La libertà di stampa non esiste
SONO DIRETTORE DA UN MESE E GIA’ MI VOGLIONO FAR FUORI
IL MIO GIORNALISMO GRAFFIANTE NON E’ GRADITO DAI NUOVI SOCI
VOGLIONO I PECORONI E UTILI IDIOTI CHE LECCANO IL CULO AI POLITICI LOCALI PER POI FARE I CAZZI LORO MA
QUESTO E’ UN GIORNALISMO DI MERDA
IN CONCOMITANZA CON QUESTA SITUAZIONE AL FESTIVAL DI PERUGIA E’ STATA PREMIATA UNA COLLEGA CHE HA SCRITTO UN ARTICOLO CHE PARI PARI RAPPRESENTA LA SITUAZIONE DI MOLTI DI NOI.
LA LIBERTA’ DI STAMPA
NON ESISTE
Al Festival di
Perugia premiata Chiara Baldi (Lsdi) per l’articolo: “La libertà di stampa
solo una illusione se i giornalisti sono sfruttati e minacciati”.
www.lsdi.it-27/4/2013
Chiara Baldi, nostra
collaboratrice e socia dell’Associazione Lsdi, ha vinto al Festival del
giornalismo di Perugia il premio Walter Tobagi nella sezione carta stampata
con un articolo dal titolo ‘’Stampa libera? Un’illusione se i
giornalisti sono sfruttati e minacciati’’, che pubblichiamo qui di
seguito. La giuria le ha assegnato il premio con questa motivazione: “Il
pezzo tratta un tema di grande attualità, spesso censurato dagli stessi
addetti ai lavori. Lo svolge in maniera documentata e misurata,
focalizzandosi sulle battaglie sindacali, senza retorica e con uno stile giornalistico
asciutto”.
Chiara (a sinistra
nella foto) ha dedicato un grosso impegno alla questione del precariato
giornalistico, un tema che è stato anche al centro della sua tesi di laurea,
dal titolo ‘’Due euro al pezzo: inchiesta sul nuovo precariato giornalistico’’.
Lsdi l’aveva
pubblicata l’ anno scorso in occasione della sesta edizione del Festival di
Perugia, che si era aperto il 25 aprile 2012 proprio con
un Meeting dei Movimenti dei giornalisti precari.
La giuria – composta
da composta da Maurizio Beretta (UniCredit), Arianna Ciccone (Festival
Internazionale del Giornalismo), Dario Di Vico(Corriere della Sera), Riccardo
Iacona (Presadiretta), Laura Silvia Battaglia (Associazione Ilaria Alpi),
Benedetta Tobagi (La Repubblica) – ha assegnato poi una menzione speciale,
sempre per la carta stampata, a Bianca Senatore per Raccontare il mondo del
lavoro in generale o il mondo della professione giornalistica in particolare
Nella sezione video
il premio è andato a Luigi Brindisi, Lucia Maffei, Alexis Benedicta Paparo,
Vincenzo Scagliatini (i quattro sulla destra nella foto) per “Una
storia ancora da raccontare: Walter Tobagi”
- – - – -
Stampa libera? Un’illusione se i giornalisti sono sfruttati e minacciati
di Chiara
Baldi (@ChiaraBaldi86)
Un esercito di
venticinquemila precari che produce il sessanta percento delle notizie di un
qualsiasi giornale, online o cartaceo che sia. Un esercito che se posasse la
penna e spegnesse il pc, metterebbe in ginocchio l’intero sistema
dell’Informazione. Nel resto del mondo questi “soldati” si chiamano freelance
e sono sinonimo di notizie indipendenti, libere, alternative. Da noi sono
semplicemente giornalisti precari, o più brutalmente: sfruttati, sottopagati,
sotto ricatto. L’ Italia della crisi, dei contratti atipici, degli stipendi
infami, del «non arrivo a fine mese» e delle tutele inesistenti, passa anche
(e soprattutto) da loro.
E da loro passa
anche la libertà di stampa in un Paese che nel 2013 si è attestato al 57°
posto nella classifica mondiale di Reporters sans Frontières. Sì, perché non
esiste stampa libera né diritto del cittadino ad essere informato in modo
democratico se i giornalisti sono pagati quattro euro al pezzo o poco più. E
che siano nette o lorde cambia poco: è pur sempre una miseria ignobile. La
libertà di stampa inizia da qui, dal ricatto di un giornalista che lavora
così tanto per un compenso così insulso: quale professionalità e quale
indipendenza avrà mai, se per 50 euro al giorno deve produrre 15 notizie?
E soprattutto, di
che qualità saranno quelle notizie? Per anni, di tutto ciò non ne ha parlato
nessuno. Ai giornali non conveniva per evidenti motivi e le associazioni di
categoria (OdG e FNSI), per loro stessa ammissione, se ne sono accorte troppo
tardi. Ma queste proteste qualcuno le doveva pur raccogliere, qualcuno doveva
pur incanalare questa rabbia per farla sfociare in qualcosa di concreto, e
allora tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010 sono nati i primi
Coordinamenti di giornalisti precari: quello della Campania e quello romano
di Errori di Stampa.
Questa realtà si è
allargata a macchia d’olio, tanto che oggi esistono in tutta Italia. Perché
lo sfruttamento del lavoro giornalistico avviene ovunque, in molteplici
forme, e a volte è difficilissimo persino da individuare, oltre che da
contrastare. Dobbiamo ringraziare loro, la caparbietà con cui hanno raccolto
testimonianze e fatto proposte se oggi abbiamo la legge sull’equo compenso
giornalistico e la Carta di Firenze che punisce i direttori che
contribuiscono allo sfruttamento dei collaboratori.
I Coordinamenti sono
stati i primi ad alzare la voce contro lo sfruttamento dei colleghi,
denunciando i ritmi disumani, i pochi euro ad articolo (alcuni, come Il
Messaggero, addirittura, non danno neanche un euro per le notizie sotto le
800 battute), le telefonate a proprio carico, così come la mazzetta di
giornali ed agenzie pagate di tasca propria.
Non una scrivania in
redazione, anzi, in redazione ci vadano il meno possibile, ché se arriva
un’ispezione dell’ Inpgi sono guai seri per tutti. I Coordinamenti hanno
denunciato questa piaga sociale che ha ormai infettato l’intero sistema della
stampa italiana, e di cui non c’è alcuna percezione nell’opinione pubblica.
Il giornalista è, infatti, per molti, un professionista con uno stipendio
solitamente sopra la media e che appartiene alla cosiddetta “casta”:
esemplari le parole dell’ex Ministro del Lavoro Elsa Fornero, che parlò di
«privilegiati». Eppure non sono solo i soldi a mancare.
Chi fa questo lavoro
sa cosa voglia dire scrivere per più editori senza un contratto che preveda
delle tutele.
Sa cosa voglia dire
fare inchieste e reportage, scrivere la “notizia scomoda”, discutere affinché
venga pubblicata e aspettare, inerme, la reazione che essa certamente
provocherà. Dal 2006 ad oggi, racconta Ossigeno per l’Informazione,
l’Osservatorio sui giornalisti minacciati in Italia promosso da Odg e Fnsi,
sono stati 1329 i giornalisti che hanno subito minacce. Un numero esorbitante
per una categoria che conta oltre 110mila iscritti di cui meno della metà
“attivi”. Un numero che è cresciuto esponenzialmente di anno in anno,
passando dai 200 dal 2006 al 2008 ai 324 del 2012. E nei primi tre mesi del
2013, sono già stati 81 i cronisti che hanno subito minacce. La minaccia
usata come arma di dissuasione dal pubblicare una notizia scomoda: «Non
scriverla, potrebbe essere un problema», viene detto. Oggi c’è anche chi usa
la propria pagina facebook per mandare avvertimenti, come è successo a Monica
Raucci con il candidato di Mir per un servizio andato in onda su L’ultima
Parola il 15 febbraio scorso. Ormai l’intimidazione è entrata a far parte di
questo sistema malato, e il non avere alcun tipo di tutela di certo facilita
le cose a chi vuole nascondere la realtà.
Ma la condizione di
precarietà, con stipendi bassi e senza tutele, aguzza l’ingegno anche di
alcuni editori che non solo vogliono risparmiare sul lavoro del giornalista,
ma vogliono guadagnarci in modo diretto quando scatta la diffamazione. È
quello che è successo ad Amalia De Simone, giornalista precaria e freelance
ex collaboratrice de Il Mattino. Una vicenda che ha dell’incredibile, e che
sfocia, per De Simone, in una richiesta di risarcimento fatta dal suo
giornale di oltre 48mila euro, cioè il 70% della cifra imposta dal Tribunale
a Il Mattino spa per aver pubblicato una notizia falsa la cui rettifica, come
spiega De Simone, è stata inadeguata nei tempi e nei modi, nonostante le
pressioni stesse della cronista che oggi chiara: “questa vicenda rischia di
diventare una seria ipoteca sulla mia vita”. Impossibile darle torto.
C’è un problema di
libertà di informazione in Italia. C’è un problema di dignità professionale,
di tutele mancanti, di compensi adeguati. Qualcosa è stato fatto, certamente
molto altro deve essere fatto. Perché ad essere colpiti non è soltanto chi
questo lavoro lo fa e cerca di farlo nel migliore dei modi possibili, ma sono
soprattutto i cittadini: loro sono e rimarranno sempre il punto di
riferimento per una stampa libera che deve necessariamente passare attraverso
condizioni di lavoro dignitose. Sotto ricatto non esiste libertà per nessuno.
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