Il
fatto
La
sera del 20 luglio del 1949, in Aversa, Ferdinando
Lavagna, esplodeva all’indirizzo di Ferdinando
Cirillo, di anni 40, suo cognato,
marito di sua sorella Speranza,
diversi colpi di pistola cagionandone la morte per lesioni ai polmoni e al
cuore. Dopo alcune ore di latitanza si costituì ai carabinieri. Il 9 giugno del
1949 il Lavagna aveva presentato querela contro il Cirillo assumendo che lo
stesso nei primo giorni di settembre del 1948 aveva con violenza abusato della
figliola Nunziata di anni 18 che con lui conviveva. Di tale fatto, esso Lavagna,
era venuto a conoscenza il primo giugno
in occasione dell’ostinato rifiuto della Nunziata a fidanzarsi con un
giovane del posto, le cui ottime
referenze avevano lusingato i genitori
di lei.
Il fantasioso racconto
della fantomatica violenza sessuale
Costretta
fornire adeguata spiegazione di tale strano comportamento, la ragazza aveva
finito col confessare di essere stata posseduta – con violenza – dallo zio
Ferdinando Cirillo, in un pomeriggio del
settembre in assenza della zia Speranza chiamata – per le sue qualità di levatrice – al letto di una
partoriente. Quel pomeriggio la ragazza
– che da molti mesi era ospite della zia - cui era stata affidata per
le sue buone condizioni finanziarie – dalla sua famiglia di origine - si era messa a riposare accanto alla zia ed
era caduta in un sonno profondo. Era stata svegliata dalle insistenti carezze
del Cirillo il quale, in mutandine, gli faceva premessa dci darsi invitandola a
non resistergli. Ella era balzata dal letto
ed aveva raggiunto la porta ma l’aveva trovata chiusa a chiave notando
altresì che i finestrini sovrastanti l’ingresso erano stati sbarrati di guisa
che le sue grida invocanti aiuto erano rimaste inascoltate. Aveva messo tra se
e l’ingresso un tavolo intorno al quale
– per non farsi prendere - aveva girato
per circa due ore. Era caduta, infine,
esausta inciampando in una sedia che l’astuzia dell’altro aveva
frapposto sul percorso. In quel momento aveva perduto la coscienza e la…verginità
e quando – qualche ora dopo era rinvenuta aveva notato sulla camicia evidenti
tracce di sangue. Lo zio presente al suo risveglio – continuò il suo fantasioso
racconto la giovane Nunziata - le aveva
ingiunto – pena la vita – di non rivelare ad alcuno l’accaduto. Giustificava il
ritorno a casa sua per la madre che aveva assunto il posto di domestica presso
la locale caserma di pubblica sicurezza. Venuto a conoscenza dell’accaduto il
padre aveva fatto visitare la ragazza dal Dr. Luigi Gallo, ginecologo, da Aversa, il quale,
dopo alcuni attenti esami, con referto del primo giugno di
quell’anno, diagnosticò che effettivamente la ragazza era stata “deflorata”.
La difesa del presunto
seduttore
Intanto,
(prima ancora che venisse presentata contro di lui la querela) Ferdinando Cirillo, preoccupato per le
gravi minacce che il cognato direttamente e per interposte persone gli faceva
pervenire – nonostante le sue reiterate proteste di innocenza - e le affermazioni che il racconto fatto dalla
ragazza costituiva un affastellamento di evidenti menzogne – presentava un
esposto al locale ufficio di pubblica sicurezza – dopo aver reso note le
minacce di morte alle quali, per vari giorni, veniva fatto segno. E fatto
presente che il Lavagna intendeva consumare ai suoi danni una volgare
estorsione e chiedeva, pertanto agli organi di polizia una adeguata protezione
e nello stesso tempo invitava l’Autorità
Giudiziaria a diffidare il Ferdinando Lavagna perché desistesse dal suo
atteggiamento ingiusto e facesse valere le sue ragioni dinanzi al magistrato
competente.
I
carabinieri, in possesso della querela del Lavagna, eseguite le dovute indagini
– a conclusione delle quali avanzavano la ipotesi che il Cirillo fosse vittima di una calunniosa manovra del
Lavagna, intesa ad estorcere danaro al cognato, che viveva agiatamente, sia per
la professione di ostetrica della moglie e sia per quello che lui possedeva che
gli consentivano di vivere di rendita. I
carabinieri – evidentemente intuendo – ritenevano infondata la querela
affermando, tra l’’altro, che data l’ubicazione della casa del Cirillo (posta
al centro abitato di Aversa in zona signorile) – se la ragazza avesse gridato (
così come aveva affermato nel suo fantasioso racconto dello stupro) le sue
invocazioni sarebbero state necessariamente raccolte dalle numerose persone abitanti
nello stesso cortile. Che la ragazza stessa era indicata vox populi come dedita a facili amori ed aggiungendo che
doveva reputarsi rispondenti a verità quanto aveva affermato il Cirillo che
cioè la Nunziatina si era allontana dalla casa degli zii perché insofferente
dei continui richiami che gli stessi le facevano e dei divieti che volta per
volta le ponevano di non frequentare determinate persone e determinati
ambianti. Verificatosi l’omicidio, gli stessi carabinieri scagionarono ancora una volta l’ucciso da ogni colpa. Nel
corso delle indagini si appurò che la condotta della giovane aveva più volte
provocato i rimproveri della zia Speranza che avvertiva in pieno la
responsabilità delle sue funzioni di seconda madre della ragazza e che
costei, alla fine, stanca degli
interventi della zia, e della presso il padre e dei richiami cui veniva
frequentemente sottoposta aveva preso in uggia la casa del Cirillo ed aveva
fatto ritorno preso i suoi a Capua, affinché, nell’assenza costante di costoro,
potesse vivere più liberamente e comportarsi secondo i propri capricci e coltivare
i suoi numerosi amorazzi.
Il racconto dell’assassino
Quando
furono note le accuse e le minacce rivolte
dal Lavagna al Cirillo, buoni amici si
interposero per persuadere il Lavagna
che quanto la figlia gli aveva raccontato non corrispondeva a verità. Gli fu
fatta ancora una volta il nome dell’Arpaia – ma si accontentò delle proteste di
innocenza di costui nonostante gli episodi che gli erano stati riferiti. La
stessa voce del figlio Costantino, che accusava la sorella di soverchie tenerezze per
l’Arpaia rimase inascoltata.
Quando
Aniello Romanucci, capo della
Squadra Giudiziaria dei carabinieri lo interrogò, Ferdinando Lavagna disse di essere
stato spinto al delitto per ragioni di
onore. Riferì, inoltre, che dopo aver appreso della violenza subita dalla figlia aveva invitato il cognato ad
allontanarsi da Aversa – perché lo sdegno ed il dolore non si rinnovassero in
lui – ad ogni incontro e non gli facessero sorgere nell’animo propositi
delittuosi. Raccontò, poi, che si era finanche rivolta ad un avvocato (ma lui
credeva veramente che la figlia era stata sedotta dal cognato), per la
persecuzione penale del responsabile e si sarebbe appagato del pronunziato del
giudice ove il Cirillo avesse serbato un contegno prudente che denotasse
pentimento del malfatto. Il Cirillo, invece, aveva tenuto un comportamento
provocatorio, manifestandogli nei molteplici incontri – resi inevitabili dalla
vicinanza delle rispettive abitazioni – derisioni, disprezzo, con sorrisi
beffardi ed evidenti allusioni.
Questa è la
pistola, vendica il tuo onore, uccidi tuo zio!
Il Sen. Avv.to Pompeo Rendina, con il nostro direttore( a destra ) |
Si
era, allora, fatta strada nella sua mente l’idea del delitto. In un primo
momento gli era sembrato naturale che fosse la figlia a vendicare il suo onore
ed all’uopo aveva acquistato una rivoltella dall’armiere Luigi Perletti di Aversa,
impartendo alla figlia lezioni sul maneggio dell’arma. La Nunziatina,
però, si era dimostrata incapace all’uso della rivoltella. Il giorno 20 luglio
del 1949, mentre portava in giro la sua merce col carrettino, si era imbattuto
nel Cirillo che innanzi alla vendita di tabacchi Sapio fumava in compagnia di amici. I loro sguardi si erano
incontrati e negli occhi del Cirillo aveva letto le provocazioni di sempre. In
preda all’ira era corso a casa ad
armarsi ma ritornato sulla strada era riuscito a dominarsi. Riavvicinandosi
sulla via del ritorno al luogo dove poco prima aveva visto trattenersi il
Cirillo, aveva lanciato, ripetutamente la voce delle sue mercanzie nella
speranza che quegli si allontanasse. Il Cirillo, però – sempre secondo la sua
versione dei fatti – aveva continuato a guardare in segno di sfida. Quando si
era trovato a pochi metri da lui il Cirillo gli aveva riso in faccia. Aveva egli
allora estratto la rivoltella ed aveva fato fuoco contro l’avversario e lo aveva rincorso quando aveva cercato
scampo nella fuga. Consumato il delitto si era rifugiato in Lusciano presso il
cognato Antonio Melito, decidendo di
costituirsi ai carabinieri soltanto dopo aver saputo che il cognato era
deceduto. A contestazione negava di essere stato informato dalla sorella o da
altri della condotta frivola della figliola.
Parlano la moglie e la
figlia dell’assassino
Oltre
ai testimoni: Almerindo de Cristofaro,
Carlo Tammaro, Giovanni Manna e Gabriele Lucarelli furono subito
interrogati i diretti protagonisti della scabrosa vicenda. La moglie, Fiorentina Melito, in proposito –
dichiarò che quando era venuta a
conoscenza di quanto aveva commesso il Cirillo
ella ed il marito avevano tentato la via dell’accomodamento per soffocare lo
scandalo nel comune interesse, ma il Cirillo alla richiesta di dotare
congruamente la sua vittima si era irrigidito in un netto rifiuto. Il marito
aveva infatti presentato querela – senza però abbandonare il proposito di
ottenere dal colpevole ampia soddisfazione economica. Il Cirillo aveva
perseguito nel suo atteggiamento provocatorio onde lei non era riuscita a
distogliere il marito dai suoi propositi omicidi. Negava la Melito dei rapporti
- men che corretti – tra la figlia e
l’Arpaia e negava, inoltre, di essere stata mai informata della condotta
leggera della figliuola stessa.
La
figlia, Nunziatina Lavagna, confermava di essere stata violentata dalla zio
e negava di avere avuto rapporti intimi con altri uomini precisando che
l’Arpaia era soltanto “un amico di
famiglia”.
A
prescindere – lasciando giustamente ai
magistrati il compito di individuare le singole responsabilità - i carabinieri comunque denunciarono
Ferdinando Lavagna per omicidio premeditato aggravato; la moglie Fiorentina
Melito, e la figlia Nunziata, per concorso nel delitto nonché Alfredo
Arpaia, l’amico di famiglia che nell’immediato dopo guerra era diventato
socio del Lavagna che aveva addirittura rinunciato al posto di spazzino nel
comune di Napoli per commerciare prodotti assieme a lui. Ma quando gli affari
erano andati male entrambi chiesero un prestito a Ferdinando Cirillo di circa
30 milioni che questi negò per le pessime referenze dei due. Di qui l’ipotesi
del rancore e del ricatto e non della violenza sessuale ed infine il barbaro
delitto.
Il
processo
La Corte
di Assise di S. Maria C.V. condannò a 21
anni di reclusione il padre, a 14 la
figlia Nunziata, ed assolse la
moglie, Fiorentina Melito, per insufficienza di prove,
dal concorso in omicidio
premeditato aggravato.
Chiusa
l’istruttoria formale, il Procuratore Generale chiedeva il rinvio a giudizio
del solo Ferdinando Lavagna, nato a
Capua, di 51 anni per omicidio volontario aggravato e il proscioglimento della figlia, Nunziata
Lavagna, di anni 18 e della moglie, Fiorentina
Melito, di anni 48 e di Armando Arpaia, tutti accusati di
concorso in omicidio volontario, avvenuto
il 20 luglio del 1949, in danno di Ferdinando Cirillo per insufficienza di
prove. Il P.G. pur ritenendo calunniosa l’accusa posta in essere dalla
Nunziatina Lavagna, nei confronti di Ferdinando Cirillo, assumeva che
Ferdinando Lavagna aveva agito nell’opinione che il Cirillo fosse colpevole
della violenza carnale addebitatogli. La Sezione istruttoria riteneva, invece, che il Lavagna – consapevole della
calunnia, mossa al cognato, di concerto
con i suoi congiunti, aveva tentato di
estorcere denaro al Cirillo e si era deciso
al delitto, quando aveva avuto la
certezza dell’irranggiugibilità della sua pretesa. La Corte di Assise di S. Maria C.V. (Presidente Pietro Giordano, a latere Victor
Ugo De Donato, pubblico ministero Pasquale
Allegretti) con sentenza del 26 ottobre del 1951, condannò a 21 anni di reclusione il
padre, a 14 anni la figlia Nunziata, ed assolse la moglie, Fiorentina Melito, per insufficienza di prove,
dal concorso in omicidio
premeditato aggravato. Il pubblico ministero d’udienza aveva chiesto
l’ergastolo per il Lavogna e l’assoluzione per la moglie e la figlia. Alla
difesa si schierarono gli avvocati impegnati: Ciro Maffuccini e Giuseppe Garofalo. Per la parte civile gli Avv.ti Pompeo Rendina e Enrico
Altavilla. Non soddisfatti della sentenza ricorsero in appello sia il
pubblico ministero che gli imputati. La
difesa insisteva per il riconoscimento delle attenuanti generiche e della
provocazione nonché dei motivi di
particolare valore morale e non ritenuta la aggravante della premeditazione. La
difesa lamentava anche la mancata assoluzione della Nunziatina per non aver
commesso il fatto. Il P.M. insisteva per una condanna all’ergastolo per Lavagna, e la condanna
per concorso per tutti gli altri. La Corte di Assise di Appello (Presidente Giuliano La Marca, a latere Antonio
Grieco), emise una sentenza di appello il 12 dicembre del 1953, confermando
la pena di 21 anni per il padre e riducendo la pena per la figlia a 6 anni e 8
mesi. Dal canto suo il pubblico ministero d’udienza, il procuratore generale Michele Conti, era di parere diverso e
disse che effettivamente il Cirillo aveva avuto rapporti sessuali con la nipote
ma erano consensuali e la Nunziatina escogitò la violenza per non voler
confessare di essersi data volontariamente
allo zio. Questa tesi – confutarono i giudici di appello – deve essere
rigettata. Se la congiunzione fosse stata consensuale la ragazza non avrebbe
avuto nessuna ragione per lasciare la casa dello zio al quale - dietro promessa
di compenso - si sarebbe concessa. Il
Cirillo pretese che un confronto si svolgesse tra lui e la nipote in casa di Paolo Lavagna, fratello di Ferdinando ed il Paolo Lavagna informò che la Nunziatina – pur mantenendo l’accusa – non
ebbe il coraggio di guardare in faccia lo zio e mantenendo costantemente lo
sguardo rivolto per terra. Il padre era convinto delle accuse della figlia allo
zio “ non potendo giustificare il suo rifiuto di fidanzarsi con un giovane del
posto, di buona famiglia, figlio di
un sarto di Aversa, che abitava abbasso alla scesa, (che per
un certo tempo avrebbe frequentato la casa del Lavagna) di cui non si è fatto
mai il nome nè nella querela né negli
atti successivi è venuta a mancare la possibilità di qualsiasi controllo di veridicità. La gente aveva informato che Nunziatina era
stata vista varie volte a Napoli assieme all’Arpaia. “Infondata e calunniosa – scrissero nella loro sentenza i giudici di
secondo grado – deve ritenersi l’accusa
della deflorazione; che il Cirillo aveva amorevolmente accolta in casa e curata
la nipote senza alcuna differenza tra lei ed i suoi stessi figli; che autore
della violenza doveva ritenersi tale Alfredo Arpaia che aveva saputo irretire
la volubile e corrotta - sul cui onore i
genitori e l’Arpaia avevano inteso
realizzare una piccola fortuna e risollevare in tal modo le loro sorti
malferme”. Ed ancora, “il Cirillo,
sotto l’urto dello scandalo agitato introno al suo nome, avrebbe finito col
cedere versando una congrua somma a tacitazione delle loro losche pretese.
Riferivano infatti i carabinieri – scrivono ancora i giudici di appello – che la
Nunziata frequentava la casa dell’Arpaia – socio del padre in affari e
noto per la sua tendenza ad amori extraconiugali – ed era stato una volta
sorpreso dal fratello Costantino Lavagna in compromettente dimestichezza con
l’Arpaia stesso tra le braccia del quale era stata vista da altri e che circa
un anno prima - all’epoca in cui esso
Arpaia era stato accoltellato dalla moglie di Costantino Lavagna, (fratello di
Nunziatina), per avere ripetutamente attentato al suo onore, la Nunziatina si
era recata – come una forsennata – al capezzale dell’Arpaia gridando…”Alfredo…Alfredo che ti hanno fatto?”,
provocando con tale contegno il risentimento di un cugino, il primo figlio del
Cirillo, il quale le aveva chiesto: “Ma
perché piangi così, è forse questo il
tuo amante?”.
Ma
i giudici di appello approfondirono ancora la vicenda e scoprirono che già
nel primo interrogatorio reso al
magistrato inquirente il 22 agosto – nello stesso giorno in cui veniva
interrogata la figlia – il Lavagna simulava la denuncia di stupro. Inoltre,
dopo oltre un mese e dopo che anche la moglie era stata interrogata il Lavagna
chiese di essere nuovamente sentito ripetendo così la narrazione dello stupro
violento, narrazione arricchita da nuovi particolari, ma con ritrattazione di
circostanze già ammesse innanzi ai carabinieri. Tuttavia una perizia appositamente ordinata
accertava che la Nunziatina era stato deflorata – in epoca non potuta precisare
– pur non essendo adusata al coito aveva avuto però un certo numero di
congressi carnali non superiore ai quattro o cinque.
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