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mercoledì 7 novembre 2012


Diritto di cronaca o morbosità per l'audience?

Dopo Cogne, Avetrana e altri delitti diventati tormentone televisivo, il dramma della minorenne morta a Bracciano mette sotto inchiesta il giornalismo. [Ennio Remondino]

martedì 6 novembre 2012 12:56

di Ennio Remondino

Giornalismo geneticamente modificato. Una volta si chiamava "Cronaca nera" per distinguerla dalla "Bianca" che era tutto quanto non fosse materia per organi di polizia e magistratura. Una volta la Cronaca Nera era il passaggio "scolastico base" di giornalismo, obbligatorio per ogni abusivo o praticante arrivato in redazione. Accademia selettiva. Il giro dei pronto soccorso, poi, a salire, i carabinieri, quindi la questura, riservata al "principe della nera". Prima il salotto quotidiano fu la Squadra mobile poi, con la lotta armata, fu la Digos. Sbirri su sbirri e giornalisti alla prova chiave del mestiere. Come narrare di cose solitamente orrende, di tragedie, di storie pietose stando ai fatti senza indulgere nel pruriginoso: distinguere tra i dettaglio soltanto macabro e il passaggio chiave per l'indagine. Sovente il non dire su particolari intimi di vittime o familiari e, al massimo, lasciare intendere, se era proprio necessario. Parallela ma più evoluta e in carriera, seguiva la cronaca giudiziaria. Giornalismo del secolo scorso. Poi venne il giornalismo OMG, quello televisivo e geneticamente modificato.

La pancia molle del giornale. Nella ormai lunga vita professionale ho avuto l'occasione di praticare sia quella prima antica scuola, sia di finire nella macchina giornalistica schiacciasassi che è la televisione. Per fortuna mia, superato l'apprendistato al Secolo XIX di Genova, in televisione mi sono occupato d'altro. Non meno cruento di certa "neraccia", ma formalmente meno compromettente. Usare qualche aggettivo di troppo per una strage brigatista o per un delitto di mafia risultava meno ignobile dell'insistere sui dettagli della morte della povera Sara. Poi fu l'avvento nella gara degli ascolti, nella misurazione - minuto per minuto - del gradimento del pubblico ormai armato di telecomando. E fu la catastrofe, l'avvio di un processo degenerativo del giornalismo in grado di superare la stupidità dei settimanali dedicati al gossip. Nacque la "Pancia del giornale", la parte molle del notiziario cui spesso mancava una testa e una dignità. La politica imposta per servilismo a dare il via, poi, per recuperare ascolti, niente di meglio che un po' di sangue, meglio se con qualche riferimento a sfondo sessuale.

Dal «Pelo» al plastico nel precipizio. Ho memoria personale di un direttore giunto al Tg1 dalla carta stampata, prima incursione berlusconiana in Rai nel lontano 1994 che, dopo aver analizzato i tristi dati di ascolto dell'apertura politica lecca lecca, in riunione di sommario sentenziò: «Qui ci vuole del pelo». Da intendersi nel peggiore dei modi. Sesso, ammiccamenti, e possibilmente storiacce torbide di delitti passionali. Non si offenderà certamente Carlo Rossella se lo ricordo in un passaggio non glorioso del suo percorso professionale. Il personaggio è uso a ben altro. L'ho rivisto ieri in televisione nella veste di testimone al processo di Milano sulle serate Bunga bunga nella villa di Arcore. Poi venne la versione giornalisticamente ed intellettualmente più evoluta dei plastici con scena del delitto inventati da Bruno Vespa a Porta a porta. Nasce col delitto di Cogne la tentazione dei processi preventivi celebrati in diretta televisiva, e con sentenze da giuria popolare: difesa, accusa, Crepé, criminologo, avvocati da Corte dei miracoli, soubrette isteriche e infinite puntate sulla pelle del povero Samuele.

Morta la notizia cercasi assassino. Per scarto generazionale non conosco i "neristi" di oggi, se ancora esistono, né seguo la cronaca dei fattacci nei cui confronti, anzi, provo un certo fastidio. Di solito mi basta già il pastone politico per fare il pieno di orrore e indignazione. Non credo siano comunque i narratori occasionali di una vicenda tragica, ammettendo alcune loro forzature occasionali, gli eventuali colpevoli. E' il sistema folle degli ascolti che si impone sui contenuti e sull'etica. Per fortuna con qualche eccezione. Ammiro ad esempio la scelta giornalistica di Enrico Mentana che, salvo situazioni di particolare rilevanza sociale, ha escluso la cronaca nera dal Tg di La7. Problemi di costi, forse anche, ma scelta ben motivata e premiata dagli ascolti. Ma allora chi ha ragione, Rossella col "pelo" che tira o Mentana con la politica tradotta dal politichese? Ho seguito con attenzione la contro inchiesta sul giornalismo fatta da Luca Tedesco e Daniele Coltrinari di Zone Tv (video che potete vedere in fondo all'articolo) proprio sull'attenzione e sulle modalità di racconto attorno alla misteriosa morte della sedicenne a Bracciano. Spunto di riflessione importante.

Serve ancora il giornalismo? Due rispettabilissimo colleghi, narratori televisivi di quella vicenda, Raffaella Daino di Sky24 e Paolo Pratesi di Tg.com24, dicono la loro sul contrasto tra diritto di cronaca e rispetto umano dovuto -in quel caso- addirittura ad una minorenne. Il rendere noto il suo nome e poi le foto, anche se rese pubbliche dalla stessa ragazza vittima su facebook. Opinioni tutte improntate al rispetto spesso contraddittorio tra diritto di cronaca e tutela della privacy. Quasi che la morte, oltre che a privarla del vivere, avesse sottratto a quella ragazza anche la tutela imposta per legge sui minori protagonisti da fatti di cronaca. Ma la questione, a mio avviso, non è tanto o solo quella. Non è materia da convegno di deontologia giornalistica. E' questione molto più semplice ed assieme più grave: la ragione stessa del giornalismo oggi. Il senso di tanta e insistita attenzione attorno ad una vicenda che, dopo aver stroncato la vita di una ragazza, coinvolge sentimenti di familiari ed amici. Il giallo, il desiderio di sapere, ma tanta curiosità editoriale ha davvero l'obiettivo della verità o è solo vojerismo da ascolti?

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