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giovedì 25 febbraio 2010

43 Siamo tutti in attesa di giudizio

(43) E, poiché la popolazione carceraria su per giù da molto tempo s’aggira (escluse le punte avveratesi nel recente periodo critico) sulle SESSANTAMILA persone, di queste, oltre quindicimila sono in prigione mentre non vi dovrebbero essere perché il loro processo si risolve in una assoluzione”.

“Certo l’errore giudiziario è, purtroppo, inevitabile. L’infallibilità non è dell’uomo e il giudice non è altro che un uomo. Pretendere che la giustizia non sbagli sarebbe una pazzia. In carcere ci sarà sempre un certo numero di uomini che non ne sono meritevoli, e fuori ne vivranno sempre degli altri che ne dovrebbero prendere il posto. L’errore, per cui è punito un innocente, noi lo chiamiamo positivo. Ma è il numero, ormai crescente, degli errori giudiziari positivi che impressiona, così in senso assoluto come in senso relativo”.
Quindicimila innocenti e più, costantemente in prigione! La metà dei detenuti assoggettata al processo vi è soggetta per errore. C’è da scommettere che il novantanove per cento di voi, nell’apprendere queste notizie, penserà che bisogna riformare la legge. E’ naturale, ma sarebbe un’ingenuità”.

“La legge italiana, e del resto tutte le leggi straniere che governano il processo, sono tutt’altro che perfette; ma la loro imperfezione è solo in piccola parte la causa di questo gravissimo stato di cose. Il problema non è di leggi, ma di giudici”.

“E qui il discorso si fa difficile e delicato. Io riconosco volentieri che i giudici non sono, nella media peggiori degli altri uomini; voglio ammettere che siano, anzi, tra i migliori. Ma sono uomini anche loro, figli del loro tempo; nè possono vivere altra vita fuor da quella che nel loro tempo si vive. E proprio l’orribile malanno della prigione e della vergogna, inflitte con conseguenze spesso irreparabili a tanti innocenti, è pur esso un aspetto della vita che oggi si vive.

Non c’è dubbio che da cinquant’anni a questa parte (tale è il periodo, a cui si estende la mia esperienza giudiziaria), il valore di quella che si suol chiamare, più o meno esattamente, libertà personale, è andato scadendo sempre più”.
“Voglio dire che oggi si mette la gente in prigione con assai meno scrupoli di una volta. I vecchi avvocati come me ne hanno ogni giorno più la sensazione”.

“E i giovani pubblici ministeri o giudici istruttori sono senza confronto, più che gli anziani, pronti all’ordine di arresto o ai mandati cattura. Il che non è tanto frutto d’inesperienza o d’imprudenza, quanto della loro modernità. Il carattere della civiltà o inciviltà moderna è, infatti, l’uguaglianza degli uomini. O la soppressione dell’individuo, che è la stessa cosa. L’individuo, ossia il se stesso, il diverso da ogni altro, ogni giorno va scomparendo. Deve scomparire. L’uomo si fa sempre meno umano, insomma. Sempre meno il nome e sempre più il numero è il suo simbolo. E nel numero svanisce il valore dell’uomo, della sua felicità, della sua libertà. Nel campo di concentramento russo o nella gigantesca officina nordamericana, ogni disuguaglianza si spiana. E la vecchia Europa imbambolata applaude a tali meraviglie”.

“A proposito di numeri e di nomi! Una pietosa disposizione della Direzione Generale degli istituti penali ha da poco ristabilito l’uso del nome per l’indicazione dei reclusi nei penitenziari, dove fino a ieri si indicavano con un numero. Ma mentre, così, diventa più umano il reclusorio, si fa purtroppo, meno umano il tribunale. Voglio dire che mentre il condannato non è più un numero, diviene sempre più un numero l’imputato. L’individuo, nel giudizio penale, non esiste più. Sono forse le esigenze del meccanismo, che travolgono la buona volontà dei giudici; comunque è una sacrosanta verità che l’imputato perde sempre più i suoi inconfondibili connotati d’uomo, anzi di persona, per diventare una specie di cavia da laboratorio. Virgil Gheorghiu, se avesse esperienza de’ giudizi, potrebbe scrivere un libro ancora più amaro della sua Venticinquesima ora: quante volte, osservando come il giudice non tanto opera quanto è costretto ad operare nel processo, ho pensato, da che ho letto e vorrei dire ho sofferto quel bellissimo libro, a l’esclave technique e a Joahnn Moritz che invano cerca di resistere al robot nella pseudo fabbrica di bottoni tedesca”!

“Né potrebbe non essere così. La condizione per essere uomo è quella di riconoscere nell’altro un uomo. La personalità è un misterioso gioco di riflessi reciproci. Ogni qualvolta il giudice non vede nell’imputato un altro se stesso, chiunque sia costui, e sia pure il delinquente più abbietto, è la sua umanità che ne soffre. E se lo tratta come un numero diventa un numero anche lui”. “Triste discorso il mio, dopo tutto. Altro che riformare le leggi! Riformare gli uomini.

( 43 – In galera in galera – continua )

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