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lunedì 22 agosto 2011








La  Storia  Maledetta della “Circe” di Mondragone

Una festa organizzata per uccidere l’uomo  


ISTIGO’ IL SUO AMANTE E IL SEDUTTORE  DELLA FIGLIA   AD UCCIDERE SUO  MARITO IN CAMBIO  DI PRESTAZIONI SESSUALI ORALI –

FU CONDANNATA PER CORCORSO MORALE  -


S o m m a r i o:

Lussuria e ignoranza, miseria e arretratezza in un comune teatro di camorra il cui consiglio fu sciolto dal Ministro degli Interni Scotti per infiltrazioni mafiose -  La donna assolta in primo grado fu condannata a 23 anni in appello  -  Il Pubblico Ministero Paolo Albano chiese per tutti,  mandanti ed esecutori,  la pena dell’ergastolo -  La difesa degli avvocati  Camillo Irace,  Luigi Iannettone,  Ignazio Maiorano  e   Paolo Trofino.  Il killer e il suo complice condannati a 22 anni di reclusione.  Il mistero delle 3 telefonate anonime il giorno del delitto -

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Mondragone - La mattina del 30 settembre 1991,  in un vialetto isolato,  nei pressi del cimitero,   venne ritrovato,  ucciso da 5 colpi di pistola,  il corpo di Enrico Piscitiello, 46 anni, sposato e padre di otto figli.  Una serie di indizi repertati  dai carabinieri sul luogo del delitto (la giacca e i pantaloni ritrovati macchiati di sangue umano  in casa di Ottavio  portarono  al fermo di due ragazzi: Michele Marucchiello, 20 anni, da tempo amante della moglie di Piscitiello, Petronilla D’Agostino, e Ottavio D’Ambrosio, convivente di una delle figlie della vittima.  Il giovane tentò di giustificare le macchie di sangue dicendo che si trattava di sangue di pesce perché lui era un “pescatore”. Ma fu smentito dalla perizia degli inquirenti.
     Ottavio D’Ambrosio confessò subito di essere l’esecutore materiale del delitto e insieme a Marucchiello indicò in Petronilla D’Agostino, che si proclamava innocente, la mandante dell’omicidio:  i due ragazzi diventeranno gli implacabili   accusatori  della D’Agostino.
    




















Petronilla D’Agostino aveva 40 anni al momento del dramma, analfabeta, a differenza degli altri suoi cinque fratelli,  ha sempre dovuto lavorare. Sposò  Enrico Piscitiello a 19 anni, ed ha avuto da lui otto figli,  in otto anni; la sua vita da sposata è stata  ancora peggio di quella di prima;  il marito era sempre ubriaco e la picchiava, in casa rompeva tutto e minacciava i figli, lei ha sempre dovuto fare i lavori più umili per mantenere i figli.
     La verità  “sul diabolico terzetto”  ( quella emersa durante il processo ) su quanto accaduto sarebbe questa: la D’Agostino chiese ai due giovani  di ammazzare il proprio  marito,  con la promessa che,  in cambio,  poi avrebbe concesso  favori sessuali particolari. Il povero falegname, ignaro del suo destino, ma, come sempre ubriaco,  una  domenica notte, tornò a casa dopo l’abituale, abbondante bevuta in un bar vicino casa. I due ragazzi, convinti dalle promesse di Petronilla e da lei ben istruiti per l’azione,   erano  già appostati e commisero il delitto.
      Ottavio D’Ambrosio aveva  in tasca la 7,65 rubata al padre Federico, un commerciante di 45 anni che aveva cacciato il figlio di casa. Il falegname venne  abbattuto sotto gli occhi della moglie che osservava  la scena dalla soglia di casa. A questo punto entrò   in azione Michele Marucchiello. Sollevò il cadavere dalla strada, lo chiuse nel bagagliaio della sua auto e lo trasportò nei pressi del cimitero di Mondragone, dove lo scaricò.
   












 Ma il  “diabolico terzetto”,  come lo definirono  gli inviati dei media  convenuti  sul posto,   che subito attribuirono anche  l’etichetta di “Circe” alla Petronilla,  tentò di depistare le indagini con la speranza di far apparire il delitto come un omicidio di camorra. La zona lo permetteva,  essendo stata teatro delle nefaste gesta del clan di Augusto La Torre. Invece l’indagine dei Carabinieri  al comando del colonnello Gennaro Niglio e del tenente Antonio Manzi,  subito lo escluse . “E vero  - pensarono i carabinieri - che il falegname ha fatto qualche lavoretto in casa dei La Torre, ma il clan non avrebbe avuto alcun interesse a eliminarlo”.
     Le cronache dell’epoca descrivono lei come una donna decisa a tutto; gli altri due, un barbiere e un bullo di provincia, disposti a qualsiasi cosa pur di compiacerla, anche a ucciderle il marito. Ma il delitto perfetto se esiste, abita lontano da qui, e gli amanti incauti, che avevano tentato di trasformare l'omicidio in un’esecuzione di camorra, si tradirono con una serie di disarmanti ingenuità. Una per tutte: nelle tasche di uno di loro, i carabinieri  trovarono  un mazzetto di banconote bucate dalle pallottole e insanguinate.  Gli assassini avevano derubato la vittima, ma non li aveva sfiorati l’idea di disfarsi della prova.
     














Alla fine di un lungo interrogatorio, Petronilla D’Agostino, che tutti chiamavano  “Pinuccia”, crollò  e ammise parzialmente: “Sì, è vero. Quei due erano miei amanti. Ma non sono stata io a dirgli di uccidere mio marito”.  Non mancarono  i risvolti boccacceschi: dopo il delitto Petronilla avrebbe  “pagato” il favore in natura, con “particolari prestazioni sessuali”, dice il rapporto dei carabinieri -  che arrestarono, addirittura,  uno degli assassini mentre era impegnato in…  un’orgia.
     Intervistata nel carcere  di Pozzuoli,  per “Storie Maledette” di Rai Tre,   la Petronilla si è sempre difesa nel confermare di essere stata l’amante dei due ragazzi,  ma di non averli istigati al delitto. “Ottavio – ha detto – era un mariuolo e si faceva anche gli spinelli. E’ stato lui,  che nel giorno della festa,  dopo aver ricevuto la telefonata da Michele,  ha caricato mio marito sul motorino e poi lo ha ucciso con 5 colpi di pistola. Poi è stato raggiunto da Michele e assieme hanno occultato il cadavere nei pressi del cimitero. Se avessi ordinato io di uccidere mio mariuto non sarei andata poi dai carabinieri a denunciare la scomparsa”.
     










Petronilla D’Agostino, la ex Circe del Litorale Domizio, abbandonata le vesti di mandante del delitto,  dopo tanti anni di carcere,  mantiene ancora lei la famiglia. Lavora nel carcere e manda i soldi a casa. 
     Diametralmente opposta la versione dell’assassino il quale ha insistito nel confermare che è stato istigato al delitto dalla donna che gli ripeteva spesso “Devi ucciderlo altrimenti ti caccio di casa”. Ha confermato, inoltre ( e crediamo che anche per questo ci sia stata poi la condanna in appello per la Petronilla ) che il giorno della festa,  organizzata col pretesto del fidanzamento della figlia, la Circe lo ha fatto ubriacare versando continuamente del vino sia a lui che al povero Piscitiello.     
      Questo si potrebbe definire il delitto “degli utili idioti”,  perché  sono stati tali e tanti gli indizi che hanno portato agli assassini ( a parte le ammissioni )  tanto da dimostrare che spesso la realtà supera la fantasia.  E’ vero che Enrico Piscitiello  era un brutto arnese,  aveva il vizio dell’alcool e spariva spesso da casa per più di un giorno. Tuttavia nessuno della famiglia si era mai preoccupato di sporgere denuncia. Anche per questo i carabinieri si insospettirono subito. Questa volta, invece, la moglie si era  precipitata in caserma,  alle sei e mezzo del mattino,  per avvertire che il marito era scomparso. Di qui, i primi sospetti.
     












Poi arrivò  la conferma: il cadavere era in periferia, ma… “Come mai – si domandarono i carabinieri -  il marciapiedi di via Duca degli Abruzzi, a poca distanza dal ”basso”, è coperto di sangue?”.  Si fece  strada un’ipotesi raccapricciante: al delitto avrebbe assistito tutta la famiglia, figli, fratelli, nipoti - alcuni dei quali erano  bambini piccolissimi - una ventina di persone che vivevano  tutte nei terranei affacciati sul cortile di via Duca degli Abruzzi.
     Di sicuro c’era Petronilla-Pinuccia e forse una delle figlie. Lì il falegname sarebbe stato finito da D’Ambrosio e Marucchiello a colpi di 7.65, trascinato fino alla macchina e abbandonato nei pressi del camposanto.
     Tuttavia,  non deve essere stata facile la vita coniugale di  Petronilla. Lei costretta a lavorare, e il marito,  con otto figli  a carico,  a fare il giro delle osterie. Il giorno dopo il delitto  - infatti -  Petronilla D'Agostino doveva cominciare uno dei suoi tanti lavori saltuari: aveva fatto la spazzina, aveva pulito le aule della scuola elementare. Ora l’avevano assunta per tre mesi al cimitero come sotterratore.
     Nel “basso”,  sporco e pieno di mosche, dove ha vissuto vent’anni con gli otto figli e il marito, è rimasta una sua foto in cucina, dietro i vetri della credenza. Un grande ritratto ritoccato dal fotografo, in posa da “vamp” di paese, capelli lunghi e neri, sguardo provocante negli occhi verdi da gatta.




















     I vicini raccontarono che Piscitiello la sera faceva il giro dei bar del paese e tornando a casa ubriaco  molestava moglie e figli. Urla e insulti, e qualche volta schiaffi che volavano. “Veniva al ristorante dove lavoro - raccontò la figlia Elisa, 16 anni, confermando le dicerie  - mi diceva “puttana, torna a casa”. Poi l’ira sbolliva… assieme ai fumi dell’alcool!
      Raccontarono, poi, che  la scena era  cambiata da  quando in casa si era  piazzato Ottavio D'Ambrosio. Prepotente e violento, una carriera appena iniziata con i furti di motorini nella mala paesana, una mezza tacca, un delinquentuccio… insomma. D’Ambrosio prima sparì con la figlia quattordicenne di Petronilla D'Agostino, Michela, per la rituale “fuitina”. Poi,   una volta tornato,  si era impiantato nel basso e dettava legge: s’era preso la figlia ed era diventato il drudo della mamma.  
     Con  l’insediamento  dei due giovani, il “basso” di  via Duca degli Abruzzi era diventato  un piccolo  harem, sia pure  angustio e composto soltanto da un cucinino e una stanza minuscola, tutta qui l’abitazione di famiglia. Dovevano trovarvi spazio non solo lei ( la Circe )  e il nugolo di bambini, ma anche due maiali. Ma Petronilla, più del fetore degli animali, non sopportava il marito, alcolizzato. E per eliminarlo  escogitò  il diabolico  piano: si  rivolse  ai “fidanzati” di due delle sue figlie  e li convinse  a sparare al marito. In cambio – come  recita pudicamente il rapporto della locale compagnia dei carabinieri – “concedere ai due  particolari favori sessuali”. Si è parlato anche di “ménage a trois” e di “prestazioni orali”.
     














Un piano curato in ogni particolare. “Deve sembrare una esecuzione di camorra”, aveva  detto Petronilla ai due ragazzi. Li conosceva da tempo. Il primo, Ottavio, che fece da  killer, era fidanzato con la figlia quattordicenne. La ragazza era da due mesi incinta. Anche il nuovo arrivato, a quanto sembra, si sarebbe dovuto ritagliare un posticino nel “terraneo”.
     Il secondo, Michele, Petronilla lo conosceva ancora meglio. Era legato a un’altra delle sue figlie, Elisa, 16 anni, ma soprattutto aveva già goduto dei “favori” della “Circe”.  Soltanto che Petronilla aveva minacciato di troncare la relazione. E Michele, strappata la promessa di conservarla, si era deciso a occuparsi del cadavere. Relazioni indecenti e davvero pericolose, che hanno dato vita al singolare delitto, con un movente raccapricciante ed inedito,  nuovo nella storia del crimine, almeno qui da noi.
     Si pensò subito – come detto -  a un omicidio di camorra, anzitutto per due particolari: l’uomo non aveva  precedenti penali, ma era  stato il falegname di fiducia del clan La Torre, la potente cosca che controllava  l’intera zona. E poi l’eliminazione nei pressi del cimitero che venne interpretata simbolicamente. Un segnale di qualche “famiglia” avversaria dei La Torre… si disse.
    












 Ma gli abitanti di Mondragone, nei giorni precedenti, avevano avuto ben altro a  cui pensare, oltre al delitto Piscitiello.  Il loro era  stato un paese travolto da tensioni.  Il suo consiglio comunale era  finito nel  “pacchetto” dei municipi in odor di camorra… sciolti dal ministro dell’Interno dell’epoca  Enzo Scotti.  Una città dove si erano verificati  nel passato,  episodi gravissimi di gangsterismo  tracotante. Il capo camorra che aveva intimato  – con una telefonata -  ai carabinieri  “di non indagare sugli affiliati”, minacciando di far saltare,  con una bomba ad alto potenziale,  la caserma. Era stata poi la volta dell’On. Camillo Federico, sindaco gambizzato dalla camorra,  perché non voleva sottostare alle loro condizioni ( zio omonimo dell’attuale consigliere  comunale Avv. Camillo Federico. Poi l’assassinio del vice sindaco Antonio Nugnes, ( padre dell’On. Daniela Nugnes)   trucidato dal clan. Poi era toccato a  Enzo Avino, avvocato penalista del Foro di Cassino, professore universitario  ( era  gay ),   dato alle fiamme nella sua auto,  i cui assassini sono ancora tra noi.  Poi… nel tempo: Sindaci arrestati, colletti sporchi e colletti bianchi,  funzionari e appartenenti alle forze dell’Ordine  collusi con le cosche locali. Questa era Mondragone, ma per fortuna è anche piena di brava gente, di professionisti e di politici di valore.  
     Ma la giustizia fece il suo corso, lenta ma inesorabile,  inchiodò il “terzetto satanico” alle proprie  responsabilità. E difatti il  22 ottobre del 1992,  la Corte di Assise di Santa Maria Capua a Vetere, ( Presidente Gianfranco Izzo, giudice Maria Teresa Caturano, P.M. Paolo Albano ),  dopo le arringhe difensive di Camillo Irace e  Luigi Iannettone, per Marucchiello e D’Ambrosio    condannò,  a 22 anni di reclusione entrambi,  per il  reato di omicidio volontario premeditato.   E… dopo la strenua difesa dell’avvocato Paolo Trofino,  assolse invece Petronilla D’Agostino,  “per non aver commesso il fatto”.  La privata accusa fu sostenuta da Ignazio Maiorano.
     Il pubblico ministero d’udienza, Dr. Paolo Albano ( allora Procuratore Aggiunto a S. Maria C.V.) chiese per tutti, esecutori e mandanti del delitto,  la massima pena dell’ergastolo. Ma dopo la emissione della sentenza ( che assolse la donna  )  fece ricorso insistendo sul motivo del “concorso morale” per la Petronilla.
     Celebratosi il processo d’appello, il 10 novembre del 1993, i giudici di secondo grado, esaminato più accuratamente il “movente e la peculiarità del compenso” per la istigazione del delitto, ritennero la Petronilla D’Agostino, colpevole di istigazione e concorso morale in omicidio aggravato, e la condannarono, come detto, a 23 anni di reclusione.  La Cassazione confermò in ogni punto la sentenza di secondo grado.










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