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martedì 4 dicembre 2012



Un pm che entra in redazione è come un soldato in ambasciata





Arresto di Sallusti, la questione dei principi. Ho letto tutto quel che ha pubblicato il Giornale e gli altri giornali. Pochi direttori come quello del Corriere della Sera hanno avuto il coraggio di trasmettere la loro solidarietà al direttore del Giornale senza se e senza ma. I giornalisti italiani sembrano in difficoltà in questo caso di fronte all'esigenza di separare, districare, il caso specifico da quello generale, dei principi. Ci si deve chiedere se e in che modo l'arresto è avvenuto anche con intenzioni simboliche importanti o no. Ci ho messo un po' prima di focalizzare qualcosa che mi sfuggiva e poi finalmente l'ho vista, capita.
E mi sembra questa. Sallusti è stato arrestato spettacolarmente, cioè mediaticamente - fotografi, telecamere - dentro la redazione, nell'ora della riunione mattutina. Ciò ha comportato, insieme all'arresto, lo stupro del suolo di una redazione di giornale. Che cosa si è ottenuto in questo modo? Che la polizia dilagasse - sia pure con atteggiamenti cortesi e rispettosi - e facesse sentire non solo a Sallusti, ma ai giornalisti tutti, anche a quelli degli altri giornali, che si andava a catturare un direttore là dove quel direttore svolge le sue mansioni, nel cuore del luogo in cui si compie il lavoro giornalistico.


Sappiamo bene che la redazione del giornale non è un luogo sacro. Neanche il giornalismo in sé è un mestiere sacro. Ai giornalisti non è concesso neppure il privilegio del segreto professionale come accade invece per i medici e i ministri del culto. Mini-premessa: chi scrive è sempre stato contrario ad ogni sacralità del mestiere, che è un mestiere anche opaco, anche equivoco, un mestiere in cui - come in guerra - si toccano e si maneggiano sangue merda e lacrime.
Un giornalista non è una persona sacra. È uno che fa un mestiere. Il fascismo si inventò l'ordine dei giornalisti per conferire sia sacralità che controllo governativo sugli operatori dell'informazione, ma nei Paesi in cui il giornalismo dà ancora il meglio di sé non esiste l'ordine con l'esame di Stato, come accade invece da noi. Sei giornalista perché «fai» il giornalista, anche perché sono giornalisti coloro che fanno mestieri diversissimi fra loro: il capo ufficio stampa di una casa di mode e l'inviato di guerra, il portavoce di un ministro e il cronista di nera, chi si occupa di cinema e chi di letteratura e così via. Sono contrario alla sacralità del singolo, ma a favore della sacralità della funzione del giornalismo: il giornalismo è effettivamente il quarto potere, ma non ha tutele, non ha nulla. Il giornalista spedito in guerra muore, il giornalista spedito a occuparsi di terrorismo magari va in galera perché intercetta dei messaggi. Fosse per me l'ordine sarebbe abolito, ma il giornalismo esercita un potere e lo esercita con tutti i suoi mezzi che talvolta non sono carini, o gentili, o limpidi, perché il giornalismo è luogo di battaglia e di scontro.


Ma proprio in questo modo esercita la sua funzione di rappresentare tutti o quasi i segmenti dell'opinione pubblica. Se li prende sulle spalle e li rende visibili, li fa diventare argomenti. Il giornalismo è il raccordo fra i cittadini tutti e le istituzioni, la politica, gli altri cittadini. Dunque questa funzione, se non i singoli operatori, ha un altissimo valore sacrale in una democrazia.
Niente giornalismo, addio democrazia e la democrazia stessa con le sue spettacoli lotte intestine, che sono la sua natura, fa esattamente ciò che poi il giornalismo rappresenta, porta alla luce, rende pagina, rende parola, rende argomento, idea, opinione, atteggiamento politico e di voto. Rende testimonianza. E come tutti i diamanti viene dalla terra, è fatto di impurità, di venature, di croste. E il terreno della redazione non è sacro per legge, ma che è sacro per la natura stessa della democrazia. Il territorio di un luogo in cui si fa un giornale è sacro perché la democrazia è sacra, perché il pluralismo è sacro, perché gli errori persino sono sacri. E allora si vede il vulnus, si vede l'intenzione di causare un vulnus. L'extraterritorialità ideale di cui idealmente ogni giornale gode (non riconosciuta da alcuna legge, ma non meno vera per questo) è stata calpestata, le truppe sono entrate in ambasciata, un operatore dell'informazione, un direttore condannato per l'articolo scritto da un altro, viene preso sottobraccio e portato via nella tempesta stellare dei flash dei fotografi.
Ed è qui che balza agli occhi la piccineria invecchiata di tutti coloro che seguitano a ripetere come un ritornello le circostanze del peccato originario. A quel peccato si è aggiunta a sorpresa la cosiddetta «evasione»: Sallusti ha varcato la porta di casa dei domiciliari e questo appartiene al suo diritto alla fantasia, all'uso nobile di un grave fatto privato per dilatarlo e farlo diventare scandalo.
Sarebbe una cosa utile se tutti i cittadini e tutti i giornalisti prendessero atto che sabato non è stata violata la sede del Giornale, ma tutte le redazioni italiane, tutti i luoghi in cui si fa informazione e commento, in cui si suona la corda tesa della discussione e della lite. Se qualcuno ancora non capisce che questo è il tema, questo l'oltraggio, che possiamo dire? Peggio per lui.


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