RINVIATO A GIUDIZIO E ACCCUSATO DI AVER REDATTO LA PERIZIA FALSA ANCHE IL PROF. ALBERTO FICHERA, DELL’UNIVERSITA’ DI CATANIA.
Coimputati con Michele Santonastaso anche Michele e Francesco Bidognetti, Anna Carrino, Luigi Cimino e Augusto La Torre – Tra i testimoni della difesa prelati, magistrati, avvocati, giornalisti. Il Questore, alcuni funzionari di polizia e carabinieri. Deputati e senatori Tra quelli dell’accusa collaboratori di Giustizia – I più noti: Il crimonologo Francesco Bruno, i magistrati Cantone, De Raho e Milita; gli avvocati Raucci, Giaquinto e Irace; i deputati Landolfi, Garavini, Bianco e Simeone; i giornalisti Roccuzzo della La7 e la Palomba di Cronache di Caserta nonché il capo della Mobile di Napoli Vittorio Pisani.
S.Maria C.V. ( di Ferdinando Terlizzi ) – In attesa che sia decisa la Sezione a cui assegnare la celebrazione del processo a carico di Michele Santonastaso ed altri ( da unificare con quello per 416 bis ) già fissato per il 25 prossimo, sono state depositate in cancelleria le liste dei testi. Come è noto sono stati anche rinviati a giudizio, con le pesanti accuse - in concorso tra loro – anche Michele e Francesco Bidognetti, Anna Carrino, Luigi Cimmino, Augusto La Torre ed il Prof. Ing. Alberto Alfio Natale Fichera, dell’Università di Catania,
A quest’ultimo ( arrestato l’anno scorso ed in libertà per ragioni di salute ) la DIA ha contestato che, in cambio di somme di denaro ( si parla di 1000 mila euro ) avrebbe redatto perizie false per fornire false indicazioni agli inquirenti. In particolare egli è ritenuto gravemente indiziato dei delitti di corruzione e falsa perizia aggravati dal concorso esterno in associazione mafiosa, per aver agevolato il clan dei casalesi ed il clan Cimmino, operante nella città di Napoli.
E veniamo ora ai testi, che in questo processo rappresentano veramente una singolarità. Ci sono, infatti, molti investigatori e magistrati inqurenti che sono citati a discarico. Per Fichera (11) Padre Salvatore Resca, fondatore Movimento Antimafia; Sen. Enzo Bianco ex Ministro degli Interni; Antonio Roccuzzo, giornalista La7.
Per l’Accusa ( 30 ) tra ufficiali di P.G., periti, professionisti, avvocati e collaboratori di Giustizia. Tra i più noti: Antonio Miranda, Carabinieri di Caserta; Avv. Angelo Raucci ( testimone assistito indicato anche dalla difesa di Santonastaso ) Gaetano Vassallo, Angela Barra, Oreste Spagnuolo, Augusto La Torre, Stefano Piccirillo, Luigi Guida, Armando Martucci, Tammaro Diana e Massimo Alfiero.
Per Santonastaso (150) Gli avvocati: Umberto D’Alessandro, Vittorio Giaquinto, Camillo Irace, Rosa Ferrara ( all’epoca dei fatti Presidente della AIGA di Napoli ), e Catello Di Capua. I magistrati Raffaele Cantone, Cafiero De Raho e Alessandro Milita. Gli onorevoli Mario Landolfi, Alberto Simeone, ( firmatario della famosa legge Simeone sui benefici ai detenuti ) e Laura Garavini ( firmataria della interrogazione che segnalava la necessità di applicare il 41 bis ad Augusto La Torre ); il criminologo Francesco Bruno; Il Capo della Mobile di Napoli Dr. Vittorio Pisani, il V.Questore di Caserta Dott. Rodolfo Ruberti, il Dr. Angelo Morabito, . nonché Giuseppe Mandara, ( per il falso alibi del duplice omicidio ) e Ottavio Oro, Giuseppe Iatomasi, Vincenzo Di Fonso, Francesco Di Lorenzo, Innocenzo Pengue del R.O.N.O. di Caseerta. La giornalista Tina Palomba, l’ex Presidente della Impregeco Giuseppe Valente,
Le indagini venivano avviate dalle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia che riferivano che Aniello Bidognatti, Luigi Cimmino, e Vincenzo Tammaro ( il primo esponente del clan dei casalesi e gli altri due rispettivamente capo e partecipe del clan Cimmino), non solo avevano organizzato ed eseguito il duplice omicidio in danno di Enrico Ruffano e Giuseppe Consiglio, avvenuto in Napoli il 28.4.1999 ma che, seppure ( in particolare il primo ed il terzo) intercettati durante le fasi preparatorie, contestuali e immediatamente successive al delitto, erano stati assolti a fronte di un versamento di denaro in favore del perito che aveva avuto incarico dalla Corte di Assise di Napoli di identificare coloro che avevano preso parte alle compromettenti intercettazioni.
In sostanza, quindi, secondo i collaboratori (tutti vicini, a vario titolo, agli imputati di quel processo) il perito corrotto aveva “aggiustato” il processo depositando una perizia nella quale falsamente attestava che le voci captate nel corso delle decisive intercettazioni telefoniche non corrispondevano a quelle degli imputati Aniello Bidognetti e Vincenzo Tammaro. L’attività di riscontro partiva dall’acquisizione degli atti processuali relativi al duplice omicidio RUFFANO-CONSIGLIO il cui dibattimento era stato celebrato innanzi alla Corte di Assise di Napoli nell’ambito del procedimento penale a carico di Aniello Bidognetti, Luigi Cimmino, Giuseppe Cristofaro e Vincenzo. Tammaro
Risultava che tutti gli imputati tratti a giudizio innanzi alla citata Corte di Assise, erano stati raggiunti da ordinanza di custodia cautelare in carcere – confermata innanzi ai diversi organi giurisdizionali – che, come ricordato dai collaboratori di Giustizia, risultava, effettivamente, trarre il proprio fondamento dallo svolgimento di intercettazioni telefoniche nel corso delle quali venivano captate le voci di coloro i quali avevano organizzato ed eseguito il delitto.
La DIA già all’epoca, così come la stessa Polizia Giudiziaria, non aveva avuto dubbi sulla riconducibilità di quelle utenze e di quelle voci agli allora indagati Giuseppe Cristofaro, Aniello Bidognetti ( figlio del capo clan Francesco Bidognetti) e Vincenzo Tammaro e, conseguenzialmente, sulla sussistenza di gravi elementi indiziari anche a carico del CIMMINO, all’epoca capo dell’omonimo clan cui appartenevano il TAMMARO ( esecutore del delitto ) e stretto alleato dei BIDOGNETTI.
Sempre come riferito dai collaboratori di Giustizia, risultava agli atti processuali: 1) che la Corte di Assise al fine di acquisire la certezza sulla attribuibilità delle voci agli imputati aveva dato incarico peritale a Alberto Alfio Natale Fichera; 2) che proprio in conseguenza della citata perizia, che escludeva l’attribuibilità delle voci intercettate a Aniello Bidognetti e Vincenzo Tammaro, la Corte assolveva sia BIDOGNETTI che TAMMARO, mentre condannava, invece, Giuseppe Cristofaro, gregario del clan bidognettiano e CIMMINO nei cui confronti gli elementi indiziari non si fondavano, direttamente, sulle intercettazioni.
Risultava poi che nel successivo processo d’appello anche il citato Luigi Cimmino veniva assolto dall’accusa di essere stato il mandante del duplice omicidio. Ciò quale conseguenza logica dell’assoluzione, nel processo di primo grado, del Vincenzo Tammaro che, secondo la tesi accusatoria, era stato, proprio su incarico del CIMMINO, esecutore materiale del reato. Esito finale del processo e conseguenza diretta ed indiretta della perizia era che tre imputati su quattro venivano assolti e che l’unico imputato condannato per il duplice omicidio era Giuseppe Cristofaro, come si è detto componente di secondo piano del sodalizio casalese - fazione bidognettiana.
La Direzione Investigativa Antimafia quindi, provvedeva ad escutere l’Ufficiale di P.G. che aveva materialmente svolto l’attività di intercettazione. Questi non solo esternava il suo sbalordimento per l’esito del processo ma si dichiarava certo – sia per le particolarità di quelle voci che aveva intercettato per svariato tempo che per i riferimenti contenuti nelle conversazioni – del fatto che due delle utenze dei soggetti che avevano eseguito ed organizzato il delitto, erano attribuibili a BIDOGNETTI Aniello Bidognetti e Vincenzo Tammaro, poi assolti. Infine veniva nominato dalla DIA un qualificato collegio di Consulenti e non solo, e senza dubbio alcuno, evidenziava che i due soggetti assolti in primo grado ( BIDOGNETTI e TAMMARO) erano sicuramente fra gli interlocutori di quelle conversazioni intercettate ma che, soprattutto, sottolineava come la perizia del FICHERA fosse affetta da gravissime incongruenze nella lettura dei dati strumentali. Incongruenze che gli uffici della Dia questo e quello del GIP di Napoli hanno ritenuto del tutto incompatibili con le capacità professionali dell’attuale imputato.
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