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giovedì 25 febbraio 2010

31 - Il processo è pubblico? non sempre

(31) Il processo è pubblico, su questo non si discute, e faccio osservare che è pubblico proprio perché, in anni lontani, si è voluto evitare che nel segreto, si consumassero violazioni dei diritti.

I processi dell’inquisizione, tanto per dire non erano pubblici, mentre pubblica era l’esecuzione della condanna i processi sono stati resi pubblici, dunque, a tutela degli imputati. Sarà bene non dimenticarlo. Ma la differenza fra “pubblico” e “spettacolare” esiste, ed è forte. Faccio un esempio. Negli Stati Uniti, dove ancora persiste questo barbaro costume, l’esecuzione capitale è pubblica, è obbligatorio che ci sia un pubblico, nel senso che dei testimoni devono assistere alla regolarità con cui si commette l’omicidio legale. Per quanto la cosa sia ripugnante, tale pubblicità è comunque assai diversa dalla spettacolarità, mentre spettacolare è un’impiccagione, o un ghigliottinamento sulla piazza della città. Nel secondo caso intatti, non solo si esercita il legale diritto di punire, ma si intende anche ammonire ed educare, così come esaltare e divertire, la massa che assiste. Nel primo caso i testimoni usciranno silenziosi e colpiti dall’orrore cui hanno assistito. Nel secondo la massa sarà eccitata ed esaltata dallo spettacolo cui ha assistito. Il principio per cui la pubblicità del processo è stata invocata per giustificare l’ingresso delle telecamere nell’aula è il medesimo che legittima le esecuzioni capitali in piazza. Al fondo c’è la barbarie.

Ed anche sul ruolo del pubblico, quello normale, fisicamente presente, occorre riflettere. Dalle lezioni di Francesco Carnelutti, Salvatore Satta trae una riflessione pertinente: “Carnelutti (...) ha una illuminante intuizione quando dice che il principio della pubblicità del dibattimento si spiega soltanto in quanto si riconosca al pubblico che ha diritto di assistere al processo la qualità di parte, e appunto in quanto parte gli è vietato di manifestare opinioni e sentimenti, di tenere contegno tale da intimidire o provocare: se egli fosse terzo, cioè estraneo al conflitto di interessi esploso nel reato, tutto ciò evidentemente sarebbe superfluo. E come parte preme contro la sottile barriera di legno che lo divide dal giudice: se riesce a superarla materialmente, sarà il linciaggio; se riesce a superarla spiritualmente, sarà la parte che giudicherà e non il giudice, cioè non vi sarà giudizio”. È difficile negare che quella sottile barriera non ha, spiritualmente retto alla pressione delle masse televisive.

Già questa considerazione basta a spazzare via la pretesa che la presenza delle telecamere non abbia cambiato, e profondamente, la natura del processo. Come si fa a sostenerlo infatti, quando un grande avvocato, Pietro Calamandrei già avvertiva, in ben altri tempi, che “è risaputo che la presenza del pubblico che ascolta è per certi oratori una specie di droga stupefacente, che causa un immediato sdoppiamento di personalità”. Ad essersi sdoppiato oggi non è solo l’oratore ma è il processo tutto”. Io aggiungo principalmente il piemme. Narro, infatti, nel mio libro “IL DELITTO DI UN UOMO NORMALE”, di un piemme che, accertatosi della mia presenza – come giornalista - si rammaricò di non aver rincarato la dose nella richiesta degli anni di reclusione al termine della sua requisitoria.

Tutto questo vuol forse significare che i giornalisti dovrebbero astenersi dalla cronaca giudiziaria? Evidentemente no. E’ troppo facile, e troppo sciocco sostenere che l’alternativa alla situazione attuale sia il silenzio stampa. Esiste una terza via, ed è quella dì far bene il proprio mestiere. Prima di tutto le cronache giudiziarie sono piene di madornali errori, dovuti ad una profonda ignoranza dei meccanismi giudiziari. Si dirà: ma non tutti sono tenuti a conoscere questi tecnicismi, ed ai lettori non si può comunicare con un linguaggio tecnico. Già, ma chi una cosa non la sa non si vede perché debba credere di essere in diritto di scriverne. In quanto ai lettori, essi comperano il giornale e non i bollettini giudiziari proprio perché sperano che qualcuno racconti e chiarisca loro le cose, se chi scrive, invece, con la pretesa di non essere tecnico finisce con l’essere ignorante, allora è evidente che serve male i propri clienti.

( 31 - In galera, in galera – continua )

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