Simulacro di un duplice delitto del 1870. A Santa Maria Capua Vetere, la rievocazione di un processo elaborato da Ferdinando Terlizzi
CASERTA E PROVINCIACULTURA
Tempo di lettura 4 min
REGINA ADA SCARICO
13 MAGGIO 2019 - 10:56
Condividi
Ascolta questo articolo ora...
Il processo sarà rievocato presso la Università della Terza Età in Santa Maria Capua Vetere venerdì 17 alle 16,30 nella sede di via Tari. Grazie al ritrovamento del carteggio originale da parte del giornalista Mauro Nemesio Rossi (che sarà presente nell’occasione) verrà rivisitato in una edizione inedita elaborata dal cronista giudiziario Ferdinando Terlizzi (che è anche responsabile dell’ufficio stampa) nell’Aula Magna dell’Università della Terza Età di Santa Maria Capua Vetere.
Nella ricostruzione storica la parte dell’avvocato difensore dell’imputato sarà sostenuta da Francesco Tavera. Gli interrogatori dell’imputati saranno rievocati da Gennaro Stanislao, mentre quelli dei testi saranno presentati da Salvatore Romano. La privata accusa sarà sostenuta da Antonietta Barbato e quella della pubblica accusa nel ruolo del procuratore generale da Francesco Pecoraro, mentre il compito di condurre il dibattimento sarà appannaggio di Ferdinando Terlizzi.
Il duplice delitto fu consumato a Santa Maria Capua Vetere, nel luglio del 1870, in casa del ricchissimo Michele Visconti. Il movente era da ricercarsi nel licenziamento in tronco per scarso rendimento. Dopo il delitto occultò i cadaveri nella cantina del palazzo. Sottrasse ori, diamanti e fedi di credito del Gran Libro del Debito Pubblico del Regno d’Italia per vari milioni. Giudicato dalla locale Corte di Assise fu condannato a morte. Alla difesa due tra i più importanti avvocati dell’epoca: Pietro Rosano e Francesco Girardi.
Le cronache dell’epoca raccontano che Antonio Bottillo, 37 anni, da Cervinara, ex monaco terziario nel convento dei Francescani a Napoli, dopo aver sedotta una minorenne, era fuggito da Napoli e venuto a Santamaria era stato assunto come servitore presso la ricca famiglia dei Visconti.
Il 14 luglio del 1870, una mattina, appunto verso le sette, appena abbrustolito il caffè, aggredì e uccise a coltellate il suo padrone Michele Visconti; poi, recatosi nella camera da letto dove dormiva strangolò la figlia Rosina, una giovanetta di appena 18 anni.
Dopo il duplice delitto scavò una fossa nella cantina di casa e vi seppellì i due cadaveri. Motivo? Il padrone gli aveva detto che non sapeva cucinare e lo aveva minacciato di licenziamento.
Per occultare il suo duplice omicidio il Bottillo a chi cercava (parenti amici e conoscenti) notizie sulla scomparsa del padre e della figlia narrava che i due erano andati per un certo tempo in vacanza a Napoli e facevano i bagni tra Lucrino e Ischitella e che lui li aveva accompagnati fino all’angolo di Corso Garibaldi per aiutarli nel peso del loro baule.
Per accreditare ancora di più la tesi dell’allontanamento volontario aveva fatto sparire gli indumenti dei due, sottratto ori e fedi di credito fedi di credito del Gran Libro del Debito Pubblico del Regno d’Italia, per vari milioni, che aveva ricettato poi presso un personaggio napoletano coinvolto nel processo, tale Giovanni La Ruffa.
La Sezione di Accusa non ritenendo affatto vere le circostanze inventate al solo scopo di mettere in campo una provocazione contestò al Bottillo il reato di duplice omicidio aggravato dalla premeditazione (il secondo delitto eseguito per assicurarsi l’impunità del primo) il furto vari oggetti e denaro, il tutto aggravato dalla sua qualità di servitore. Allo stesso tempo venne incriminato il ricettatore presso il quale furono rinvenuti gli oggetti.
Il relativo processo – definito dalla stampa dell’epoca - “uno dei processi più celebri ed interessanti nei fasti della giustizia penale”- si svolse nel 1871 presso la Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere di cui era Presidente Francesco Santamaria; la pubblica accusa venne sostenuta dal pubblico ministero, il procuratore generale Cesare Oliva; gli avvocati difensori, per Bottillo furono Pietro Rosano (allievo di Nicola Amore) e Francesco Girardi (allievo di Leopoldo Tarantino); per il ricettatore napoletano l’avvocato Niccola Mottola. La privata accusa fu sostenuta dall’avvocato Francesco D’Amore (unico avvocato sammaritano amico di famiglia delle vittime).
Subito dopo furono interrogati i numerosi testimoni: Maria Sticco, moglie separata e madre naturale della Rosina Visconti; il commissario di polizia, Achille Magliano; l’ex cuoco della famiglia Visconti, il napoletano Pasquale Zarlengo; il medico di famiglia Dr. Pietro Morelli (forse quello a cui poi è stata intitolata una strada a Santamaria); il calessiere, o cocchiere, Raffaele Avenia, che condusse in carrozza il Bottillo a Napoli; il sacerdote Raffaele Fratta; i barbieri Abramo Pagano e Aniello Bizozzero; la capera, Caterina Cipullo, che curava i capelli della giovane Visconti; Padre Salvatore Candido, da Napoli, che svelò le precedenti disavventure del monaco (stupratore, vinaio, rapinatore); i suoi ex servitori, Nicola Manone e Giovanni Teti; Giulia Della Corte, amica della giovane uccisa; Teresina Bobbio e Rachele Panaro, altre amiche della vittima. L’apprendista notaio Enrico Code, che la mattina del delitto aveva un appuntamento con Michele Visconti per discutere di alcune rendite.
Quindi i giurati si ritirarono in camera di consiglio e alle questioni loro presentate i giurati risposero affermativamente ritenendo i due imputati colpevoli secondo l'accusa. Il Bottillo cioè di due assassini per premeditazione in persona del padre e figlia Visconti, e colla qualifica bensì di essere stato il secondo, commesso allo scopo di occultare il primo. Il La Buffa poi di ricettazione di oggetti furtivi senza precedente concerto coll'autore del furto. A costui furono accordate le circostanze attenuanti. La Corte condannò il primo alla pena di morte ed il secondo a 4 mesi di carcere computandosi il carcere già sofferto.
Non appena il presidente ebbe letta la sentenza colla quale al Bottillo veniva comminata la pena di morte, s'intese nella sala un vivo mormorio di gioia e molti applausi.
Il Presidente allora diè immediatamente ordine ai Carabinieri di fare sgombrare la sala, rivolgendo al pubblico le seguenti gravi parole: “Questa gioia feroce è indegna di un popolo civile”.
Eseguito l'ordine si lesse il resto della sentenza. Il condannato Antonio Bottillo protestò subito di ricorrere in Cassazione, e come egli disse di volere appellare per Napoli, rinunciando al Circolo di S. Maria.
Leggi su Cronache della Campania: https://www.cronachedellacampania.it/2019/05/simulacro-di-un-duplice-delitto-del-1870-a-santa-maria-capua-vetere-la-rievocazione-di-un-processo-elaborato-da-ferdinando-terlizzi/
martedì 9 dicembre 2025
Nel silenzio delle case: tre storie, tre solitudini
di Ferdinando Terlizzi
Ci sono notti in cui le città sembrano respirare più lentamente. Notti in cui la vita, già fragile, si incrina come un vetro sottile. A Barberino di Mugello, lungo un viale ancora immerso nel buio, le 4.30 non sono un’ora: sono un confine. Il momento esatto in cui un uomo, un pensionato di 71 anni, si arrende alla sua battaglia silenziosa contro lo sfratto, contro l’idea di perdere l’unico luogo che chiamasse casa.
Quando l’esplosione squarcia l’edificio al primo piano, la gente corre scalza tra le scale, trascina i figli senza capire dove stia il pericolo. Il fumo sa di carta bruciata e di mobili vecchi. C’è chi giura di aver sentito un boato, chi invece parla di un rumore cupo, come di una bestia rinchiusa che finalmente si libera.
Pierantonio Cianti non lo sapremo mai perché abbia scelto il fuoco, tra tutti i modi di dire basta. Ma il vicino che stringe tre bambini tra le braccia, mentre osserva le macerie ancora calde, ripete solo: «Poteva toccare anche a noi». Non aggiunge altro. Quando la vita si riduce a un perimetro di detriti fumanti, anche le parole diventano stanche.
Sette famiglie restano fuori casa. Qualcuno piange senza farsi vedere. Qualcun altro guarda l’alba nascere dietro il profilo della collina come una cosa inopportuna, sfrontata. È l’alba più lunga dell’anno: quella che arriva quando un uomo non regge più il peso del mondo.
Molto più a nord, dove il lago di Como diventa specchio di pietra nei pomeriggi d’inverno, una ragazza di ventitré anni scompare dal pontile di Tremezzina. Non lascia biglietti. Non manda messaggi. Lascia solo il silenzio, e qualche oggetto personale, disposto con quella precisione che a volte è più straziante del disordine.
All’inizio le barche della Guardia Costiera tagliano l’acqua in superficie, come se la verità potesse galleggiare da qualche parte, appena sotto il riflesso delle luci. Ma quando arrivano i sommozzatori da Torino, uomini abituati ai fondali e alla notte, la storia cambia profondità. Il corpo emerge dal buio dei dodici metri come un’apparizione triste, una sagoma che l’acqua ha custodito per ore senza restituirne i segreti.
Chi vive sul lago sa che quell’acqua, immobile e perfetta, inganna. Non dice se la ragazza sia scivolata, se abbia scelto di andarsene, se un malore l’abbia tradita. Su un pontile rimangono impronte che non spiegano nulla.
La madre, raccontano, non riesce a smettere di guardare il telefono.
Lo fa ogni due minuti. Come se un messaggio potesse arrivare ancora.
A Muggiò, provincia di Monza, la morte sceglie un copione ancora diverso, più inquieto, più inspiegabile. Nell’appartamento di via Magenta, primo piano, i carabinieri trovano Giovanna Piras stesa a terra, il volto coperto da un asciugamano. La porta ha la serratura asportata: un gesto tecnico, da mani esperte o da mani disperate. Le stanze sono a soqquadro, ma non c’è sangue. Solo terriccio sul pavimento, come se qualcuno avesse portato dentro un pezzo di strada, o di giardino, o di notte.
Il fratello e il tutore legale erano preoccupati: non la sentivano da giorni.
I vicini parlano di liti, di parole dure tra due persone che si vogliono e non si sopportano, che si cercano e poi si respingono, come spesso accade nelle famiglie che hanno perso il ritmo del dialogo.
Ma nessuno, davvero nessuno, immaginava una scena del genere.
Il sostituto procuratore Rosamaria Iera cammina tra i mobili rovesciati come chi sfoglia un libro strappato: sa che ogni angolo può contenere un indizio, un errore, una distrazione fatale. Gli investigatori non escludono nulla.
Un malore? Una rapina finita male? Un gesto violento travestito da incidente?
Tutto è possibile quando una vita si spegne senza un testimone.
Tre luoghi diversi, tre storie lontane, unite da un filo sottilissimo: quello delle esistenze fragili, che sfuggono agli altri senza far rumore.
In ognuna di queste vicende c’è un momento in cui tutto poteva cambiare: una telefonata non fatta, un vicino che bussa un giorno prima, un gesto semplice che avrebbe potuto invertire una rotta.
Ma la cronaca, quella autentica, quella che non concede abbellimenti, ci ricorda che spesso i drammi maturano al riparo degli sguardi. Nelle cucine silenziose, nei pontili vuoti, nei corridoi con la luce al neon tremolante.
E allora resta il compito più difficile: raccontare, con onestà e con pietà, ciò che la vita lascia indietro. Raccogliere le briciole di storie come farebbe un archeologo del presente. O un cronista che, come direbbe Capote, si china sulle vite degli altri per capire un po’ meglio anche la propria.
Ci sono varie chiavi di lettura del nuovo libro di Stenio Solinas, scrittore e giornalista raffinato e libero. Questo suo corposo (quasi 800 pagine) Supervagamondo. Viaggi e paesaggi, luoghi e incontri, miti e snobismi, pubblicato da Settecolori, è intanto un caleidoscopio avvincente di ricordi e di avventure, di personaggi e di storie, di letteratura e di letterati, di viaggiatori e avventurieri, di perdenti e fuggitivi. Basta scorrere l’elenco dei nomi per avere un assaggio della vastità e della ricchezza del suo mappamondo. Si va dalla Achmatova ad Aragon, da Drieu La Rochelle a James Joyce, da Babel’ a Lord Byron, dalla Blixen a Che Guevara, da Brigitte Bardot a De Monfreid, al colonnello Lawrence, a Malraux, Hemingway, Romain Gary, “Beau” Brummell e Leni Riefenstahl, Stalin e Talleyrand, i Cavalieri di Malta e la “banda dei Quattro” della Cina comunista, e decine di altre e di altri.
Supervagamondo, che s’avvia con i fantasmi dell’Unione sovietica, raggiunge la Cina e Macao, l’India e Cipro, Parigi e Londra, l’ex “Praga magica” e le rovine dell’antica Ani, Capitale armena, la Turchia e Gibilterra, Kabul e Vienna, è anche un canto elegiaco e perdutamente nostalgico per i tempi in cui “viaggiare era un piacere”. Il libro inoltre è un memoir, cioè un bilancio sentimentale, culturale e politico della vita dell’autore. Tutto ciò è narrato tra gli ultimi fuochi del mondo di ieri e il terribile e volgare presente: questo mondo di oggi segnato dalla “disinvolta comparazione fra le merci e gli esseri umani” e dalla “esaltazione del nuovo genericamente inteso, una sorta di affrancamento da appartenenze e identità date”.
Sulla scorta di un libro precedente, ora sapientemente rivisto e aggiornato, Solinas racconta la dissoluzione del cosiddetto “secolo breve”, quel Novecento di guerre e di totalitarismi (il fascismo, il nazismo, il comunismo), di lager e di gulag, di Ceka e di Gestapo, di poeti e romanzieri che si suicidarono (Esenin, Majakovskij, La Rochelle, Gary, Koestler…). L’assetto del mondo seguito alla caduta del Muro di Berlino, e dunque alla fine del Novecento, non ha trasformato i sogni di tanti in una realtà. La descrizione della Praga odierna ne è l’emblema. Era la città che prima fu di Rilke e di Meyrink, di Leo Perutz e ovviamente di Kafka, e poi di Hrabal e Koudelka, di Ripellino, di Kundera, di Jan Palach e della rivoluzione di velluto. Certo: ai tempi del regime socialista vi regnava un “ordine cimiteriale”. Ma ora si è trasformata in uno dei luoghi dell’overtourism ignorante e distruttore, in cui “la mediocrità delle offerte favorisce la logica del brutto”.
Spiega Solinas: “Non essendo comunista, la caduta del comunismo in Urss l’ho salutata con gioia”. E aggiunge di essersi illuso che una Russia “finalmente libera da un’ideologia con cui aveva poco o nulla da spartire, potesse, con tutti i rischi e i se e i ma del caso, svolgere un suo ruolo di potenza e di riequilibrio all’interno di un mondo sbilanciato, nel suo convincimento occidentale che a guidare la danza del nuovo ordine planetario dovessero essere sempre e soltanto gli Stati Uniti”. Illusioni, appunto. Quelle di un intellettuale che dice: “Io non sono un atlantista, sono un europeo convinto che il destino dell’Europa non stia a Washington e che l’Europa abbia un futuro se pensa in termini di continente-mondo, di spazio e di alleanze geopolitiche”.
Ci si consola col tempo passato, con la memoria di quando a Praga e a Londra, a Parigi e a Istanbul, a Venezia e a Fiume, era possibile rintracciare “una certa idea di bellezza, una certa idea di stile, lo snobismo e il dandismo con tutto il loro corredo romantico, ma anche triviale”, che si trattasse “della ‘divina’ Garbo, del principe degli esteti ‘Beau’ Brummell, del principe dei poeti George Byron, o dell’attimo fuggente colto dal genio fotografico di Lartigue”. Così, scrive Solinas, il suo libro è “l’omaggio malinconico e commosso a un ‘come eravamo’ che non tornerà più”.
Ieri e oggi. Tradimenti, omicidi e anche il suicidio, senza nessun rimorso. Nel ’36 va in scena davanti a Stalin, la Pravda: “Caos invece di musica”. Ora rivive
Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, che ha inaugurato la stagione della Scala, è tratta da una novella di Nikolaj Leskov, forse il meno conosciuto, in occidente, tra i grandi scrittori russi dell’Ottocento. Quando Leskov muore, nel 1895 (era nato nel 1831), Lev Tolstoj scrive: “Il tempo di Leskov deve arrivare, Leskov è lo scrittore del futuro”. La fama di Leskov in occidente dipende, oltre che dalla Lady Macbeth, dall’opera che ne ha tratto Šostakovicč e da altre due celebri novelle, L’angelo sigillato e Il viaggiatore incantato, anche da un celebre saggio del 1936 di Walter Benjamin intitolato Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov. “Capita sempre più di rado” scrive Benjamin, “d’incontrare persone che sappiano raccontare qualcosa come si deve”.
“E l’imbarazzo si diffonde sempre più spesso quando, in una compagnia, c’è chi esprime il desiderio di sentir raccontare una storia. È come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: la capacità di scambiare esperienze” (la traduzione è di Renato Solmi). La fine dell’esperienza che passa di bocca in bocca, caratterizza, secondo Benjamin, la sua generazione: “Si è visto”, scrive “alla fine della [prima] guerra mondiale, che la gente tornava dal fronte come ammutolita, non più ricca, ma più povera di esperienza comunicabile. Poiché mai esperienze furono più radicalmente smentite di quelle strategiche dalla guerra di posizione, di quelle economiche dall’inflazione, di quelle fisiche dalla guerra dei materiali, di quelle morali dai detentori del potere. Una generazione che era ancora andata a scuola con il tram a cavalli si trovava, sotto il cielo aperto, in un paesaggio in cui nulla era rimasto immutato fuorché le nuvole, e sotto di esse, in un campo magnetico di correnti ed esplosioni micidiali, il minuto e fragile corpo dell’uomo”.
Leskov appartiene alla generazione precedente, quella ricca di esperienza comunicabile, ed è, secondo Benjamin, il più bravo, nel comunicare le esperienze. Leskov, scrive Benjamin, “fu rappresentante per la Russia di una grande ditta inglese, per incarico della quale viaggiò attraverso tutta la Russia, e quei viaggi svilupparono la sua conoscenza del mondo e del popolo russo”. Criticato per l’uso di una lingua popolare e accusato di essere rozzo e grossolano, Leskov rivendicava il proprio diritto di “non usare una lingua falsa, ma quella raccolta incontrando la gente, una lingua fatta di parole, proverbi, espressioni cólte al volo tra la folla, sulle barche, tra i militari, nei monasteri”.
Dicevamo che è evidente che le opere di Leskov sono scritte prima del Novecento e delle guerre mondiali, ma la Lady Macbeth è, contemporaneamente, una novella antica e moderna, e lo si capisce se la si paragona con Anna Karenina. La protagonista del grande romanzo di Tolstoj, pubblicato nel 1877, tradisce il marito e, per questo, si sente in colpa, si interroga, si tormenta, fino a togliersi la vita; la protagonista della novella di Leskov, pubblicata nel 1865, tradisce il marito, uccide il suocero, uccide il marito, il nipote, l’amante del proprio amante, e non si sente per niente in colpa: sembra quasi che pensi che sia un suo diritto.
Conosco un po’ la letteratura, quella russa in particolare, e molto poco la musica, e pochissimo la musica lirica, ma ci sono tre opere, il Faust di Gounod, il Boris Godunov di Musorgskij e la Lady Macbeth di Šostakovicč alle quali sono affezionato, non saprei dire perché. Musorgskij, il Boris Godunov, a me viene freddo, quando sento il Boris Godunov, mi fa paura, e a me piacciono le cose che mi fanno paura, Šostakovic, a me succede, delle volte di leggere delle cose insieme a dei musicisti, e molte volte suonano Šostakovicč e il quartetto per archi numero 8, io, per me, mi ricorda La morte di Ivan Il’ic, di Tolstoj, ha un andamento così disperato, che ha così tanto a che fare con la mia vita, e un finale così luminoso che io mi auguro abbia a che fare con la mia morte.
Šostakovic, mi è simpatico per diversi motivi; io, ho detto molte volte che a me piacciono due cose che fanno piangere, la letteratura russa e le partite del Parma, ecco, Šostakovicč era un grande appassionato e tifoso di calcio: poi, aveva un grande gusto letterario; ha scritto due opere, una tratta dal Naso di Gogol’, un racconto del 1842 il cui protagonista è un naso che va in giro per Pietroburgo con una divisa da ufficiale, l’altra tratta dalla Lady Macbeth di Leskov.
L’opera di Šostakovicč debutta nel gennaio del 1934 e ha un grande successo; la rivista Arte sovietica ne parla come di “Un trionfo del teatro musicale”.
Rispetto al racconto di Leskov manca l’ultimo delitto e ci sono, in più delle scene (sognate) di incesto della quale sarebbe vittima Katerina (da parte del suocero).
È un’opera erotica, potentissima, e con una musica che a me, con tutta la mia ignoranza, sembra straordinaria; c’è una scena nella quale una batteria di fiati dialoga con l’orchestra che toglie il fiato, ho scoperto recentemente che Stravinskij, offeso dal successo dell’opera a New York, diceva che al pubblico newyorkese piaceva essere “brutalizzato da arroganti ottoni comunisti”. Ecco, io, di fronte a Stravinskij mi inchino, ma devo dire che erano comunisti bravissimi, quelli che ho sentito suonare al teatro alla Scala.
Due anni dopo, la prima della Lady Macbeth di Šostakovic, nel gennaio del ’36, c’è una rappresentazione al Bol’šoj alla presenza di Stalin; il giorno dopo esce un articolo sulla Pravda che parla di “Caos invece di musica”. È un colpo abbastanza duro, bisogna immaginare. Šostakovicč non scrive più opere, e anni dopo, nel 1963, rivede la sua Lady Macbeth e ne fa una versione castigata, l’intitola Katerina Izmailova; come il Boris Godunov riorchestrato da Rimskij Korsakov, che è tutto pettinato, laccato, ripulito, la versione rimessa a nuovo dell’opera di Šostakovicč oggi viene rappresentata molto raramente: non so perchè forse ci piace avere freddo, forse ci piace essere brutalizzati dagli ottoni comunisti, non so, quel che so è che a me piace che, dopo la censura moscovita di 89 anni fa, la scelta della Scala confermi una cosa che è talmente chiara che è perfino banale: che la musica, e l’arte, e la letteratura, quando sono potenti, sono più forti di qualsiasi censura e di qualsiasi dittatura.
domenica 7 dicembre 2025
l quotidiano spagnolo El País racconta come mentre nel continente aumentano la produzione e il traffico di droghe — nuove e vecchie — i gruppi criminali di ogni dimensione stiano diversificando le proprie economie e accrescendo la capacità di fuoco
L'ascolto è riservato agli abbonati premium
5 MINUTI DI LETTURA
Un pezzo di carta verde, con una frase scritta in stampatello, ha riassunto questa settimana i problemi di criminalità che colpiscono l’America Latina. È apparso a Guerrero, sul tormentato litorale pacifico del sud del Messico, ma avrebbe potuto trovarsi allo stesso modo a Santiago del Cile, a Medellín (Colombia) o in uno qualsiasi dei quartieri di Guayaquil, in Ecuador. Era un avviso, un foglio incollato a muri e lampioni: una minaccia ai commercianti di un pugno di quartieri, li avvisava che da dicembre dovranno iniziare a pagare una quota. “Questo quartiere ha un padrone”, concludeva l’avvertimento, di autore sconosciuto.
La quota, la “vaccina”, il “piso”, la “mordida”: tutte varianti lessicali dell’estorsione, un male che colpisce il continente come mai prima d’ora, e che spiega il presente della regione. Il crimine prospera nelle Americhe, soprattutto quello violento. Il tasso di omicidi rimane altissimo — oltre 20 ogni 100.000 abitanti. L’espansione del narcotraffico, più forte che mai, ha fertilizzato il terreno criminale dall’ex tranquillo Uruguay al Guatemala. I gruppi armati nati all’ombra del traffico di droga cercano nuovi business, a destra e a sinistra, in alto e in basso. Nessuno sembra così lucrativo come l’estorsione, semplice come pochi: o paghi o ti ammazzo.
L’America in generale e l’America Latina in particolare vivono un momento delicato. Lo dicono gli esperti consultati da EL PAÍS per questo reportage, che vedono nella diversificazione e nella frammentazione del magma criminale un rischio enorme per i Paesi della regione. Il traffico di droga ha messo in moto la fabbrica del crimine, da cui sono uscite decine di gruppi malavitosi che, inseriti in logiche di mercato, vogliono la loro fetta della torta. L’estorsione è il percorso più semplice; la droga una possibilità — ma solo una tra molte. L’America custodisce un immenso magazzino di risorse naturali e il crimine, assetato come mai, chiede il suo turno. Come una versione moderna dell’idra di Lerna, le bande agitano le molte teste del mostro per ampliare i loro affari.
Una regione che si guarda l’ombelico
Visto che tendono a guardare solo i propri problemi interni, i Paesi della regione sembrano ignorare che la spinta predatoria delle mafie è la stessa ovunque, dalle Ande all’Amazzonia. In Messico, i criminali rubano carburante dai gasdotti della compagnia petrolifera statale o lo importano senza pagare tasse, falsificando documenti doganali. In Perù, Ecuador o Colombia, delinquenti saccheggiano miniere d’oro e altri minerali senza alcun permesso. In Brasile, ladri e contrabbandieri abbattono alberi senza sosta per soddisfare la domanda mondiale di legname… E tutto questo con il sostegno di attori statali. “Nei reati ambientali, questo è particolarmente evidente”, afferma Cecilia Farfán, responsabile dell’Osservatorio per il Nord America del GITOC, un’organizzazione che studia il crimine organizzato transnazionale.
Droghe, armi e persone: il mercato completo
Oltre al narcotraffico e all’estorsione, queste nuove attività criminali convivono con traffici più tradizionali e straordinariamente redditizi: tratta di persone — migranti o no — e traffico di armi. Nel suo ultimo rapporto globale, il GITOC sottolinea proprio la prevalenza delle armi da fuoco nell’area come strumento per commettere omicidi. Nessun’altra regione del mondo registra così tanti assassinii con armi da fuoco come l’America Latina e i Caraibi. “Rispetto a 20 anni fa, il crimine organizzato dispone di molte più armi e di qualità superiore — al punto che molti pensano siano migliori di quelle delle forze armate”, spiega Farfán.
La violenza diventa così strumento, linguaggio e obiettivo. Con le dovute eccezioni — l’omicidio dell’agente della DEA Enrique Camarena in Messico negli anni Ottanta; gli anni di piombo di Pablo Escobar in Colombia — il narcotraffico non nacque violento. Per far arrivare la droga ai grandi mercati, discrezione e ordine erano fondamentali. Corruzione e disciplina: questo poteva essere il loro motto. Ma lo smantellamento dei vecchi cartelli e la frammentazione delle loro reti di protezione, spesso appoggiate o integrate nelle forze di sicurezza statali, ha cambiato il panorama.
La frammentazione: piccoli gruppi, grande impatto
Nell’America attuale prevalgono piccoli gruppi criminali, dinamici, affiliati o meno a grandi marchi criminali, impegnati o no nel traffico o nello spaccio. Che estorcono, che sfruttano ogni opportunità del territorio. Se ci sono miniere: minerali. Se ci sono boschi: legname. Se ci sono città: negozi, uffici pubblici, trasporti. Il tutto in scenari altamente competitivi, dove la violenza — valuta dominante — serve a eliminare ostacoli, intimidire difensori dell’ambiente o inviare messaggi a potenziali rivali. “Questa è la grande minaccia nel continente: la diversificazione criminale e la frammentazione delle bande”, avverte Marcelo Bergman, docente dell’Universidad 3 de Febrero in Argentina.
Il ritorno della coca
Quattordici tonnellate di cocaina nascoste in sacchi di carta grezza in un magazzino. È quanto ha sequestrato la polizia colombiana otto giorni fa nel porto di Buenaventura. Un valore stimato di circa 400 milioni di dollari. Ma rappresentano appena lo 0,4% della produzione annuale della regione, secondo l’ONU.
La coca è di nuovo di moda. Al di là delle polemiche sui numeri — il governo colombiano contesta le stime ONU —, la produzione cresce ogni anno, così come le coltivazioni di coca. La Colombia è la portaerei del settore: delle 3.708 tonnellate prodotte nel 2023 in America Latina, 2.664 provenivano dal paese andino.
Il boom si estende: cocaina, metanfetamine e soprattutto fentanyl alimentano nuovi mercati.
Gli Stati Uniti, nonostante 50 anni di “guerra alla droga”, restano insaziabili. L’amministrazione Trump ha scelto la linea dura: minacce tariffarie e persino bombardamenti marittimi per distruggere barche sospette. Questi bombardamenti hanno già causato più di 80 morti. Ma l’efficacia è dubbia. “La domanda di coca oggi è la più alta della sua storia”, dice Angélica Durán dell’Università del Massachusetts.
Nuovi mercati, vecchi problemi
Mentre i cartelli storici perdevano potere, sono emersi gruppi frammentati che hanno diversificato le attività: estorsione, estrazione illegale, traffico di migranti, ecc. Gli Stati — Colombia, Messico, Brasile — hanno cercato di neutralizzarli, arrestando leader qua e là. Ma ciò ha portato solo a ulteriori frammentazioni.
La domanda di droga è rimasta stabile o è cresciuta. Così il ciclo continua fino al 2025.
Le conseguenze raggiungono ora anche Paesi di transito come l’Ecuador, dove il tasso di omicidi è passato da meno di 8 nel 2020 a oltre 45 nel 2023. L’Ecuador, un tempo considerato un’oasi di pace, è ora un nodo logistico della cocaina diretta verso l’Europa. Lo stesso sta accadendo in Costa Rica.
Colombia: il ciclo completo del crimine
Dopo la caduta dei cartelli di Medellín e Cali negli anni Novanta, i gruppi successivi cambiarono strategia: invece di portare la droga in Messico, la vendevano alla frontiera. Meno guadagni, meno rischi. Ciò coincise con un calo della produzione registrato dall’ONU fino al 2013. Ma da allora c’è stato un rimbalzo impressionante: da 50.000 ettari coltivati a oltre 250.000 oggi. La diversificazione ha seguito lo stesso percorso: “Ora passano dalla coca all’estrazione illegale d’oro, a seconda dei prezzi”, riferisce l’economista Daniel Mejía.
La logica della “governance criminale”
In molti Paesi — Colombia, Messico, Brasile, Ecuador — la criminalità non cerca solo soldi, ma forme di controllo territoriale, quasi di governo parallelo. Quando gli omicidi annuali raggiungono quota 30.000 (come in Messico), l’estorsione cresce, le foreste vengono saccheggiate, il carburante rubato, e i gruppi sono molti, frammentati, mutevoli. In questo scenario, la capacità di deterrenza dello Stato evapora.
La strage riflette un trend regionale: disperazione sociale, richiesta di soluzioni immediate, anche se brutali. È la tentazione del “metodo Bukele”, che in El Salvador ha abbattuto la criminalità a costo dello Stato di diritto. Ma gli esperti avvertono: è un modello irripetibile. Le cifre carcerarie sarebbero ingestibili altrove.
Il carcere non è la soluzione
In 20 anni la popolazione carceraria dell’America Latina è raddoppiata, senza ridurre il crimine. Le ragioni: i criminali arrestati sono facilmente sostituibili, e le prigioni funzionano come scuole del crimine.
Che fare?
Daniel Mejía racconta il caso del Bronx di Bogotá: cinque isolati diventati epicentro del caos. La soluzione: infiltrazione, intelligence, preparazione, un intervento massiccio per evitare scontri. 2.500 poliziotti e personale dell’esercito. Nessun morto. Tutto sgomberato in pochi minuti. Lezione: “Usare la forza senza intelligence porta solo a errori”.
Un futuro incerto
“Il crimine non sparirà, ma va contenuto”, dice Farfán. Difficile farlo quando gli Stati sono frammentati, infiltrati, delegittimati. La disaffezione verso la politica è enorme. Questo lascia spazio a nuovi attori, spesso criminali. La cultura stessa si tinge di violenza: basti guardare il successo globale dei “corridos bélicos”, la musica dei narco. “Il crimine non è più solo una necessità — è una scelta, spesso una vendetta”. “Quando la vita legale non offre risposte, il richiamo del crimine cresce. È grave quante persone sono pronte a entrarci perché non vedono alternative”.
(Copyright El País/Lena-Leading European Newspaper Allianc
Perché Trump accusa il Venezuela di essere un narco-Stato
Arresti e inchieste hanno provato rapporti dei massimi dirigenti del regime di Maduro e di suoi familiari con trafficanti di droga e con la gang Tren de Aragua. Rapporti della Dea e dell’Onu danno però indicazioni diverse
L'ascolto è riservato agli abbonati premium
4 MINUTI DI LETTURA
LONDRA – Donald Trump accusa il Venezuela di essere un “narco-Stato”: per questo giustifica l’offensiva militare americana e la necessità di rovesciare il regime totalitario di Nicolas Maduro, costringendo il presidente alla fuga. Altri osservatori distinguono: intervistato da Repubblica, Moíses Naim, che fu ministro dell’Industria nel governo venezuelano del presidente Carlos Andres Perez nel 1989, uno degli ultimi considerati democratici dalla comunità internazionale, ha dichiarato che Maduro è “certamente un dittatore della peggior specie, che ha rubato le elezioni, represso brutalmente l’opposizione e ridotto il Paese alla fame”, ma non necessariamente il Venezuela è uno stato sotto il totale controllo dei narcotrafficanti. Ecco una scheda su cos’è un narco-Stato, quali Paesi hanno ricevuto tale etichetta e se riflette la situazione del Venezuela.
PUBBLICITÀ
Che cos’è
Per narco-Stato si intende comunemente un Paese in cui tutte le istituzioni legittime sono penetrate dal potere e dal denaro del commercio illegale di droga attraverso la forza, la corruzione o ricatti politici. Gli esperti suddividono la definizione di narco-Stato in cinque livelli: incipiente, in via di sviluppo, grave, critico e avanzato. C’è inoltre spesso un parallelo tra la definizione di narco-Stato e quella di “failed state” (Stato fallito): entrambi sono segnati da un alto livello di corruzione, violenza e omicidi.
PUBBLICITÀ
A quali Paesi si applica la definizione
Tra i Paesi a cui in passato è stata applicata in maniera parziale o totale la definizione di narco-Stato figurano l’Afghanistan, dove il traffico di oppio ha finanziato l’insurrezione e le attività militari dei Talebani; la Bolivia, dove il colpo di Stato militare del 1980 fu aiutato dai cartelli della droga, quando era il secondo maggior produttore di cocaina al mondo; la Colombia, dove Pablo Escobar, leader del cartello di Medellin, entrò perfino in politica candidato a un seggio della camera dei deputati e fece assassinare il ministro della Giustizia che si opponeva alle sue ambizioni di potere; il Messico, dove i narcos hanno influenzato, manipolato e controllato numerose politici; e Panama, il cui dittatore Manuel Noriega aveva stretto un’alleanza con vari narcos sudamericani, finché, dopo essere stato incriminato per traffico di droga da un procuratore della Florida, nel 1989 gli Stati Uniti invasero il Paese del canale, lo catturarono e lo processarono negli Usa. L’ex-dittatore è morto nel 2017 in carcere a Panama, dove era stato estradato dopo anni di prigionia in America e in Francia.
Il caso del Venezuela
Da almeno un decennio, ovvero dal tramonto della democrazia a Caracas, sostituita da un regime sempre più autoritario, anche il Venezuela viene accusato da più parti di essere un narco-Stato a causa delle relazioni fra alcuni dei suoi più alti rappresentanti ufficiali e varie organizzazioni criminali latinoamericane coinvolte nel traffico di droga. Spiccano fra gli altri i casi dell’ex-vicepresidente venezuelano Tareck el Aissami, accusato di avere rapporti con i cartelli della droga messicani, e quelli dei nipoti e dei figli dell’attuale presidente Maduro, accusati di collusione con il narcotraffico. Due nipoti di Maduro, e la moglie di uno di loro, furono arrestati nel 2015 dalla Drug Enforcement Administration (Dea, l’agenzia federale americana di lotta alla droga), a Port-au-Prince, sull’isola di Haiti, mentre cercavano di trasportare 800 chilogrammi di cocaina negli Stati Uniti in quello che è stato chiamato “l’affare Narcosobrinos” (lo scandalo dei “nipoti narcos”): il denaro che avrebbe ricavato doveva servire, come emerse al processo, “per aiutare la loro famiglia a stare al potere”. Vennero condannati a 18 anni di carcere e in seguito rilasciati in Venezuela in uno scambio di prigionieri con dirigenti di società petrolifere arrestati dalle autorità di Caracas.
Nel marzo 2020, ultimo anno della prima amministrazione Trump, il procuratore generale americano William Barr designò il Venezuela sotto il regime di Nicolas Maduro come un Paese sotto il controllo di criminalità e corruzione endemica, annunciando un’incriminazione contro il presidente venezuelano e altri alti funzionari con l’accusa di “narco-terrorismo”. In particolare, Maduro era accusato di una cospirazione insieme alle Farc, il gruppo guerrigliero colombiano di ispirazione marxista, per esportare cocaina negli Stati Uniti non solo allo scopo di realizzare profitti ma anche come “guerra alla salute del popolo americano”, al fine di destabilizzare il Paese.
Il dipartimento di Stato Usa ha emesso una ricompensa per la cattura di Maduro, dapprima di 15 milioni di dollari, poi portata a 25 milioni e il 7 agosto scorso aumentata a 50 milioni.
(ansa)
Maduro e la gang
Secondo vari rapporti, negli ultimi anni il Venezuela è diventato sempre di più un epicentro per lo smistamento della droga dall’America del Sud verso il Nord America. Nel 2024, uno studio della Rand Corporation ha accusato il Venezuela, sotto la mano di Maduro, di essere diventato un centro per il traffico illecito di narcotici e un santuario per organizzazioni terroristiche. Quest’ultima accusa viene collegata ai legami fra il governo di Caracas e gli Hezbollah libanesi, l’Iran e vari gruppi clandestini sudamericani. Una indagine analoga condotta dalla Human Rights Foundation afferma che Maduro è il capo de facto di Tren de Aragua, una notoria gang venezuelana, e che usa il narcotraffico per operazioni internazionali di repressione, rapimenti e assassinii politici. Nel marzo scorso Trump ha invocato l’Alien Enemies Act, una legge del diciottesimo secolo, per dichiarare Tren de Aragua un’organizzazione terroristica nella stessa categoria dell’Isis, il sedicente Stato islamico mediorientale, e di Boko Haram, l’organizzazione militante islamica nigeriana.
Le smentite
Nicolas Maduro smentisce tutte le accuse americane e non è l’unico a farlo. Oltre al supporto che riceve dalla Russia di Putin, dal regime degli ayatollah iraniani e da alcuni movimenti o partiti della sinistra europea, ci sono statistiche e indiscrezioni che metterebbero in dubbio almeno una parte delle imputazioni di “narco Stato” rivolte al suo Paese e al suo governo da Washington. Al Jazeera, la rete televisiva del Qatar, cita un rapporto della Dea del 2024 secondo cui l’84 per cento della cocaina sequestrata negli Stati Uniti proviene dalla Colombia e non parla del Venezuela. Sempre Al Jazeera cita un rapporto dello Un Office on Drugs and Crime, l’agenzia delle Nazioni Unite su droga e crimine, secondo cui nel 2023 la produzione globale di cocaina è cresciuta di un terzo rispetto all’anno precedente, arrivando a 3708 tonnellate, coltivata prevalentemente in Colombia, seguito da Perù e Bolivia, e che le principali rotte dei narcotrafficanti per esportarla negli Usa passano dal Messico e dai Caraibi, anche se pure il Venezuela viene usato come “corridoio di transito” da taluni narcos colombiani. Al Jazeera cita inoltre indiscrezioni dell’intelligence americana trapelate nell’aprile scorso secondo cui non ci sarebbero prove sufficienti di un coordinamento diretto fra Maduro o le alte sfere del suo governo e la gang Tren de Aragua, anche se il rapporto afferma che l’atmosfera permissiva del Venezuela consente a narcos e organizzazioni criminali di operare liberamente.
(reuters)
Le elezioni truffa
La deriva autoritaria del Venezuela si è ulteriormente aggravata con le elezioni presidenziali dello scorso anno, in cui Maduro ha rivendicato la vittoria e la conferma a un terzo mandato consecutivo, ma che per la maggioranza degli osservatori internazionali non sono stata libere e democratiche, bensì una truffa. A giudizio dei più, le elezioni sono state nettamente vinte dal candidato dell’opposizione, Edmundo Gonzales, che dopo il voto è fuggito in esilio in Spagna per le minacce che aveva ricevuto. Due anni prima Maduro aveva vietato a Maria Corina Machado, popolare leader dell’opposizione venezuelana, di partecipare al voto, una violazione dei diritti umani condannata dall’Organizzazione degli Stati Americani, dall’Unione Europea e da numerose organizzazioni umanitarie, tra cui Human Rights Watch. Quest’anno Maria Machado è stata insignita del premio Nobel per la pace “per il suo incessante sforzo per promuovere i diritti democratici del popolo venezuelano e una transizione pacifica dalla dittatura alla democrazia”. Nel 2024 aveva già ricevuto con motivazioni simili il Premio Vaclav Havel e il premio Sacharov. Ha dedicato il premio Nobel “al popolo del Venezuela che soffre” e “al presidente Trump per il suo sostegno alla nostra causa”.
I commenti dei nostri abbonati
Per conoscere le linee guida della nostra community clicca qui.
Tutti i commenti
Commento di 1524496JdAlC
Riguardatevi "Il dittatore dello Stato libero di Bananas", La scena dell'aereo della CIA che deve intervenire: "Questa volta l'Agenzia non vuole errori: metà di noi con gli insorti e metà con il Governo…"
Commento di Augusto__gdPMAmX
Due autocrati, due cannibali, con il più grande che vuole mangiarsi il più piccolo e prendersi le ricchzze che possiede.
Commento di --@--_00006
Siete tutti fuori strada. per abitudini acquisite nel secolo scorso.
Chi conosce bene il personaggio Donald Trump sa che le sue motivazioni sono assai diverse da quelle imperialistiche dei Nixon e Bush. Non gli frega del Petrolio o del fatto che Maduro nella vulgata USA sia "Comunista". Trump è uno che non ha piani, ideali e motivazioni che non siano il suo immediato benessere e profitto. In questo momento, e a questa età (al netto di eventuali cattive notizie che possa avere avuto dai medici) quello che gli interessa è far miliardi con le criptovalute, prendere bustarelle da aziende USA e stati esteri, e soprattutto costruire la fase finale della sua propria leggenda. Nella sua testa da sempre malata, si vede come un essere superiore, pare creda veramente al personaggio che gli fu costruito in TV (rimuovendo anni di bancarotte, cause perse o patteggiate in tribunale, e New York che per decenni ha riso di lui). Oggi sta costruendo il Mito che crede lo farà passare alla storia, e oltre a modellare la Casa Bianca a modo suo (credete veramente che si fermerà all'ala est?) e a costruire un suo Arco di trionfo all'entrata di Washington, quello che gli manca è condurre una guerra vittoriosa, per fregiarsi del titolo di Re di fatto, se non di nome. Poi certo c'è chi gli suggerisce mosse che fa passare per azioni che diventeranno leggendarie, quando invece il fine è il lucro delle proprie attività, ma Trump è troppo ottuso e senescente per capire di essere manovrato. Vedremo quanto ancora vivrà, poi verrà sostituito dal più freddo e ancor più pericoloso JD, ominicchio pronto a tutto pur di agguantare il potere. E faccia più presentabile, almeno dal punto di vista della fedina penale., ma lui si, consapevole marionetta dei Magnati che hanno finanziato Trump (e lui stesso)
Commento di 1538503wRXiG
La spiegazione di un eventuale intervento inteso a rimuovere Maduro e' nel tipo di interessi privati tRump puo' avere nello sfruttamento delle materie prime venezuelane, con la complicita' della premio Nobel locale: tutto il resto e' fuffa!
Commento di Federico246KNNox
E' cominciata l'operazione di demonizzazione del nemico che prepara il golpe trumpiano. Maduro non è certo Allende, ma l'operazione propagandistica è sempre quella: media che screditano, militari che colpiscono. Anche ai tempi del golpe in Cile c'erano giornali che lo facevano: erano quelli fascisti.
Commento di marine
esporta più droga o petrolio il venezuela? un amico mi chiedeva..
Commento di manuc7604
Saviano lo spiega bene perchè il Venezuela è un narco stato
Commento di writer58
Le rotte della cocaina interessano il Venezuela solo marginalmente. Il grosso viene prodotto in Colombia, transita per l'Ecuador (nuova base di smistamento) e il Messico e approda agli Stati Uniti via terra (dal Messico) o dal mare (via Ecuador). La questione del narcotraffico è poco più di un pretesto, per imporre da parte degli Usa governi compiacenti e sfruttare le ingenti risorse petrolifere dell'area.
Entro la fine del mandato di Trombetta, gli Stati del Sud America saranno in mano a tanti Milei e Pinochet. Tutto con la spinta decisiva della CIA.
Il Venezuela è il primo esempio.
Risposta di manuc7604
Si ma Maduro non è mica meglio di Pinochet
Risposta di waltergio5201
Certo, ma non è stato insediato da una potenza straniera
Commento di Gallo_Silvestre
Ma per favore... La droga non c'entra nulla. E' un puro e semplice tentativo degli USA di rovesciare il regime venezuelano con il pretesto della droga.
Risposta di 1530717UwkWW
Sono d'accordo con lei ed il motivo per il quale taco vuole rovesciare Maduro non è perché che sia un dittatore di fatto, ma per i giacimenti energetici di cui il Venezuela è ricco.
Siamo tornati agli anni '60/'70, quando i governi sgraditi agli usa venivano rovesciati con colpi di stato orchestrati dalla cia.
Per i meno attenti, riguardare "Missing" di Costa Gravas potrebbe far bene
I commenti dei nostri abbonati
Per conoscere le linee guida della nostra community clicca qui.
I commenti dei nostri abbonati
Tutti i commenti