Accadde a
Maddaloni l’8 gennaio del 1949
UCCISE LA NIPOTE E FERI’ LA SORELLA
PER UN PORCILE IN CONDOMINIO
Giovanni Pascale,
sparò alla nipote, Luigia
Iannotta e ferì la sorella che avevano aggredito la moglie.
IL
FATTO
Siamo nel 1949, a quattro anni
dalla fine della seconda guerra mondiale, un chilo di pasta costa 150 lire (un
centesimo e mezzo di euro di oggi); un chilo di pane, 100 lire; un chilo di carne, 900 lire ( mezzo euro di
oggi); due uova, 60 lire, un litro di vino 105 lire; un paia di scarpe 5.000 lire,
un giornale 15 lire. Si vive nella miseria e nella carestia, intanto a Maddaloni scoppia
l’ennesima tragedia. Tra Giovanni
Pascale, di anni 42 da Maddaloni, arrestato l’8 gennaio del 1949, e accusato di omicidio volontario
aggravato in danno della nipote Luigia
Iannotta e di tentato omicidio della sorella Maria, non correvano buoni rapporti, per motivi di interesse e
particolarmente per il godimento di un porcile facente parte dell’eredità
materna. Frequenti, pertanto, erano i litigi tra i componenti delle rispettive
famiglie - che vivendo in continuo
contatto - nello stesso cortile comune –
non difettavano di occasioni per azzuffarsi. Il giorno 8 gennaio del 1949,
mentre Carmela Catapano - moglie del
Pascale, saliva le scale della propria abitazione – in Maddaloni, invitò,
ancora una volta, la cognata Maria
Pascale a sgombrare il porcile che assumeva essere di esclusiva proprietà
del marito. L’altra rispose che non l’avrebbe sgombrato neppure con
l’intervento delle Forze dell’Ordine perché comune a tutti gli eredi. Nella
discussione a distanza – che diventava sempre più accesa – intervenne la
giovane Luigia Iannotta, figlia di Maria Pascale e consigliò la madre di
smettere ed entrare in casa per pranzare. Il suo intervento fu male
interpretato dalla Catapano che le rivolse gravi ingiurie. L’altra reagì, la
raggiunse sulle scale e vennero alle mani nella mischia si lanciò Maria Pascale. In quel momento Giovanni Pascale – che si trovava nella sua abitazione – intento a
pulirsi le scarpe – si armò di pistola
ed a breve distanza tirò un colpo contro la sorella Maria. La prima, la giovane
nipote Luigia Iannotta, raggiunta
in parti vitali dal colpo,
decedette immediatamente, mentre la seconda, la sorella Maria, pure gravemente ferita, con pericolo di vita, riuscì a guarire dopo 60 giorni di
malattia. Intanto l’omicida scese le scale
ed attraversato il cortile - con
la pistola in pugno – minacciò di sparare contro Vincenzo Palange, che fu
costretto a scappare e contro certa Angelina
Tarquitto, che si intromessa nella lite per fare da
paciere. Intanto il Palange corso dai carabinieri i quali, recatisi
immediatamente sul posto, trovarono l’assassino con la pistola “fumante”
e lo trassero in arresto il quale
consegnò l’arma del duplice delitto.
Interrogato confessò di aver sparato contro la sorella e la nipote allorchè
vide entrambe che percuotevano la moglie e la tiravano per i capelli. I
carabinieri – dopo le prime sommarie indagini oltre a denunziare in stato di
arresto il Pascale – informarono il magistrato inquirente che la moglie
dell’imputato aveva cercato di subornare
alcuni testimoni oculari dell’azione delittuosa del marito. Indurre, insomma nascostamente una persona, con offerta di
denaro o di qualche altro vantaggio, a compiere un atto contrario al suo
dovere: un testimone perché dichiari il
falso in sede giudiziaria. Nel corso delle indagini venne fuori che il
Pascale, non era nuovo a minacce e
sparatorie.
Testimoni
oculari…comprati per dire il falso
Si appurò, infatti, che Angelina
Iannotta, sorella della ragazza uccisa, in altra precedente occasione era
stata fatta oggetto di colpi di arma da fuoco sempre da parte del fratello ma
che i colpi erano andati per fortuna a vuoto. Si venne a sapere, infine, che Giuseppe Catapano, suocero
dell’assassino, aveva indotto - mediante compenso – alcuni testi a deporre il
falso nell’istruttoria e si procedette,
pertanto, contro Michele Fusco, Gennaro
Santangelo, Amelia Finizio, Raffaele Finizio, per subornazione e falsa
testimonianza. Furono tutti interrogati con mandato di comparizione davanti al
magistrato e il Pascale a sua volta confermò le precedenti dichiarazioni
precisando, però, che la moglie stessa stava per essere gettata dalla ringhiera
nel cortile sottostante dalle avversarie. Narrò, poi, in un ulteriore e più
circostanziato interrogatorio, che
addirittura una delle donne – non sapeva precisamente se la nipote o la sorella
– aveva preso per le gambe la moglie e l’altra la teneva per la testa. Fu a
questo punto – nella tema – che stessero
per scaraventare la moglie di sotto che egli fece fuoco contro la sorella e la
nipote per ucciderle.
Ma un poco per la sagacia
degli investigatori – un poco per la coscienza di qualche testimone subito si
aprì una falla tra tutti i presunti fiancheggiatori dell’assassino. Il Michele
Fusco, per esempio, tra le lacrime, confessò di aver deposto il falso
indottovi dal Santangelo e dal Catapano ciascuno dei quali l’aveva compensato
con 500 lire (500 lire del 1949, rappresentano quasi duemila euro di oggi. Si
pensi che un kilo di pane costava 120 lire; la pasta 170 lire al kilo; un litro
di latte 70 lire; un litro di vino 195; un biglietto per il cinema 15 lire). Ma
il primo pentito del processo non si
fermò a quelle rivelazioni. Dichiarò
in seguito che anche Catapano, i due fratelli Finizio e lo stesso Santangelo,
avevano ricevuto danaro per deporre il falso e cioè la circostanza secondo la
quale la moglie dell’assassino stava per
essere scaraventata al suolo. Gli altri testimoni, però, negarono recisamente
di essere stato corrotti e subornati.
La
perizia e l’autopsia
La perizia generica fatta
redigere dal magistrato al perito settore accertò che Maria Pascale era stata raggiunta dal colpo di pistola alla regione
sovraclavicolare sinistra; che il proiettile era penetrato
nella cavità toracica e si erqa fermato nel polmone destro, che nella caduta,
per effetto del colpo ricevuto la donna si riportò frattura della spalla destra
ed escoriazioni multiple al viso e agli arti e che guarì in sessanta giorni ma
che stette in pericolo di vita.
L’autopsia sul cadavere della
giovane Luigia Iannotta, accertò che la stessa era stata colpita alla regione
deltoidea destra dal proiettile che,
procedendo dall’alto verso il basso, lese il lobo del polmone destro, il
pericardio dell’aorta e si intasò nei tessuti sottocutanei del torace. La morte
– diagnosticò il perito settore – fu quasi istantanea dovuta alla imponente
emorragia interna causata dalla lesione all’aorta.
Chiusa l’istruttoria formale
l’imputato fu mandato al giudizio della Corte di Assise del Tribunale di S.
Maria Capua Vetere, competente per territorio. Nella motivazione della sezione istruttoria i giudici ragionarono
sul fatto che, però, non vi fu motivi futili, nè premeditazione. Misero in luce
la circostanza del teste Palange – minacciato e preso dallo spavento - (questi infatti, si gettò dal muro del
cortile sulla strada e riportò contusioni). Come pure la Tarquitto ( altra
teste minacciata ) fu salvata dall’intervento della moglie del Pascale che gli
fece cadere l’arma di mano. I suoi familiari si dettero da fare – scrivono i
giudici nella sentenza – per alleggerire
la posizione dell’imputato e si adoperarono
per accaparrarsi testimoni falsi che dichiarassero circostanze per la
concessione di attenuanti. Tutti i testimoni dovevano confermare che (ma non
era affatto vero!) che la moglie
dell’assassino stava per essere gettata da sopra a sotto. Gennaro Santangelo e Giuseppe
Catapano sono gli sfacciati subornatori raggiunti da prove manifeste. Il
Fusco – dicono ancora i giudici – ebbe una crisi di coscienza e svelò l’indegno trucco nel corridoio della Pretura dopo la deposizione. Gli altri
ebbero mille lire dal Santangelo e 500 dal Catapano e si lagnarono di non aver
avuto altro danaro dopo la deposizione così come era stato loro promesso. Il pentito fu prosciolto. Gli altri
condannati a pene minime. Il tutto per la tenuta di un porcile in
condominio.
FU CONDANNATO A VENTI ANNI DI
RECLUSIONE
IL PROCESSO
La Sezione Istruttoria, a
chiusura della complessa indagine, chiese il rinvio a giudizio – su parere
conforme della Procura della Repubblica – per: Giovanni Pascale, di anni 42; per omicidio aggravato e tentato
omicidio: per Gennaro Santangelo, di anni 62;
Amelia Finizio, di anni 20; Raffaele Finizio di anni, 20; e per Giuseppe Catapano. tutti accusati di
falsa testimonianza. Il primo era detenuto mentre tutti gli altri comparivano
innanzi alla Corte di Assise a piede libero. La contestazione parlava chiaro.
Per avere – in Maddaloni – l’otto gennaio del 1949, sul pianerottolo della sua abitazione
cagionato con un colpo di pistola, sparato alla distanza di circa un metro, la
morte di della nipote Luigia Iannotta.
Inoltre di tentato omicidio aggravato per avere – nelle stesse circostanze di tempo e di luogo – con un colpo di pistola
– sparato alla distanza di circa un metro – al fine di uccidere tentato di
cagionare la morte della sorella Maria
Pascale alla quale per circostanze indipendenti dalla sua volontà con
pericolo dci vita lesioni guarite in sessanta giorni.
Deve rispondere inoltre –
diceva l’ordine di cattura (come prima
si chiamava l’attuale ordinanza di custodia cautelare in carcere) di gravi
intimidazioni in danno di Angelina Tarquitto e Vincenzo Palange poiché con la pistola
in pugno li minacciava di morte. Giovanni Pascale era accusato, inoltre, di
tentate lesioni con arma per aver sparato contro Assunta Iannotta (fatto
precedente accaduto il mese di agosto del 1948 ma denunciato e venuto alla luce
in occasione dei delittuosi fatti di cui ci stiamo occupando) allo scopo di
ferirla, ma, per fortuna, i suoi colpi andarono a vuoto. Allo stesso furono inoltre
contestati i reati di porto abusivo di
armi, sparo in luogo pubblico e omessa denuncia di arma. Gennaro Santangelo, di anni 62; Amelia Finizio, di anni 20; Raffaele Finizio
di anni, 20; e per Giuseppe Catapano, tutti accusati di falsa testimonianza per avere Giuseppe
Catapano, suocero dell’assassino
subornato gli altri a deporre il
falso davanti al magistrato e per avere falsamente dichiarato di essersi
trovati presenti al delitto del Pascale e di avere, inoltre, visto Luigia Iannotta e Maria Pascale di
tentare di gettare dalla ringhiera della scale Carmela Catapano.
La Corte di Assise di Santa Maria Capua
Vetere, con sentenza del 26 maggio del 1951, condannava ad anni venti ed interdizione perpetua ai pubblici uffici e
quella legale per omicidio volontario in danno di Luigia Iannotta. La parte
civile, per Assunta Iannotta fu
sostenuta dagli avvocati Silvio
De Lucia e Vittorio Verzillo. Per l’imputato il Prof. Alfredo De Marsico. In sede di appello, dopo la requisitoria del
Procuratore Generale: “ L’imputato è pianamente confesso, per quanto si
riferisce all’omicidio della nipote
Luigia Iannotta ed al tentativo omicida della sorella Maria. La causale
è pacifica. Il delitto chiuse tutta una serie di litigi. Intemperanze delle
donne linguacciute e irascibili complice il carattere insofferente ed impulsivo
di Giovanni Pascale. La volontà omicida è indiscutibile lui ha ammesso: ”Ho sparato per uccidere”. Tipo di
arma, brevissima distanza, mira precisa,
zona vitale parlano chiaro. Il P.M. chiese la conferma della sentenza di prime
cure. La Corte di Assise di Appello di
Napoli (Presidente Felice Di Lauro, a latere Mario
Sabelli, pubblico ministero Filippo
D’Errico), invece, in parziale
riforma della sentenza della Corte di
Assise di S. Maria C.V. condannò in via definitiva ad anni 16 di reclusione.
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