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domenica 7 agosto 2011

LA CRONACA NERA IN NAFTALINA di Ferdinando Terlizzi ( 1)





IL TRIPLICE DELITTO AVVENNE A S. ANDREA DEL PIZZONE NEL GIORNO DELLA FESTA PATRONALE NELL’AGOSTO DEL 1961 – LA DONNA ERA IN STATO INTERESSANTE. – RICONOSCIUTA L’ATTENUANTE DELLA PROVOCAZIONE. GIOVANNI LEONE E MICHELE VERZILLO I SUOI DIFENSORI – IL PM. CHIESE 30 ANNI DI RECLUSIONE. PARTORI’ NEL CARCERE MA LA BIMBA VISSE UN SOLO GIORNO.


Sparando contro il fidanzato, un giovane di Capua, ( che l’aveva sedotta e abbandonata ) uccise anche altre due persone. Fu condannata a 24 anni. Nel carcere di Pozzuoli era capo cuciniera. Fu liberata dopo 15 anni. Vive nel suo paese ed ha quasi 80 anni.

S. Andrea del Pizzone - Era il 2 agosto del 1961, Consiglia Sciaudone, 24 anni, bellezza selvaggia e prosperosa, carattere fiero, educata dai severi genitori, vestita con un goffo abito da gestante si recò al centro del paese ( allora era frazione del comune di Francolise ), dove era in corso la festa Patronale e la gente si accalcava vicino al Luna Park: Improvvisamente echeggiarono cinque colpi in ripetizione. Caddero sotto il fuoco della ragazza il suo seduttore ed ex fidanzato Aldo Marras, ( 32 anni da Capua) il suo amico Alfredo Petrillo ed un anziano contadino, Salvatore De Micco.

La prime notizie furono frammentarie. Consiglia ha ucciso tre uomini che l’avevano aggredita. Consiglia aspettava un bambino dal suo fidanzato che si era rifiutato di sposarla. C’era un patto d’onore tra i due: se ti abbandono uccidimi. Una ridda di ipotesi. Il botteghino del lotto, l’indomani, fu preso d’assalto. I giornali dell’epoca titolarono: “Una giovane donna uccide il seduttore per la strada”.

Tutto fu chiarito dal pronto intervento dei carabinieri ai quali la sconvolta ragazza, sommariamente, raccontò la sua odissea d’amore. E il primo “dispaccio”, il lunedì mattina, parlò chiaro. “Ieri una giovane donna in stato interessante, poche ore prima di dare alla luce la sua creatura, ha ucciso a colpi di arma da fuoco l'uomo che l'aveva sedotta e poi abbandonata, rifiutandosi ripetutamente di sposarla”.

E intanto la storia si contornava di particolari inediti. La vittima Aldo Marras, di trentadue anni, studente universitario fuori corso, della Facoltà di giurisprudenza, dopo aver abbandonato la ragazza per un certo tempo si era improvvisamente presentato nel giorno della festa al suo paese. A Consiglia – questo fatto – era sembrata una sfida. I due erano stati fidanzati tempo fa. Il Marras durante il periodo della relazione rese incinta la giovane, promettendole di sposarla al più presto.

Le cronache dell’epoca raccontano che qualche mese dopo l'inizio della gravidanza della Sciaudone però, il Marras abbandonò la giovane senza alcuna giustificazione. Egli fu esortato dal parroco del paese e da parenti suoi e della ragazza a riparare alla colpa con il matrimonio. A nulla però valsero tutti i tentativi: il Marras lasciò chiaramente intendere di non voler più avvicinare l'ex-fidanzata. E così che la Sciaudone ha messo in atto la vendetta: è uscita di casa di buon'ora e si è messa alla ricerca del suo seduttore. Lo ha scorto nella strada centrale di S. Andrea del Pizzone, dove il Marras si trovava nei pressi di un bar a discutere con alcuni amici. La donna senza lasciar trapelare i suoi propositi, si è avvicinata al Marras e gli ha sparato contro cinque colpi di pistola. Lo studente, raggiunto in parti vitali, ha tentato di allontanarsi, ma, fatti pochi metri, e stramazzato al suolo cadavere. I colpi sparati dalla Sciaudone non hanno raggiunto soltanto il Marras. Infatti due persone che erano con lui sono rimaste ferite. Esse sono il commerciante Alfredo Pratillo, di trentasei anni, e l'agricoltore Antonio De Micco, di sessantuno, i quali sono stati ricoverati in gravi condizioni all'ospedale civile di Capua. I due morirono a Napoli dopo qualche giorno.

Perpetrato il delitto la giovane donna si è avviata alla stazione dei carabinieri del posto, dove si è costituita, consegnando al sottufficiale di servizio la pistola “Beretta” con la quale aveva soppresso pochi minuti prima il seduttore ed aveva ferito le altre due persone. Nel consegnare l'arma ai carabinieri, la Sciaudone ha dichiarato: “Questa pistola mi fu regalata tempo fa dal Marras, il quale in quella occasione mi disse: “Se non ti sposerò mi ammazzerai con quest'arma. Non mi ha voluto sposare — ha concluso la donna — ed ho fatto come mi aveva detto”.

Nel 1965, innanzi la Corte di Assise comparve Consiglia Sciaudone, e dopo tre anni trascorsi in carcere non aveva perduto il suo temperamento esuberante caratteristico della gente dei “Mazzoni” (la sconfinata distesa di pascoli per bufali dove il delitto era considerato ancora un diritto privato per farsi giustizia, dove lo schiaffo rappresentava la caparra per la morte e dove, il giorno della cresima, invece del Rolex si regalava una pistola al figlioccio ) narrò, per tre ore, al presidente dott. Marino Lo Schiavo la sua triste sorta, culminata nei tre omicidi (di cui uno premeditato) per i quali essa rischiava la pena dell'ergastolo.

Nel corso dell’udienza emerse che la giovane conobbe Aldo Marras ad una fiera, in paese. In principio essa respinse la sua corte. I suoi modi di grossolano dongiovanni di provincia la irritavano. Ma, in sostanza, Aldo Marras (che aveva perduto il padre, sottufficiale del carabinieri, in azione di polizia ed i due fratelli minori morti uno in sanatorio, l'altro in un incidente aviatorio) le apparve un ragazzo buono e generoso, ed essa cedette. Poco dopo, però, l'innamorato avanzò richiesta ( la cosiddetta “prova d’amore”) che la ragazza, cresciuta in un ambiente di severi costumi, giudicò eccessive, e ruppe il fidanzamento. Oggi la società è cambiata, la prova d’amore si chiede via Web, e le dolci donzelle la concedono… spesso, senza richiesta.

Avvenne, allora, un episodio, non infrequente dalle nostre parti: Aldo Marras chiese alla ragazza di riconciliarsi con lui, di cedere ai suoi desideri e di accettare, “in pegno” la garanzia delle sue buone intenzioni: una pistola automatica. Se non l'avesse più sposata, essa avrebbe avuto l'arma per vendicarsi.

“Quella pistola – raccontò la ragazza – io la custodii gelosamente e dovetti infine usarla per riscattare i miei sogni perduti. Attendevo un bimbo ed Aldo non voleva più sposarmi. Ero agli ultimi giorni di gravidanza e decisi di farla finita. La sera del 2 agosto seppi che Aldo era al Luna-Park con due amici. Presi la pistola, la nascosi nella tasca dell'ampio vestito di cotone da gestante, ed uscii. Aldo era al baraccone del tiro a segno col fucile a compressione imbracciato: sparava e rideva. Estrassi la pistola e cominciai a sparare; ricordo solo una grande confusione, e vidi del sangue. Non capii più niente. Qualcuno mi sorresse e mi trascinò . Quando, il giorno dopo, mi rinchiusero nel carcere di S. Maria Capua Vetere ero già in preda alle doglie del parto. La mia bambina — ha aggiunto singhiozzando — visse un giorno soltanto”.

L'attesa del pubblico, che gremiva l'aula, è andata un po' delusa verso la fine dell'udienza, quando si è sparsa la voce che erano stati citati .a testimoniare i coniugi Porfidio, nella cui abitazione, in Sant'Andrea, sarebbe avvenuto il primo incontro, quello decisivo dell'onore della ragazza. Ci si aspettava di ascoltare dalla voce di Assunta Porfidio i particolari del piccante episodio: ma l'attesa è stata vana.

Alla fine della requisitoria del pubblico ministero, Dott. Francesco Calabrese, che chiese una condanna a 30 anni di reclusione, il presidente della Corte di Assise annunciò che i due testimoni non potevano comparire in aula, perché erano espatriati in Svizzera per ragioni di lavoro.

Dopo le arringhe di parte civile e quelle dei difensori, Avv. Michele Verzillo, del Foro di S. Maria C.V. e del Prof. Avv. Giovanni Leone, futuro Presidente della Repubblica ( che sostennero la non premeditazione del delitto e la provocazione ) la Corte, riconobbe le attenuanti generiche ( per l’incensuratezza) e le attenuanti per la provocazione e condannò la giovane a 24 anni di reclusione.

Certo, deve essere stato terribile, per Consiglia Sciaudone, pensare di essere una ragazza madre, a quell’epoca, anni Sessanta, in un paese come il suo ciò era inaccettabile. Un figlio illegittimo veniva considerato una vergogna e una relazione con un uomo sposato una grave colpa. Sul delitto ci sono due versioni una giudiziaria e l’altra letteraria. La prima propende per il delitto con una pistola contro un giovane studente. La seconda per il delitto con il fucile del padre della ragazza contro un uomo, un geometra, sposato e con figlio.

Oggi la maestrina “ribelle” ha quasi 80 anni e vive nel suo paese riverita e rispettata. Ma non è escluso che nei prossimi giorni andremo a trovarla ( abbiamo già chiesto un incontro attraverso un avvocato del posto ) per farci personalmente chiarire qual è la versione ufficiale dei fatti. Pistola o fucile da caccia?

1 (continua)

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