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domenica 7 marzo 2010

Il prossimo antigomorra SGOMORRA DI LANDOLFI

Inchieste: Sgomorra, il libro bianco di Landolfi che respinge accuse al mittente

Nel mirino Lorenzo Diana (che in una intercettazione su caso Eco 4 viene chiamato D'Artagnan con la “faccia da mariuolo”), e molti sindaci di sinistra. L’informativa “inveritiera” della G.d.F di Mondragone del 1993 - Il ruolo dei pentiti e le frequentazioni di assessori provinciali con elementi della malavita casalese. Le accuse dei media di sinistra e le ripercussioni politiche - Le scorte per le minacce “ fasulle” a giornalisti di comodo.

di Ferdinando Terlizzi


Lo ha anticipato ieri “Il Giornale” con un servizio a firma di Gian Marco Chiocci, giornalista informato e non nuovo a blitz di cronaca in Provincia di Caserta. Il titolo è già pronto, il libro-bianco quasi. Si chiamerà «Sgomorra» («con la S di sinistra») il corposo documento-inchiesta sugli scheletri negli armadi degli esponenti campani del Pd redatto dall’ex ministro Mario Landolfi, parlamentare del Pdl, già presidente della commissione parlamentare sulla Vigilanza Rai, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per concorso in corruzione (con agevolazione di un clan mafioso). Landolfi, che ha dato il suo ok all’utilizzazione delle sue intercettazioni (sono ferme alla Consulta), è stato tirato dentro il caso Cosentino perché il suo nome, al pari di altri politici, è stato fatto da alcuni pentiti. L’obiettivo di Landolfi è quello di presentare quanto prima alla stampa ( credo che saremo tra i presenti ) questo dossier completo su fatti e personaggi di camorra che difficilmente vedono la luce sui media omologati. «Il libro vuol smascherare una lotta alla mafia politicamente sgrammaticata e scorretta. Faremo parlare i fatti delle amministrazioni rosse di Gomorra. Saranno sviscerati documenti, sentenze, verranno rivelati i contenuti delle informative delle forze di polizia dimenticate nei faldoni dei processi. Riveleremo al grande pubblico tante storie sconosciute, denunceremo le connivenze che stanno all’origine del tritacarne mediatico-giudiziario in Terra di lavoro. In subordine il libro punterà a svelare la spirale perversa che collega toghe e circo mediatico attivato come una catena di montaggio: dalla deposizione di verbali o stralci di intercettazioni (anche quando sono coperti dal segreto istruttorio) all’acquisizione mirata del materiale da parte del cronista o della cronista (sempre lo stesso, a disposizione). Si butta tutto in pagina, nessuno separa il falso dal vero o dal riscontrato. Nessuno che si cura delle persone che finiscono infangate e delegittimate. È ora di far conoscere chi sono i soloni dell’antimafia militante in Terra di Lavoro. Nei mesi scorsi Mario Landolfi, come si ricorderà, salì alla ribalta anche per quella sua affermazione su Lorenzo Diana “Quello dalla faccia da mariuolo”, uno che è ritenuto un “mesteriante” dell’antimafia ( come li definiva Leonardo Sciascia) ma che esce con le ossa rotte dal dossier in preparazione nonostante oggi abbia cercato “come turista della politica” la protezione sotto l’ombrello del Luca Giurato del Sud, il giustizialista ( ad personam) Antonio Di Pietro. Landolfi era stato duramente attaccato dai media di sinistra e lo scalfariano napoletano scrisse tra l’altro: “Mondragone è un paesone del Casertano, ricco di storia e povero di lavoro: uno dei tanti in Campania. Lì un graduato dei vigili urbani chiedeva le mazzette ai venditori del mercato, come forse accade in tanti paesi. Un sindacalista degli ambulanti si presentò ai magistrati e denunciò tutto: e forse anche questo accade in molti comuni. Solo che nel 2002, alla vigilia del processo contro il vigile, il sindacalista venne assassinato. E questo è accaduto solo a Mondragone. Perché secondo i magistrati allora come oggi lì i confini tra camorra e pubblica amministrazione sono così confusi che non si capisce più dove finiscano i partiti e comincino i clan”. L’articolista ignora ( o fa finta di ignorare) che Mondragone è la città dove negli anni Ottanta è stato gambizzato il sindaco l’On. Camillo Federico; dove dopo qualche tempo è stato ammazzato il vice sindaco Nugnes; dove imperava una sanguinosa cosca della mafia casalese che ha commesso diecina di delitti, alcuni ancora misteriosi. “Le dichiarazioni raccolte dagli investigatori oscillano tra il folcloristico e l'inquietante. La materia prima sono i posti di lavoro: il mattone che serve a costruire il sistema di potere. Quando i politici chiedevano, il contratto doveva spuntare fuori a tutti i costi. Spiega Michele Orsi: "Circa il 70 per cento delle assunzioni poi operate erano inutili ed erano motivate per lo più da ragioni politico-elettorali, richieste da Landolfi, Valente (il presidente del consorzio comunale, ndr) e Cosentino (il coordinatore regionale di Forza Italia, ndr)... Molte delle assunzioni erano non solo inutili ma sostanzialmente fittizie, dato che questi non svolgevano alcuna attività". Questi 'favori' poi diventavano voti. Chianese, il 'braccio destro' di Landolfi nel raccomandare un uomo vicino alle cosche sottolinea: "Quello vale cento voti!". E Orsi replica promettendo il contratto: "Tieni presente che siamo vicini a te e Mario per queste elezioni. Qualunque cosa...". La risposta? "Grazie, a buon rendere". Spiega uno dei pentiti di questo romanzo criminale: "Quasi tutte le persone che a Mondragone lavorano per la nettezza urbana sono state raccomandate dal clan. Qualunque iniziativa volessero prendere i lavoratori dovevano concordarla con il clan, compreso l'iscrizione al sindacato o iniziative di protesta. Mi risulta che nel corso degli anni sono stati organizzati dalla cosca vari pranzi elettorali per cercare di far votare tutti i dipendenti della nettezza urbana per una certa persona. Certamente è stato organizzato un incontro per far votare Paolo Russo (onorevole di Forza Italia, ndr). Per le ultime politiche è stato organizzato un rinfresco a favore di Landolfi a cui pure hanno partecipato tutti i dipendenti della nettezza urbana. In quest'ultima occasione il clan si è occupato soltanto di far andare tutti all'incontro". A tutto questo ciarpame giudiziario e giornalistico risponde Landolfi con una “contro-inchiesta” che scompaginerà non solo l’accusa ma anche molti assetti politici della sinistra “bassoliniani-forcaiola” e “parolaia”. “Provate a immaginare” – spiega il libro bianco – “se i fatti e i personaggi riportati in questa nostra inchiesta in Terra di Lavoro riguardassero il centrodestra anziché il centrosinistra. Pensate quali inchieste, quanti processi, quali e quanti scoop di giudiziaria, e che battaglie politiche e performance editoriali sul «terzo livello» politico in raccordo coi clan dei Casalesi. Già, perché se un parlamentare di centrodestra conosce un tipo che a sua insaputa è un camorrista, o lo diventerà in seguito, automaticamente è un camorrista pure lui. Idem se ha partecipato a un pranzo con trecento persone dove c’era un mezzo boss, se è stato testimone di nozze di un affiliato a una «famiglia» casertana, se aveva un parente implicato in procedimenti per associazione mafiosa, se era in una giunta sciolta per infiltrazioni criminali, se da amministratore pubblico ha dato lavoro a società delle cosche. Ciò che vale per la destra, non vale per la sinistra. Se si dovesse ragionare alla giustizialista maniera, si rovinerebbero svariati esponenti del Pd che in questa terra vivono e fanno politica. E che, fino a prova contraria, sono da considerarsi al di sopra di ogni sospetto perché innocenti e perché nessun velinaro di procura ha avuto mai da ridire su determinate frequentazioni e modalità di comportamento che, al contrario, agli avversari politici non vengono perdonate. I riferimenti, anche processuali, ai vari parlamentari del Pdl Landolfi, Cosentino, Bocchino, eccetera non sono affatto casuali. E nonostante taluni siano additati come gli «onorevoli» dei Casalesi, al maxi-processo Spartacus, quello che ha sviscerato ogni dettaglio dei singoli clan, nessun accenno vi è nei loro confronti. Per la cronaca non c’è nemmeno il sottosegretario Nicola Cosentino, ininterrottamente indagato dal 1990. Lorenzo Diana, invece, il giustizialista, è stato insieme e in giunta col fratello del boss Bardellino. Basta qualche esempio per dare l’idea. A pagina 223 di Gomorra lo scrittore Roberto Saviano dedica parole affettuose all’unico politico che si sente di menzionare, Lorenzo Diana, già parlamentare Ds ed esponente della commissione Antimafia, vincitore del Premio Borsellino 2008. Un uomo coraggiosamente contro la camorra, che nel lontanissimo biennio ’79-’80 è stato assessore a San Cipriano d’Aversa accanto a Ernesto Bardellino (fratello del superboss Antonio, capo della Nuova Famiglia, unico camorrista ad essere ammesso alla corte di Cosa Nostra) e a Franco Diana (detto «Francuccio ’o boxer», affiliato e ucciso in cella). Di questa vicinanza politica e di presunti coinvolgimenti di suoi parenti in gravi reati ha fatto cenno in un’interrogazione parlamentare rimasta senza risposta il senatore Emiddio Novi. Fosse capitato a Cosentino, sarebbe già ad arrostire al rogo. E che dire di quel che accade da sempre a Pignataro Maggiore, con l’ex sindaco Giovangiuseppe Palumbo, Pds, legato a Diana, marito della nipote del boss del paese Vincenzo Lubrano, mandante dell’omicidio del giudice Imposimato e parente di Raffaele Lubrano ucciso in una faida di camorra nel 2002? Al contrario, all’attuale sindaco Giorgio Magliocca del Pdl, è accaduto di tutto allorché è riuscito a far acquisire al Comune gli immobili sequestrati ai clan Nuvoletta, Ligato e Lubrano: quando si trattava di deliberare l’acquisizione dei cespiti confiscati, in aula si sono però presentate, urlando, alcune donne dei clan: «Ma come, proprio tu Magliocca che sei stato a cena con Lello Lubrano per chiedergli i voti». Tempo quattro anni e quella frase viene ripresa e rilanciata in consiglio comunale da Raimondo Cuccaro, ex assessore Pci, poi Pd. Ovviamente la sparata diventa un’inchiesta. C’è da capire se Magliocca s’è davvero incontrato al ristorante Ebla di Triflisco coi criminali del luogo. Per fare un esempio di come ci si potrebbe impegnare a distruggere una brava persona come l’onorevole Pina Picierno, responsabile nazionale della legalità per il Pd, basterebbe ricordarle alcune vecchie vicende riguardanti lo zio che al matrimonio volle come testimoni di nozze il capocamorra Lello Lubrano e Rosa Nuvoletta, figlia di Lorenzo, il mammasantissima di Marano. Un po’ più d’attenzione da parte dei media, con il dovuto spirito garantista, meriterebbe invece la vicenda che ha avuto per oggetto l’ex presidente Pd della Provincia di Caserta, Alessandro De Franciscis, uno che nel 2005 è riuscito nell’impresa di sconfiggere l’uomo politico che avrebbe dovuto avere in mano tutti i voti dei clan e che invece ha perso miseramente al primo turno: sempre lui, Nicola Cosentino. Al di là dell’inquietante frase di De Franciscis scovata dal Giornale fra i brogliacci dell’inchiesta della procura coordinata dal suocero dell’ex presidente della Provincia casertana, inchiesta sul Prg di Casagiove («Antonio, naturalmente tu adesso mi ricambi il favore con la camorra di Casale...») quel che obiettivamente meriterebbe attenzione sono i 400mila euro d’appalti finiti a una società (la Generale Impianti) riconducibile alla famiglia di Giuseppe Setola, non uno qualunque, ma il capo indiscusso dell’ala stragista dei Casalesi. Su questo filone l’ex assessore di De Franciscis, Fernando Bosco, da una settimana è indagato per abuso d’ufficio aggravato dall’articolo 7 (metodo mafioso). La stessa ditta, e lo stesso riferimento sanguinario, hanno spopolato anche nel vicino comune di Calvi Risorta guidato dal sindaco Pd Giacomo Zacchia, aggiudicandosi anche qui appalti per migliaia di euro. E ancora, seguendo lo sputtanamento giustizialista, si potrebbe colpire facilmente il sindaco Pd di Gricignano d’Aversa (impallinato da tre pentiti), oppure il parlamentare dell’Idv, Franco Barbato, che ha chiesto al ministro Maroni una scorta per Gaetano Manna, un personaggio già segnalato dai carabinieri, discusso per alcune sue disavventure, ritratto insieme all’assassino del fratello del giudice Imposimato. In questo gioco al massacro (a senso unico) quel che davvero indigna è scoprire che, per arrivare a incastrare l’attuale sottosegretario Nicola Cosentino, sette anni fa si è ricorsi a informazioni rivelatesi «false». Notizie contenute in un’informativa della Guardia di finanza dell’11.11.2003 utilizzata per iniziare a coinvolgere il centrodestra in vicende relative al disciolto Consorzio per lo smaltimento dei rifiuti Ce4 (diventato l’alibi per spiegare la devastazione del territorio prodotta dalla gestione rifiuti di Bassolino) e a quelle della società mista pubblico-privata che ne ha rappresentato il braccio operativo nelle altre attività dettate dall’emergenza rifiuti, l’Eco4 dei fratelli Orsi, equiparato al braccio operativo della camorra sui rifiuti quando si fa finta di non sapere che fu proprio la gestione commissariale di Bassolino ad affidare la raccolta dei rifiuti direttamente al Ce4-Eco4. In quell’informativa si definiscono «di destra» personaggi cruciali nello snodo dei rifiuti che sono dichiaratamente di sinistra; si attribuisce al sindaco di Sessa Aurunca il suo essere «di destra», quando dal ’95 comanda ininterrottamente il centrosinistra; si fa riferimento a una ventina di sindaci nell’ambito del Consorzio che avrebbero subito pressioni dai clan, e non s’è trovato un riscontro nelle indagini e nei processi in corso; per irrobustire il ruolo della camorra si asserisce che il famigerato Ce4 è stato l’unico consorzio a dotarsi di una società operativa per il servizio di raccolta, quando è dimostrato l’esatto contrario. E ancora molto altro. Insomma, un gran pasticcio. Su cui prima o poi si dovrà fare luce perché non solo nel caso Cosentino tornano poche cose, a cominciare dai pentiti.

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