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domenica 21 febbraio 2010

24° -Stampa asservita ai giudici...

( 24 ) Per restare ancora in tema di stampa locale debbo dire che i redattori dei giornali casertani, con qualche eccezione, trattano la cronaca giudiziaria solo per fare un piacere al Procuratore della Repubblica, a qualche alto funzionario di polizia o a qualche giudice a latere della locale Corte di Assise.


Compongono titoli a scatola per una qualsiasi sciocchezza. Vengono ricompensati? Certamente! Basterebbe controllare con più attenzione le inserzioni delle vendite giudiziarie – pilotate su alcune testate - e la pubblicazione delle sentenze di condanna. Io che ho fatto il cronista giudiziario ed ho trattato centinaia di operazioni “spettacolo”, ovvero retate contro camorristi e non, quando si verificava un blitz del genere, con vari arresti, e per giunta con una conferenza stampa, nel corso della quale gli inquirenti spiegano ogni dettaglio dell’operazione, leggevo attentamente gli atti e me ne guardavo bene dall’attribuire ad una persona più reati di quelli che gli aveva attribuito lo stesso magistrato inquirente. Fare un commento, diffamando, invece, sembra essere lo sport che più appassiona redattori e redattrici casertane...

Ma… per… l’amor… di… Dio! Non parliamo poi di queste ultime! Alcune di loro non conoscono la differenza che passa tra arringa e requisitoria??!! Ma fanno carriera lo stesso: nelle redazioni dei giornali - come in fabbrica e negli uffici - le donne sono ricattate e costrette a rapporti sessuali orali e non. Esagerano perfino con i numeri. Se gli arresti sono stati, per esempio, dieci, ed il tributo evaso ( parlo delle operazioni della Finanza ), venti milioni, i giornalisti sono portati a riportare “venti miliardi”, tanto nessuno li contesta o ne controlla la veridicità. Tutto questo per giustificare i titoli a scatola, i cosiddetti titoli “civetta”. E’ da moltissimo tempo che vado predicando per l’istituzione a Caserta di un difensore civico del lettore.


I giornali locali spesso riportano un’ operazione di polizia come un bollettino guerra. Il guaio è che non solo imbastardiscono l’opinione pubblica, ma si rendono complici di un andazzo che viene praticato dalle forze dell’ordine, ( meglio dire dai gendarmi), fin dai tempi del maresciallo Vincenzo Jannetti. Quei ritagli di giornali falsi, esagerati, gonfiati, artatamente compilati con titoli roboanti, vengono inseriti nei fascicoli giudiziari degli accusati e nei fascicoli personali dei gendarmi procedenti, ( cioè di quelli che si fregiano di aver sgominato questa o quella banda ). Ed è proprio in virtù di questi falsi giornalistici che il ministero riconosce meriti, medaglie, premi in denaro, avanzamenti di carriere, trasferimenti e quanto altro. E su questi falsi, su queste “cazzate” dei gazzettieri locali, che ha costruito la sua brillante carriera il capitano Filippo Pifinacchia. Ma ancora più grave è il fatto che, spesso, anche il magistrato, dando uno sguardo ai ritagli dei giornali, che sono stati appositamente inseriti nel dossier giudiziario, si fa un’idea sbagliata del personaggio arrestato. Indipendentemente del suo certificato penale che sia immacolato o meno. Oggi si potrebbe benissimo affermare che l’esercizio dell’azione penale nasce con la notizia criminis, e si estingue con la pubblicazione del fatto sul giornale. Forza del “Quarto” potere?

Ma, mi sia consentito, di attardarmi ancora con qualche spunto e ritorniamo alle fandonie riportate dai giornali di Caserta il 14 luglio del 1998. Il “Corriere di Caserta“ scriveva testualmente: “Sul suo conto” - parlando di me - “pesa l’accusa di associazione camorristica, una contestazione nata a seguito di alcune pesanti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia in merito al centro di raccolta di Grazzanise, l’azienda di Corvino”.
Debbo ritenere che si tratti di un refuso, perché io non ero accusato di essere amministratore di un’azienda, tanto meno di quella di un tal Corvino né di alcun centro di “scamazzo”. Ero invece accusato di essere l’amministratore “occulto” di uno stabilimento per la trasformazione del pomodoro. Quello appunto di Teano.
Poi lo zelante, scrupoloso e informatissimo diffamatore continuava: ”Prima le accuse di Dario De Simone, confermate sul punto da Adolfo Ucciero e poi quelle di Raffaele Ferrara, Salvatore d’Alessandro, Domenico Frascogna; più nuove e dettagliate”. E ancora: “Schiaccianti, per Terlizzi, addetto stampa dell’Unicoop, le dichiarazioni di Pasquale Pirolo, suo amico, al quale avrebbe rivelato il raggiro.” E in un altro articolo dello stesso giornale si leggeva: “Terlizzi, secondo le dichiarazioni di Carmine Schiavone, avrebbe stabilito che bisognava riprendere il controllo dell’Aima a causa del flusso dei finanziamenti e ciascun capozona del sodalizio dei casalesi avrebbe dovuto costituire cooperative di agricoltori per poter aprire scamazzi”. Subito un riscontro: o l’articolista ha sbagliato personaggio oppure è in evidente malafede. Chi ha letto a suo tempo quelle “stronzate” si è fatta l’opinione precisa che Terlizzi era un potente boss del clan dei casalesi, il quale si poteva permettere addirittura di “stabilire che”, bla, bla, bla…


Tutto falso! Io non sono stato mai nominato da nessuno dei pentiti che ha citato l’articolista, per il semplice fatto che non li conoscevo e quindi non mi hanno nominato. Dove abbia preso la notizia il gazzettiere non è dato sapere perchè nell’ordinanza di custodia cautelare nei miei confronti non era affatto riportata la circostanza citata dall’articolista. Ma al “Corriere di Caserta”, data la qualità degli articolisti può accadere questo ed altro. E meno male che il gip Giovanna Ceppaluni, quando mi ha assolto dall’accusa di camorra, non aveva sotto mano una copia del “Corriere di Caserta”.

( In galera, in galera 24° - Coninua )

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