudice Istruttore – diagnosticò la sua capacita “di
intendere e di volere”.
Spiegarono
i periti – “non si può parlare di incapacità laddove il soggetto ha ammesso
formalmente di aver esploso ben tre colpi di pistola all’indirizzo del Girolamo
Di Donato (circostanze di tempo e di luogo riferite dallo stesso Di Donato).
Vorrebbe far credere, però, che egli li esplose in aria e ciò al solo scopo di
intimorire il Di Donato, il quale, invece, nel vederlo arrivare nel suo fondo
in località “Fossalevole”, aveva abbozzato la mossa di prendere un fucile
che teneva a portata di mano, poggiato al tronco di un albero, per servirsene
contro di lui. Confermò il Girolamo Di Donato che i tre colpi furono esplosi
dal Guida contro di lui senza che lui avesse minimamente provocato il Guida e che
lo stesso desistette dal reiterare i colpi perché lui gridando al primo colpo
aveva detto: ”Madonna mia mi ha ucciso”.
Due
testimoni, tuttavia, Raffele Diana e
Adelaide Basile, dichiararono che il Guida aveva sparato in
aria. Ma su queste deposizioni i giudici dissero che si trattava di “due
testimoni falsi e compiacenti”, i quali caddero in numerose contraddizione, tra l’altro, non videro materialmente se il
Guida avesse sparato in aria o al Di Donato. Addirittura non seppero spiegare
se l’arma era una pistola o un fucile. Certo è che il Guida portava rancore per
essere stato il giorno precedente schiaffeggiato dal Di Donato. Questi, però
aveva ragione di ribellarsi perché era stato accusato del furto di uva già in
precedenza, uva che invece aveva rubato sempre il Guida.
La condanna
definitiva, dopo i tre gradi di giudizio fu per
Pasquale Di Donato, con la concessione della provocazione a 14 anni di
reclusione. Mentre il Guida venne
condannato – per tentate lesioni – soltanto a sei mesi.
Furono
impegnati gli avvocati: Michele Crispo,
Pasquale De Gennaro, Ciro Maffuccini e Giuseppe Garofalo. Alla parte civile il
prof. Alberto Martucci
Prof. Avv. Alberto Martucci |
Chiusa
l’istruttoria preliminare gli accusati Pasquale
Di Donato, di anni 72; Paolo Di
Donato, di anni 34 anni; Girolamo Di
Donato, di anni 37; Benito
Guida, di anni 17; il primo, accusato di omicidio volontario aggravato
mentre il secondo e terzo furono
accusati di concorso in omicidio
volontario in danno di Antonio Paolella
con colpi di pistola. Il Guida con premeditazione al fine di ucciderlo esplosi
3 colpi di pistola contro Girolamo Di Donato
in S. Cipriano d’Aversa il 7 settembre 1947, tutti furono rinviati alò giudizio della Corte di Assise di
Santa Maria Capua Vetere. Alla difesa
degli imputati si schierarono gli avvocati: Michele Crispo, Pasquale De
Gennaro, Ciro Maffuccini e Giuseppe
Garofalo. Gli interessi della famiglia della vittima, in persona della
vedova Maria Michela Noviello, furono
affidati al prof. Alberto Martucci.
Nonostante
le insistenza degli avvocati difensori della parte civile che propendevano per
la condanna anche dei figli dell’omicida – già in sede di rinvio a giudizio ai due fu notificato un ordine di
comparizione e non un ordine di cattura – così come avevano prospettato anche i
carabinieri. Fu emesso invece mandato di cattura contro Benito Guida che fu
arrestato il giorno dopo il delitto. A dibattimento la situazione era la
seguente: Pasquale Di Donato era stato rinviato a giudizio per omicidio
volontario, mentre i due figli Girolamo e Paolo erano stati assolti per
insufficienza di prove dal concorso in omicidio. Per Guida il reato era stato
derubricato da tentato omicidio a tentato lesioni con armi.
Avv. Giuseppe Garofalo |
I
difensori dell’imputato si battettero
per la esclusione dell’aggravante della premeditazione per l’omicidio e per i
due figli che fossero prosciolti con la più ampia formula e non con quella
dubitativa. La parte civile – invece – attraverso il prof. Avv. Alberto Martucci - insisteva per la
condanna anche dei due figli del Di Donato.
I
difensori di Benito Guida, addirittura,
avevano avanzato una richiesta di completa esclusione del loro assistito “perché
il fatto non costituisce reato”. La pubblica accusa, invece, affermava
che Pasquale Di Donato non potendo fare
a meno di confessarsi autore dell’omicidio ( perchè le prove acquisite, sin dalle prime indagini conclamavano la sua
responsabilità) ha tentato nei suoi interrogatori di far apparire che abbia
agito in stato di provocazione. Anzi – tuonò il pubblico ministero – “egli
ha tentato addirittura di dare ad intendere di aver sparato nella opinione che
il Paolella volesse assalirlo; opinione
questa che era una evidente ed interessata creazione della sua fantasia perché
anche a voler accettare integralmente tutto ciò che esso Di Donato aveva
esposto nella sua narrazione, nel comportamento del Paolella non vi era stato
nulla che potesse costituire manifestazione di propositi aggressivi.
A
riprova di ciò il pubblico ministero fece deporre numerosi testi: Paolo Capasso, Antonietta Venosa, Bianca
Bodin de Chateland, i quali confermarono che il Paolella non aveva
provocato il Di Donato. Il pubblico ministero,
nel chiedere la condanna dell’imputato disse testualmente: “E’
stato apoditticamente accertato invece – che Pasquale Di Donato lo attendeva
all’imbocco del vicolo (come i bravi attendevano Don Abbondio)e quando il
Paolella gli passò davanti e proseguì pacificamente per la sua strada – senza
sospettare minimamente, che la morte
fosse in agguato contro di lui- seguì il Paolella per alcuni passi e gli sparò
consecutivamente i due colpi di pistola alle spalle e da una distanza non
superiore ai 2 tre metri abbattendolo spietatamente: né aggressione né
provocazione”.
Nel corso del dibattimento – ai fini della
esclusione dei due figli alla partecipazione
del delitto – si accertò che Paolo Di Donato era a lavoro a Napoli presso la ditta dei
Fratelli Caserta e quindi non sul posto del delitto. La condanna definitiva,
dopo i tre gradi di giudizio fu per
Pasquale Di Donato, con la concessione della provocazione a 14 anni di
reclusione. Mentre il Guida venne condannato – per tentate lesioni – soltanto a
sei mesi.
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