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giovedì 25 febbraio 2010

La... malagiustizia

(27)“La malagiustizia” dal quale ho tratto alcuni interessantissimi spunti.

“Non c’è metafora più cretina” – ha scritto Vittorio Feltri – “di quella che rappresenta la giustizia con una bilancia tenuta in mano da un angelo bendato e dotato di spada. La bilancia deve essersi rota da un bel po’, in compenso l’angelo ci vede benissimo e di solito evita di pungere con il suo spiedo chi è potente e gli affini per bandiera e parentela. A parte che non sono neanche tanto convinto, a questo punto, che sia un angelo… Esagero? Gli angeli dotati di ermellino mi quereleranno? Ahia mi fermo. Confesso. Ho un certo timore ad accostarmi al tema della giustizia. Non perché abbia fifa delle manette di cui si sente sempre il tintinnio quando si accarezzano un po’ contropelo le toghe. Anche. Però a questa eventualità ci ho fatto quasi il callo, tanto più che giungono segnali positivi sulla libertà di critica ai magistrati e al loro mondo e proprio dalla Suprema Corte. Peggio della galera c’è solo la noia. E ora prevale in me la paura di pungere il lettore a chiudere il giornale e in questo caso il libro. Malagiustizia, uffa. Non c’è argomento più ricco di ragnatele di questo. Le lamentele per la lentezza dei processi, per la politicizzazione della magistratura e delle relative inchieste, eccetera eccetera, provocano la crescita della barba in qualunque mortale, maschio e femmina non fa differenza. Ma questo libro proprio no. Questo libro è utile. Davide Giacalone ha superato se stesso. Mostra i limiti e le storture della giustizia in Italia, ma fornisce anche consigli molto pratici per cavarsela in questa giungla senza bisogno di essere Tarzan e senza avere il portafoglio a fisarmonica per pagare le parcelle degli avvocati di grido. Dunque vi affido alla sua amena lettura, che tiene svegli se non altro perché i romanzi dell’orrore inducono qualche brivido. Mi permetto di esprimere il mio modesto pensiero al riguardo. Il primo e più elementare è questo. La giustizia per funzionare meglio deve diminuire il tasso di giustificazionismo del delitto, abbandonare la sociologia e l’ideologia. Deve invece crescere in umanità. Umanità non significa affatto chiudere un occhio, ma cercare di capire e quindi non infierire specie con atteggiamenti sprezzanti verso chi ha commesso delitti di ogni tipo. Ci vuole rispetto nei riguardi di indagati ed imputati. Essi sono intimoriti, boccheggiano come pesci fuor d’acqua, sono portati - tranne i delinquenti incalliti - a dire qualunque baggianata purché possa compiacere i sentimenti di chi li inquisisce”.

“L’obbligatorietà dell’azione penale in realtà fa sì che prevalga la discrezionalità delle Procure nel perseguire questo e non quello, essendo impossibile materialmente approfondire qualsiasi fatto dove paia violata la legge. Occorrerebbe disciplinare le precedenze. Ed al primo posto andrebbero posto i reati contro l’ordine pubblico e quelli che sconvolgono il clima sociale. Oggi la giustizia annega in una marea di sciocchezze, non distingue. Anzi lo fa, ma spesso obbedendo alla moda”.
“E’ necessario che il giudice (il magistrato giudicante) sia terzo sul serio. Non in combutta involontaria ma sostanziale con l’accusa (il magistrato inquirente). Occorre separare le carriere, non basta dividere le funzioni salvo poi scambiarsele. Punto e a capo. Sei pm? Fai il pm. E contentati. Il giudice di merito non ti deve vedere come un collega che può votarti o meno al Csm o nell’Associazione nazionale magistrati. Questo aiuterebbe a rompere quel monolite che è il potere giudiziario quando invade il campo della politica soverchiandolo, appiattendolo come un rullo
compressore, salvo tutelare partiti e politici ritenuti più malleabili agli interessi della categoria”.


“I pubblici ministeri - come del resto prevede il codice - dovrebbero cercare la verità non la colpevolezza, con lealtà e scrupolo. Il processo è una tragedia, lo è anche il più piccolo e insignificante. È l’interesse della collettività che impone le sue regole ad un singolo che si ritiene le abbia trasgredite. Questo scatena gli elementi tipici della tragedia umana. Allora ciascun attore di questo gioco tremendo ma soprattutto chi regge la parte dell’accusa, deve esercitare l’umanità. Una qualità che si dovrebbe richiedere a chiunque abbia un potere forte tra le mani. E non penso solo alle toghe, ma a medici, giornalisti... Accorgersi che chi si ha davanti è un uomo sottoposto a una prova durissima e le decisioni che prenderai, il tuo modo di agire, di scrivere ha un peso formidabile su una vita. Non dico che si debba essere perfetti, è impossibile, ma almeno tendere a questa virtù che non dipende dal carico di nozioni trattenute in testa, ma da un sentimento che e impresso dalla natura, dall’educazione e va coltivato, Mi fa un po’ schifo la parola “valori”, ma ci siamo capiti”.

“Una considerazione per amore di verità. Mi è capitato varie volte di trovare magistrati sorprendenti a qualsiasi livello, capaci di superare gli schemi del tran tran e di esercitare la ragione su casi difficili in modo fine e rigoroso. Un tempo, quando c’era la figura del giudice istruttore, mi pareva più facile ci si potesse imbattere in figure capaci di sprigionare una sapienza dell’umano, ora meno. Tanti magistrati sono mediocri: ma la media degli asini è alta in tutte le categorie”.

( In galera, in galera puntata 27° - Continua )

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