UNA QUESTIONE DI DOTE ALLA BASE DELLA ROTTURA DEL
FIDANZAMENTO?
IL GIOVANE SI DIFESE DALL’AGGRESSIONE DI TRE
FRATELLI DELLA SUA EX
L’equivoco di una lettera d’amore
non letta dalla ragazza perché analfabeta-
Scandaloso per la zona e per le tradizioni arcaiche che venisse interrotta una promessa d’amore…
poteva scapparci il morto… e così fu…..
Il fatto
Verso le ore 21 del 16 agosto
del 1949, in una serata senza luna, i carabinieri di Casal di Principe, vennero
avvisati che poco prima, nel vicino comune di S. Cipriano d’Aversa, era stato
consumato un omicidio e che giunti prontamente sul luogo constatarono che la
vittima, Nicola Serao, di anni 30, era stata uccisa con un colpo di pistola al
petto da tale Salvatore Caterino, di anni 24, da S. Cipriano d’Aversa. Dalle
prime indagini, risultava che, una sorella minore dell’ucciso Iolanda Serao, si era fidanzata – da
circa quattro anni – con il Caterino e questi,
trasferitosi a Battipaglia in Provincia
di Salerno, per ragioni di lavoro,
già pochi mesi dopo il fidanzamento aveva continuato a corrispondere per
lettera con la ragazza e ogni tanto – quando tornava per recarsi presso la sua
famiglia nei fine settimana, andava a visitarla.
Ma, come spesso
accade – migliorata la propria posizione economica, acquisita nuove esperienze
e nuove amicizie, e poi come si dice, lontano
dagli occhi, lontano dal cuore, il giovane aveva diradato le sue visite a
casa della fidanzatina ( minorenne e
analfabeta, ma certamente più sincera e genuina di quelle donne che lui aveva
incominciato a conoscere in quel di Battapaglia, come lui stesso diceva in una
lettera che aveva trovato nel suo nuovo luogo di lavoro “gioventù e denaro”. Insomma, negli ultimi tempi il giovane si era
mostrato indifferente di quel legame e da ultimo – appena qualche settimana
prima – aveva scritto alla fidanzata di volersi sciogliere da ogni impegno. Una cosa normale ed anche naturale… ma
certamente non a Casal di Principe o S. Cipriano, oppure nell’agro aversano,
dove, da sempre, (ma pare che poi il
fenomeno sia scomparso con l’avvento delle nuove generazioni e della nuova
cultura), regnava un clima di
arretratezza e di inciviltà, dove è
fiorita solo la camorra e, come diceva
giustamente Francesco Mastriani, grande scrittore napoletano, la zona della mal’aria. Quindi, il Caterino era legato alle leggi della sua
terra, che egli ben conosceva, infatti,
il giorno del suo dichiaramento con i familiari della sua ex vi si recò – come
si dice “vestito” - cioè munito di
una adeguata difesa che era una bella rivoltella nascosta nella cintola dei
pantaloni.
Dignitosamente la ragazza Iolanda, ( che in questa squallida storia di leggi
balorde e di uomini d’onore ignoranti
e spavaldi, sostenitori di tutta una tradizione di idee sbagliate, retrograde e
antisociali, esce con la testa alta, degna veramente di una eroina come Assunta Spina, descritta da Salvatore Di Giacomo, nella sua famosa commedia) vicino ad un fidanzato che la ripudia
– in una zona infetta – aver risposto che egli era libero di regolarsi a suo
modo, e che ben poteva farsi vedere a casa di lei, quando ne avesse avuto
l’occasione – per ogni possibile chiarimento. Una condotta esemplare ed
encomiabile… quasi fuori dalla realtà sociale di Casale.
In quel giorno, infatti, ( il giorno del delitto) il Caterino si era
recato in S. Cipriano per un ingaggio di mano d’opera; ( lui da semplice
manovale, del resto, come tutti i casalesi, si era industriato imprenditore ed
aveva fatto fortuna con la sua piccola impresa edile) e nell’occasione eveva
anche cercato la sua Iolanda, ma, inutilmente, perché la stessa stava lavorando
in campagna. Però, in serata egli si accingeva a ripartire quando era stato
avvertito – da un giovane amico comune – che la fidanzata lo attendeva a casa
e, tornato là, questa volta in compagnia
di una sua sorella, Michelina Caterino, aveva
trovato – riuniti ad aspettarlo – Iolanda
Serao, con i fratelli Nicola,
Cristofaro e Antonia, assieme al
cognato Francesco De Falco.
Una vivace discussione era
così cominciata tra il giovane Caterino e Nicola Serao, il più anziano dei
fratelli, e in essa era subito intervenuto il De Falco – che essendo la Iolanda
analfabeta ne aveva sempre curato la corrispondenza epistolare - e sapeva il contenuto anche dell’ultima
lettera inviata dal Caterino. Appunto esibendo questa lettera il De Falco
chiedeva di leggerla in presenza di tutti, ma si opponeva il Caterino che addirittura gli strappava il foglio di
mano onde il Nicola reagendo gli gridava. “Esci…mia
sorella la marito io…”. Così scacciato,
il Caterino, usciva seguito da
sua sorella Michelina, ma appena fuori, nel cortile, si volgeva a sfidare il
Serao esclamando: ”Carognoni… chi ha lo
stomaco esca fuori!”.
Una
sfilza di testimoni falsi o compiacenti
Lo raggiungevano nel cortile i
tre fratelli – ma qualcuno si interponeva – e così mentre il Cristofaro
desisteva e l’Antonia veniva trattenuta da tale Giovannina Di Bona, il Caterino si allontanava sulla strada mentre,
mentre il Nicola lo inseguiva e allora il Caterino esplodeva un sol colpo di
pistola fulminandolo.
Dopo tre giorni – di breve
latitanza – il Caterino venne tratto in arresto in quel di Battipaglia.
Interrogato dichiarava ai carabinieri di aver sparato contro Nicola Serao per
sottrarsi alla oppressione congiunta di lui e dei fratelli dopo aver intimato
loro di non avvicinarsi. Negava di aver inviato alla fidanzata una lettera di
congedo e negava perfino di aver pronunziato la frase di sfida che gli veniva
attribuita da testimoni oculari. Il responsabile della Squadra Giudiziaria dei
Carabinieri inoltrava così un dettagliato rapporto all’Autorità Giudiziaria in data 21 agosto del 1949. A conclusione
della istruttoria formale venne spiccato mandato di cattura per omicidio
volontario aggravato contro il Caterino.
Nei successivi interrogatori –
da parte del magistrato inquirente – il Caterino confermava la sua prima
dichiarazione dei fatti ribadendo di non aver mai ritrattato i suoi impegni con
la fidanzata meno che per una questione di dote. Ribadiva che si era opposto
alla lettura della sua ultima lettera unicamente perché questa era “di contenuto intimo e amoroso”. Infine,
aggiungeva, nel corso dei successivi
interrogatori di garanzia (anche se all’epoca non si chiamavano così, alla
presenza del suo difensore di fiducia) che Nicola
Serao lo aveva scacciato in malo
modo, con ingiustificate invettive,
ingiurie e minacce, e che, in ultimo, senza alcuna sua sfida, - insieme ai
fratelli – lo aveva inseguito fin fuori la strada, e quasi raggiunto, tenendo
in pugno un coltello.
In parte le sue asserzioni
venivano confermate sia dalla peroizia balistica che da quella autoptica. Ma
quello che più sconfortava gli
inquirenti – era il fatto che – ad ogni accadimento delittuoso –almeno
all’epoca –ogni cittadino onesto o delinquente che fosse – aveva a portato di
mano una pistola o un fucile con munizioni. Vi era un mercato in nero parallelo
a quello legale, e centinaia erano state le armi, che in quel periodo i carabinieri aveva
sequestrato in ogni famiglia in seguito a
soffiata o perquisizione.
La perizia balistica accertava che Nicola Serao, era
stato ucciso sulla strada a 15 metri circa dall’uscita del cortile e che la sua
morte era avvenuta per “sincope
cardiaca”, da proiettile esploso a distanza superiore a dieci metri e
giunto a ledere il polmone sinistro e il cuore. Nel tempo venivano escussi
numerosi testimoni, tra i quali, i più
attendibili e anche i più disinteressati risultarono Gennaro
Cristiano e Getano Di Bello, che confermarono quanto aveva dichiarato
l’imputato innanzi al magistrato inquirente, e cioè, confermarono la circostanza
secondo la quale il Caterino, mentre scappava ed era inseguito dai tre fratelli
della sua fidanzata aveva sentito – prima che sparasse – una donna gridare. “Acchiappalo…
acchiappalo… perché porta il coltello!”. Questa circostanza – come si potrà
facilmente dedurre - era di notevole importanza per la difesa, perché se fosse risultata vera, avrebbe consentito all’imputato di invocare –
come poi in effetti fece – la legittima difesa.
In contrapposizione a queste
tesi un’altra teste – definita degli inquirenti degna di fede – tale Raffaella Della Corte, andava dicendo
che ella aveva sentito, nella circostanza e durante la consumazione del delitto,
che Michelina Caterino, sorella
dell’assassino, aveva pronunciato la
seguente frase: ”Non ti inguaiare… perché
essi sono tanti e tu sei solo!”.
Nella lunga lista di testimoni
oculari, che spuntavano come funghi, (molti,
però, falsi, altri reticenti, altri ancora subornati, ed altri, infine, per protagonismo o per soldi) gli inquirenti ci andarono cauti.
Ma è strano – del resto – nello stesso
tempo affine ad ogni delitto – specialmente in quelle zone dove anche in ore
notturne ed in zone isolate
spuntino sempre testimoni oculari. Quello che è più strano – però – è che si
dividono quelli a favore e quelli contro l’imputato. Uno di questi, appunto, è
tale Giuseppe Di Puorto, il quale
asseriva di aver trattenuto il Nicola Serao per qualche istante, nel cortile,
senza vederlo, però, armato di coltello. Il contrario, cioè dci quanto aveva
affermato l’imputato ed altri testi
oculari.
CADE L’OMICIDIO
VOLONTARIO – CONDANNA PER OMICIDIO
PRETERINTENZIONALE A 13 ANNI
Un vero successo della difesa dell’inputato affidata agli
avvocati Giuseppe Garofalo e Alberto Martucci
Il processo
A chiusura dell’istruttoria formale la Sezione ordinava il
giudizio innanzi la Corte di Assise di S. Maria C.V., per omicidio volontario,
porto abusivo di armi, sparo in luogo pubblico ed altri piccoli reati. Nel
corso dell’istruttoria dibattimentale, però, si verificava il primo colpo di
scena. La pubblica accusa modificava il
capo di imputazione da omicidio volontario ad omicidio preterintenzionale, con
una richiesta di condanna ad ani 13 di reclusione e con il risarcimento del
danno in favore della costituita parte civile Michela Caterino, vedova e
Antonio Serao, fratello della vittima, con la difesa degli avvocati: Salvatore
Fusco e Alberto Narni Mancinelli . Ma i difensori di Salvatore Caterino,
l’avv. Giuseppe Garofalo e il prof.
Alberto Martucci, lamentavano il mancato accoglimento della diminuente per la
legittima difesa, in subordine, il
beneficio dell’eccesso colposo, le attenuanti generiche e della provocazione,
la riduzione della pena al minimo e la rinnovazione parziale del dibattimento.
Facevano anche la richiesta di una ispezione dei luoghi onde accertare lo stato
di illuminazione, il sito preciso ove era stato rinvenuto il cadavere, la
distanza tra il luogo del delitto e il posto ove si trovavano i testimoni Di
Bello e Cristiano. La Corte di Assise di
Appello di Napoli, (presidente Pasquale Falciatore, giudice a latere, Mario
Sabelli, pubblico ministero, il procuratore generale Angelo Peluso) che
giudicava Salvatore Caterino, per omicidio in grado di Appello, avverso la
sentenza della Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
(Presidente Paolo De Lise, giudice a latere, Ugo Victor De Donato, Pubblico
Ministero, Pasquale Allegretto) del 29
gennaio 1952, con la quale era stato
condannato ad anni 13 di reclusione per omicidio preterintenzionale e porto
abusivo di pistola, nella sostanza, pur rigettando molte delle argomentazioni
fu più favorevole all’imputato. Il pubblico ministero si espresse in modo
negativo chiedendo il rigetto di ogni richiesta. Nel merito i giudici di appello
motivarono la negazione del sopralluogo perché spiegarono che la Iolanda Serao
aveva riferito che nel punto in cui
cadde il fratello era quasi buio. Rigettò la parziale rinnovazione del
dibattimento - chiarendo che la sentenza
di primo grado era stata equa, negando,
ancora una volta, la legittima difesa e
la provocazione…”Su tutti gli argomenti – scrissero i giudici di appello – la
sentenza impugnata si indugia con lunga motivazione rigorosamente aderente alle
risultanze del processo esente da ogni vizio logico-giuridico - e l’appellante nulla adduce che valga
davvero a confutare le risoluzioni negative del primo
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