Translate

domenica 25 giugno 2023

 



Illusioni 

In questa storia di Evgenij Viktorovič Prigožin che marcia su Mosca ci sono due cose che l’opinione pubblica occidentale non ha capito

Falco La prima: l’idea che attraverso un colpo di mano la guerra in Ucraina possa finire. Niente di più sbagliato. Prigožin è un estremista ultranazionalista, alle autorità non rimprovera di aver condotto la Russia in guerra, rimprovera l’eccessiva morbidezza sul campo di battaglia.

Martello Cosa pensa Prigožin di chi vorrebbe la pace? Lo ha fatto capire lui stesso, nei video postati su Telegram. Mentre spiegava le proprie ragioni, brandiva un martello sporco di sangue.

Casus belli Per quanto riguarda la seconda illusione, bisogna fare un passo indietro. Per anni Prigožin ha sempre operato nell’ombra. La compagnia Wagner, le operazioni in Libia, Siria, Africa, Ucraina? Lui non c’entrava nulla. La fabbrica di troll a San Pietroburgo? Figurarsi! La condanna a tredici anni di carcere da ragazzo? Tutte falsità. I contratti generosi con il Cremlino per rifornire le mense militari? Niente di tutto questo. Ogni finzione è caduta con il fallimento del blitz su Kiev, nel febbraio 2022. Prigožin si è tolto la maschera. È diventato un personaggio, il volto dell’ultranazionalismo, ancora più estremo di Ramzan Kadyrov, il ceceno. Per mesi ha criticato duramente il ministro della Difesa, Sergej Kužugetovič Šojgu, e il capo di Stato maggiore, generale Valerij Vasil’evič Gerasimov. Per mesi ha detto che il vero nemico sono loro. Per mesi li ha maledetti, insultati, sbeffeggiati. Lasciando perplessi gli analisti di cose russe: fa sul serio, e vuole prendere il loro posto? o è soltanto un cialtrone? è tutta una strategia di Putin, che vuole tenere i suoi sotto pressione? Di sicuro, tutti questi discorsi ai potenti di Mosca non sono andati giù. Da diversi giorni gli uomini della Wagner al fronte erano stati rimpiazzati da ventisei formazioni di volontari dell’esercito regolare e mandati a recuperare le forze vicino a Rostov sul Don. E il ministero della Difesa aveva imposto ai mercenari dalla compagnia di passare sotto i ranghi dell’esercito regolare. La sua creatura, la più grande milizia privata mai apparsa su qualunque scenario internazionale, sarebbe stata smantellata. Spiega il generale americano David Petraeus, ex capo della CIA: «Finora la tendenza di Prigožin era di mantenere autonomia ma anche ottenere ulteriori risorse. Ed è solo quando Šoigu ha annunciato che tutte le forze irregolari avrebbero dovuto firmare contratti con il ministero della Difesa che Prigozhin si è sentito di forzare la mano. Secondo me sperava di evitarlo. Ma la scadenza era vicina, a fine mese, e allora si è imbarcato in quest’impresa». Spiega Garry Kasparov, scacchista russo, oppositore del regime: «Cosa ha scatenato la rivolta? Il decreto che sanciva il passaggio dal primo luglio di tutte le milizie private sotto il controllo del ministero della Difesa. A quel punto Prigožin non aveva niente da perdere: gli avrebbero tolto il controllo della Wagner e sapeva che sarebbe stato mandato a morire in prima linea».

Spie Nelle cancellerie occidentali, tutti sapevano che la Wagner sarebbe stata sciolta. L’intelligence americana e quella britannica avevano già capito tutto. Persino durante il vertice del G7 di Hiroshima (19-21 maggio) si era parlato di una possibile rivolta.

Equilibrismi In pubblico, nelle sue critiche al potere, Prigožin non ha mai osato criticare Putin. E Putin non ha mai nominato Prigožin. Scrive Angelo Allegri sul Giornale: «Nell’ottica della pura conservazione del potere l’abilità di Vladimir Putin è stata per anni quella di giostrare con maestrìa le forze dei numerosi e contrapposti gruppi di interesse: dagli oligarchi alle tante polizie segrete». Questa volta, però, tutto è diverso.

Pronunciamento Venerdì mattina Prigožin rilascia un’intervista molto più dura delle solite. Accusa tutti i vertici delle Forze Armate russe. Mette in dubbio la versione ufficiale del Cremlino sulla guerra. Dice che dall’Ucraina non era mai venuta alcuna minaccia per la Russia, «il ministero della Difesa cerca di ingannare l’opinione pubblica e il presidente affermando che dall’Ucraina stesse partendo una folle aggressione e che Kiev intendesse assalirci assieme a tutto il blocco della Nato». Spiega che «demilitarizzazione» e «denazificazione» dell’Ucraina sono «pretesti fasulli», che Zelens’kyj «quando diventò presidente era pronto a qualsiasi intesa e tutto quello che bisognava fare era scendere dall’Olimpo e andare a trovare un accordo». Venerdì in tarda serata, nuove dichiarazioni, ancora più dure. «I militari dell’esercito regolare hanno bombardato con dei razzi i nostri accampamenti» vicino a Rostov sul Don. Vuole che il ministro della Difesa e il capo di Stato maggiore lo raggiungano immediatamente. Minaccia: «Siamo venticinquemila e andiamo a fare chiarezza sul perché nel Paese ci sia questo casino». Invita anche le forze regolari a unirsi alla Wagner per ripristinare «la giustizia nell’esercito e in Russia». È un vero e proprio pronunciamento. L’inizio del colpo di Stato.

Rostov All’alba di sabato Prigožin compare di nuovo. È nel centro di Rostov sul Don, annuncia di aver preso il controllo del quartier generale, gli uffici dei servizi segreti, la polizia, l’aeroporto. In pratica: la città è in mano alla Wagner.

Rostov/2 Rostov sul Don è una città importantissima dal punto di vista militare. Spiega il Corriere: «Sede del comando/controllo che dirige la campagna bellica, snodo logistico fondamentale per alimentare le truppe, base per figure importanti. Il colpo di mano ha inciso sulla catena gerarchica, tagliando fuori generali importanti, trasmettendo un segnale al resto dell’Armata. Probabile anche che i wagneriti — organizzazione di 25 mila elementi in totale — abbiano trovato rifornimenti e altro materiale da usare per le tappe successive con la formazione di un contingente agile, bene armato».

Marcia Nuovo video, nuove notizie. Prigožin appare in compagnia del viceministro della Difesa Junus Evkorov e del generale Vladimir Alekseiev, mandati in tutta fretta da Mosca. I reparti della Wagner con la mimetica color ocra, i reparti regolari con la mimetica più chiara. Ma l’incontro non è risolutivo. Prigožin con loro è sprezzante: «Siete dei burocrati. Come prima cosa, datemi del lei». Poche ore dopo almeno 5 mila uomini della Wagner, guidati da Dimitry Utkin, lasciano Rostov sul Don, imboccano l’autostrada M4 e marciano su Mosca. La notizia fa il giro del mondo.

Voronež Poche ore dopo, Prigožin annuncia di aver raggiunto la città di Voronež, a metà strada tra Rostov e Mosca. Non ha incontrato resistenza

Panico La Russia è nel caos. Il presidente Putin non si fa vivo per diverse ore. I fedelissimi e gli apparati dello Stato sono paralizzati dall’incertezza. I conduttori dei programmi televisivi di regime non vanno in onda, non saprebbero cosa dire.

Mentre il Paese precipita nel caos, la televisione di Stato manda in onda un documentario su Silvio Berlusconi.

Traditori Putin appare in televisione solo alle dieci del mattino. È in diretta nazionale. Sembra consapevole della posta in gioco, sa che non deve mostrarsi debole e titubante. Tiene un discorso breve, secco, telegrafico. Usa parole durissime: traditori, terroristi, ricattatori. Si appella all’unità della Nazione. «Una pugnalata alla schiena del nostro popolo». Come nel 1917, quando i bolscevichi «rubarono la vittoria» mettendosi contro il Paese che stava combattendo nella Prima guerra mondiale. «Ci difenderemo da qualunque pericolo, compreso il tradimento interno». Invita gli uomini della Wagner e chiunque sia in armi «a non commettere l’errore fatale» di unirsi a Prigožin.

Fossati La Russia è in preda al panico. Putin decreta la legge marziale nelle regioni di Rostov e Voronež. Le immagini della faccia piena di rabbia di Prigožin finiscono su tutti i canali, i commentatori tivù ora lo attaccano duramente. Spuntano le difese passive attorno a Mosca: fossati sull’asfalto, punti d’arresto con sacchetti di sabbia e mitragliatrici, grossi veicoli industriali utilizzati come barricate, possibile minamento di alcuni ponti sul fiume Oka. Un clima da stato d’assedio. Tutti si chiedono: con chi starà l’esercito?

Voli Dalla mattina fino al tardo pomeriggio di sabato almeno quindici jet privati hanno lasciato l’aeroporto di Vnukovo, uno degli scali di riferimento della capitale russa, per dirigersi fuori dai confini nazionali, verso Istanbul, Bodrum, Baku, Tel Aviv e Duba. Tutti a dire: sono gli oligarchi, stanno scappando.

Frescura Le notizie arrivano negli Stati Uniti mentre il presidente Biden, per sfuggire all’afa soffocante di Washington, sta per partire per la tenuta presidenziale di Camp David. Partenza rimandata, la Casa Bianca si mobilita. Triplo giro di consultazioni. Biden telefona subito a Zelens’kyj («Non intrometterti. Non prendere posizione. Concentrati sulla controffensiva»), poi sente Rishi Sunak, Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Il segretario di Stato Antony Blinken coordina una telefonata collettiva con i ministri degli Esteri del G7, incluso il nostro Antonio Tajani. Quindi il segretario alla Difesa Lloyd Austin sente i ministri della Difesa di Gran Bretagna, Francia, Germania e Polonia. Poco dopo tutti prendono una posizione comune: è una faccenda interna alla Russia, l’Occidente non interferirà in alcun modo. Alla fine, forse anche per rimarcare platealmente il concetto, il presidente Biden parte lo stesso per Camp David.

Giorgia Giorgia Meloni segue lo svolgersi degli eventi dall’abbazia benedettina di Göttweig, nella Bassa Austria, dove ha in programma un vertice con il cancelliere austriaco Karl Nehammer. La missione diplomatica è inevitabilmente messa in ombra. Allarme generale. Dichiarazioni generiche alla stampa, seguiamo-le-notizie-con-preoccupazione, ribadiamo-il-sostegno-a-Kiev, etc. etc. Vertice in video-conferenza con i ministri Tajani e Crosetto, i sottosegretari Mantovano e Fazzolari e i vertici dei servizi segreti. La Farnesina invita gli oltre 5.300 italiani presenti in Russia a muoversi solo per motivi eccezionali, chiede a Mosca di garantire la sicurezza dell’ambasciata. In ogni caso, dice Tajani, «si tratta di una questione interna russa e noi non vogliamo interferire».

Popcorn Sempre il Corriere: «Un alto ufficiale ucraino delle brigate meccanizzate, all’alba, posta la foto d’un soldato che mangia popcorn: la guerra non è un film, ripete sempre Zelensky, ma almeno stavolta godiamoci lo spettacolo d’un nemico in gravi difficoltà…».

Sostegno Putin, oltre alla non-ostilità occidentale, ha incassato il sostegno della Turchia, dell’Iran, delle ex Repubbliche sovietiche centro-asiatiche. La Cina, pubblicamente, non ha detto nulla.

Attesa Nel frattempo, la colonna ribelle in marcia su Mosca supera Voronež, si spinge fin nel settore di Liptsek, poi si ferma. Spiegazione ufficiale: «Attendiamo rinforzi».

Dietrofront Verso sera arriva la notizia che il presidente bielorusso Aljaksandr Ryhoravič Lukašėnka ha mediato tra Prigožin e Putin. Il capo della Wagner rinuncia a marciare su Mosca e si ritira a Minsk. I miliziani che hanno partecipato al blitz non saranno perseguiti penalmente, gli altri potranno firmare un contratto con il ministero della Difesa ed essere arruolati nell’esercito regolare.




Bluff? Il generale Petraeus: «Credo che le avanguardie del gruppo, meno di 5 mila uomini, fossero a 60-90 minuti di distanza da Mosca. Ho tenuto d’occhio le reazioni di tutte le forze di sicurezza per vedere se restavano fedeli a Putin: l’esercito, l’aviazione, le forze speciali, la guardia nazionale Rosgvardiya, l’Fsb, le forze del ministero dell’Interno, del Cremlino e i ceceni, insomma l’insieme di elementi controllati dai siloviki, i leader dell’establishment della sicurezza. Se alcuni di loro avessero appoggiato il gruppo Wagner, si sarebbe scatenata una vera guerra civile. Ora la situazione è molto confusa. Ma potrebbe essere che Prigožin si sia spaventato e si sia reso conto di aver costretto Putin a dirigere tutte le forze contro di lui. In passato è stato molto attento a non criticare mai Putin direttamente, si è sempre scagliato contro Šoigu, Gerasimov e gli oligarchi, ma stavolta ha minacciato Putin. Si stava giocando tutto ma sembra che abbia esitato».

Carneficina De Feo su Rep: «Forse non è un caso che Prigožin abbia proclamato la ritirata proprio quando le avanguardie cecene sono arrivate a Rostov, ingaggiando un paio di scaramucce contro i suoi uomini: il rischio di una carneficina si era fatto concreto».

Cartelli Nello Scavo su Avvenire: «La rimozione da tutta la Russia dei cartelli pubblicitari con cui la compagnia Wagner invitava all’arruolamento segnano la fine di una giornata e di un’epoca»

Ipotesi 1) Prigožin ha tentato la spallata e ha avuto successo, Šoigu e Gerasimov saranno silurati. 2) Prigožin ha tentato la spallata e ha fallito, quando si è reso conto che nessuno lo avrebbe seguito ha fatto dietrofront; 3) è tutto un gioco di Putin che ha inscenato una presunta rivolta per qualche sua oscura manovra di potere.

Segreti Ancora il Corriere: «Fonti militari ricordano una strana voce circolata mesi fa: che l’oligarca ribelle stesse segretamente “parlando” col nemico. Non è un mistero che il Cuoco di Putin, da un decennio impegnato su quasi tutti gli scenari mondiali, abbia rapporti coi servizi occidentali: il legame privilegiato col generale libico Haftar, ex uomo Cia, è sempre stato un ottimo ponte con governi lontanissimi come quelli del Golfo. Di qui, la domanda: Prigožin si è mosso da solo?».

Commenti Donald Trump: «Una grande confusione in Russia, ma attenti a cosa vi augurate. Il prossimo potrebbe essere molto peggio». Mykhailo Podolyak, consigliere di Zelens’kyj. «Prigožin ha umiliato Putin, che non è mai stato il maschio alfa dipinto dalla sua propaganda». Sergej Lavrov, ministro degli Esteri Russi: «I Paesi occidentali non ne approfittino per raggiungere i propri obiettivi russofobi». Il patriarca di Mosca Kirill, dopo una funzione nel monastero di San Danilo, ha invitato i fedeli a pregare per Putin.

Scenari Il primo scenario che gli analisti prendono in considerazione è quello che dice: c’è un nuovo uomo forte in Russia: lo scontro di sabato è stato solo un antefatto, sentiremo ancora parlare di Prigožin. Anche perché bisogna considerare che il 18 marzo 2024 in Russia si vota.

Pessimisti L’altro scenario è lo scenario libico. Il potere statale russo collassato, la Federazione nel caos più totale, in preda a una guerra per bande. Il che, visto l’ingente arsenale di armi nucleari, chimiche e biologiche detenuto da Mosca, non è il massimo.


Mosca secondo il Bulletin of the Atomic scientists dell’Università di Chicago, possiede 4.489 testate nucleari: 1.674 di queste sono pronte all’uso, montate su missili strategici, cioè intercontinentali, capaci di distruggere Washington o Roma. Ma le più insidiose perché apparentemente fanno meno paura, sono le armi tattiche con una gittata dai 500 chilometri in su, dette “da campo di battaglia”. La potenza è limitata: “solo” da un kilotone in su, equivalente alla potenza di mille tonnellate di Tnt. I russi ne possiedono circa 2mila: meno potenti nella distruzione ma ugualmente letali nel fallout [Tramballi, Sole].


Frocio
di Jacopo Iacoboni
La Stampa
Un ex detenuto russo, anche di un certo rilievo, di nome Sasha “Kurara”, ha postato un video su telegram nel quale sostiene che Evgheny Prigozhin – il celebre oligarca che ha ormai ammesso lui stesso di essere il fondatore del Gruppo di mercenari Wagner, uno dei sodali di Putin fin da quando gli apparecchiava la cena a San Pietroburgo (di qui il nomignolo di “cuoco di Putin”, ormai assolutamente riduttivo – è un «gallo», ossia un ex detenuto anche lui, penetrato da uomini, forniva servizi sessuali ad altri prigionieri, e per questo aveva finito per occupare il rango “sociale” più basso nella ferrea gerarchia carceraria.
La storia, un mix cruento di omofobia, scontri ra gang carcerari, sommovimenti nel potere underground russo – che La Stampa non ha potuto verificare indipendentemente – getta una nuova luce su un proclama vergato da Prigozhin il 17 novembre, nel quale l’oligarca annunciava l’intenzione di creare dei battaglioni di “violentati nell’ano”, «non posso metterli assieme agli altri combattenti di Wagner, creerò una divisione apposita».
Prigozhin aveva scritto: «Tutte le società hanno determinate regole di vita. Per esempio, in America è consuetudine che gli uomini si penetrino a vicenda. Le regole del carcere, invece, dicono che non si può stringere la mano a persone di basso rango, “i galli”, “gli offesi”, “gli abbattuti”, “i crestati”». Ora, se fosse vero quanto dice “Kurara” la storia acquisterebbe un senso diverso.
Il video di Sasha inizia così: «Buon giorno, detenuti. Pace e prosperità alle vostre case. Vorrei aggiungermi a quanto già detto da “Grisha” di Mosca, il mio nome è Sasha, mi conoscono come Sasha Kurara. Vorrei farvi sapere che assieme a Evgheny Prigozhin siamo stati in prigione nello stesso periodo. Prigozhin è un pederasta, Prigozhin è un “offeso” (ossia una delle categorie di quelli che hanno ranghi sociali abbassati, in carcere, a causa di inclinazioni sessuali o semplicemente per il loro esser diversi), che in carcere aveva il suo posto, stava al suo posto, e accettava il suo posto.
E ora, voi che vi unite alla sua sua compagnia mercenaria, la Pmc Wagner, vi mettete sotto la scritta “froci”. Dunque, siete comandati e organizzati da un frocio, vi rendete uguali a un frocio, anzi, non uguali, di rango più basso dei froci, perché state sotto un frocio, che in persona mi fece del sesso orale, quando eravamo in prigione, ci divertivamo così. Ti ricordi, Zhenya? Ricòrdatelo, fottuto gallo p..., venivi s...»
In un secondo video lo stesso ex detenuto dice: «Sono qui, se non ci credete, incontriamoci. Mi trovo in Turchia, ad Alanya. Nessun problema a incontrarci. Se non vi taglio la gola, vi fotto in culo. Tutti voi che siete in Wagner, guardate qui, e qui e qui [nel video mostra tutta una serie di tatuaggi carcerari], sono passato attraverso un sacco di cose, nella mia vita, e sono responsabile per ogni singola mia parola. Prigozhin è un frocio, io personalmente l’ho s… in bocca».
Il contenuto di entrambe queste clip è stato rilanciato da diversi account che analizzano il mondo underground russo. Ma Kurara non è il solo che sta mandando messaggi minacciosi a Prigozhin su un suo presunto passato. Il “Grisha” a cui Kurara si riferisce è Grisha “Moskovskiy”, anche lui un bandito e detenuto russo che secomdo alcuni sarebbe a livelli alti nella gerarchia carceraria: anche lui ha minacciato tutti i detenuti russi che accettano di unirsi al Gruppo Wagner dicendo che un uomo che si rispetti non andrebbe in Ucraina a uccidere donne, bambini e anziani.
In questo coacervo di brutalità e tremenda omofobia, il bersaglio di questi video – che sono diventati subito a modo loro virali – ossia Evgheny Prigozhin, tace. Nonostante in questo periodo non si può dire che sia stato parco di esternazioni. Finora non c’è una sua risposta alle minacce e alle allusioni violente di cui questa volta è lui stesso vittima.
Jacopo Iacoboni



Giorno dopo
di Marco Imarisio
Corriere della Sera
È davvero finita. I dubbi su un possibile colpo di coda dell’insurrezione militare spariscono al termine del tour tra i palazzi del potere oggetto degli strali di Prigozhin. Davanti al ministero della Difesa, destinatario privilegiato delle sue invettive più violente, due soldati fumano una sigaretta davanti all’unica camionetta di guardia. La Duma, «un cesso che raccoglie burocrati e nemici della patria», sembra incustodita. Le camionette dell’esercito che sabato piantonavano Kitay Gorod, il quartiere dello shopping, hanno abbandonato nottetempo le loro postazioni. Solo la piazza Rossa rimane chiusa, ma ormai è diventata una abitudine, da quest’inverno viene aperta al pubblico sempre più raramente. «Questa rivolta è un colpo severo all’autorità del nostro Paese, delle nostre istituzioni, e soprattutto a quella del nostro presidente. Quindi, va considerata come un presagio, il pessimo sintomo di una malattia ancora sconosciuta».

Cambio di rotta
Possibile che cambi rotta nel giro di un giorno, tornando a far disquisire i suoi ospiti sull’impellente necessità di bombardare Londra, Parigi o Washington. Ma stupisce che il riassunto migliore dell’inquietudine lasciata dai fatti di sabato sia quello fatto dal propagandista principe nel suo consueto appuntamento radiofonico della domenica mattina, trasmesso in diretta anche dal primo canale di Stato. Vladimir Solovyov non è solo amico e intervistatore prediletto da Putin, è diventato negli anni un personaggio dalle spalle e dalle conoscenze larghe, e quando parla a ruota libera dà spesso voce a quel che si agita nella pancia delle élite moscovite. «Nell’unico momento di scontro, sono stati abbattuti tanti nostri aerei. Era tanto tempo che non si assisteva a una simile tragedia per la nostra aviazione. Ma cos’è questa roba, come è potuto succedere?». La domanda è accompagnata da una faccia che sembra listata a lutto.

L’insurrezione breve
Quel che davvero resta della marcia su Mosca della Wagner è impossibile da vedere a occhio nudo, ma si sente. Nonostante la sua brevità, l’insurrezione ha mostrato la vulnerabilità del sistema putiniano di potere, colpendolo nel nucleo di forza, il suo cardine. Prigozhin ha dimostrato che in Russia è possibile conquistare senza sparare un sol colpo una città da un milione di abitanti come Rostov, arrivando poi alle porte di Mosca senza incontrare la minima resistenza. Il pareggio con cui è finita la resa dei conti non cambia nulla all’entità di questa ferita. Non è un caso che ieri pomeriggio il primo canale di Stato abbia fatto circolare «immagini esclusive» di Putin al Cremlino durante la rivolta, in realtà sono riprese del suo discorso fatte da un angolo diverso dello studio, come se dovesse scacciare l’idea che il Comandante in capo non fosse nel pieno controllo della situazione. Subito dopo, è andata in onda una breve intervista, registrata lo scorso 21 giugno, nella quale afferma che la sua giornata «inizia e finisce con l’Operazione militare speciale».

Lo spaesamento
Anche alcuni commenti di personaggi non certo ostili al presidente lasciano intravedere una sorta di spaesamento collettivo. «Meglio comprare costosissimi biglietti aerei», scrive il suo filosofo di riferimento Aleksandr Dugin su Telegram. «Per superare una diretta sfida alla sovranità del nostro presidente, tra il suo entourage non si è trovata neanche una figura coraggiosa. Solo il sovrano Lukashenko insieme allo stesso sovrano Putin ce l’hanno fatta. La diserzione delle élite è vile». I lati deboli del nostro sistema si sono palesati in tutta la loro «bellezza», aggiunge l’autore che ha ispirato la visione imperialista ed euroasiatica del Cremlino, che conclude sottolineando come tra coloro che invece hanno mostrato il loro sostegno incondizionato in una situazione critica «molti la pensano come Prigozhin»

L’oligarca mistico
Konstantin Malofeev invece benedice la Vergine Maria per non aver fatto crollare la Russia «nell’abisso di una guerra civile». Ma quando passa ai ringraziamenti terreni, l’oligarca mistico che nel 2014 ebbe una parte importante nel finanziamento delle milizie filorusse nel Donbass, oggi proprietario del network Tsargrad diventato organo di riferimento dell’ultranazionalismo, unisce nella stessa frase Putin «per la saggezza e il perdono di chi ha peccato» e Prigozhin con i suoi «gloriosi» eroi della Wagner: «Per il coraggio di sapersi fermare».
Sono segnali di equidistanza che giungono da personaggi insospettabili, e dimostrano come le idee estreme del finanziatore della milizia mercenaria continueranno in un modo o nell’altro a circolare nella società russa, dove ormai hanno attecchito. Al tramonto, l’insegnante di Tver si appresta a risalire sul pullman. «Ma secondo lei, cosa può succedere ora?», chiede guardando verso una delle stelle rosse in cima alle torri del Cremlino. E chi lo sa.
Marco Imarisio

Nessun commento:

Posta un commento