Giustizia: quei lugubri luoghi comuni
sull'ergastolo...
|
di Stefano Anastasia
(Antigone) e Luigi Manconi (A Buon Diritto)
L'Unità, 11 agosto
2013
Non è vero che il
carcere a vita non viene applicato. Lo dimostrano le storie di tanti dei
1.581 ergastolani in Italia. L'abolizione è un obiettivo di civiltà.
La principale
motivazione giuridica, morale e sociale a favore della permanenza
dell'ergastolo è, nel senso comune, che "tanto prima o poi escono
tutti". Un argomento di fatto. Peccato che non sia così e che quindi non
possa essere speso a difesa della pena senza tempo.
Al 31 dicembre dello
scorso anno i condannati all'ergastolo nelle carceri italiane erano 1.581,
circa quattro volte in più di quanti non fossero vent'anni fa. Ma la vulgata
vuole che l'ergastolo nei fatti non si sconti. Sorprende e, se è consentito,
addolora che a quel lugubre luogo comune regressivo si riferisca una persona
stimabile come il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, per il
quale "la carcerazione a vita non esiste più, o meglio non viene
applicata" (il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2013).
Si sa: c'è sempre la
liberazione condizionale, dietro l'angolo, a permettere dopo ventisei anni
l'uscita dal carcere degli ergastolani e, dopo ventidue, di coloro ai quali
venisse riconosciuto l'ordinario sconto di pena per buona condotta. Questo,
sulla carta e nei codici. La nostra personale esperienza ci dice che i dati
reali non sono mai stati corrispondenti ai calcoli che alimentano la diceria
di un ergastolo ineffettivo e inapplicato.
Durante la XIII
legislatura, in occasione della discussione del disegno di legge che aboliva
il carcere a vita (e che fu approvato dal Senato nel 1997), scoprimmo che non
erano pochi gli ergastolani che avevano superato il limite per l'accesso alla
liberazione condizionale senza poterne godere. Addirittura uno, Vito De Rosa,
si trovava sepolto in un ospedale psichiatrico giudiziario da 47 anni (e ci
sarebbe rimasto altri sei, prima di essere graziato per andare a morire in un
istituto di cura).
Dieci anni dopo, gli
ergastolani con più di ventisei anni di pena già scontata si erano
addirittura moltiplicati per otto: il 17 settembre 2007 erano 94, di cui solo
29 in regime di semilibertà, gli altri ordinariamente chiusi. 49 di questi
ergastolani erano in carcere da più di trent'anni, la pena temporanea massima
prevista dal nostro ordinamento.
Stanno o non stanno
scontando la pena dell'ergastolo, queste persone che - passato il termine per
l'accesso alla liberazione condizionale, o addirittura il termine di durata
massima delle pene detentive - sono ancora in carcere? O dobbiamo aspettare
che muoiano in galera per accertare che stiano scontando la pena a vita?
È o no un ergastolano
Calogero Diana, quarantuno anni di pena scontata, da diciannove in semilibertà,
che non riesce ad accedere alla liberazione condizionale e che tutte le sere
- dopo aver assistito malati e disabili di ogni genere nella cooperativa
sociale per cui lavora - torna a dormire in carcere?
Non è una discussione
oziosa, dunque, quella intorno all'abolizione dell'ergastolo: e ciò rende
ancora più importante il referendum in materia promosso da Radicali italiani.
Soprattutto quando quella discussione sia rimotivata - come è accaduto in
Italia - dall'emersione di una nuova figura, "l'ergastolano
ostativo" che, a causa dei suoi reati, alla liberazione condizionale non
può accedere a meno che non collabori con la giustizia o non dimostri di non
poter collaborare in qualche modo.
Si stima che circa due
terzi degli ergastolani attualmente detenuti nelle carceri italiane (più di
1.500, come si è detto) siano in questa condizione; una condizione sotto
osservazione anche da parte della Corte europea dei diritti umani, che
contesta la legittimità dell'ergastolo senza possibilità di revisione (e
dunque di liberazione del condannato).
Nel 1975 Aldo Moro
scriveva che "un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere
dato non soltanto per la pena capitale, che istantaneamente, puntualmente,
elimina dal consorzio sociale la figura del reo, ma anche nei confronti della
pena perpetua", che contraddice entrambi i principi costituzionali in
materia di pena: ossia il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità
e la sua finalità rieducativa. Se tutto ciò è vero, non basta cavarsela con
un giro di parole e inventarsi una realtà che non esiste.
Lo disse nel 1974 la
Corte costituzionale: l'ergastolo tanto è costituzionalmente legittimo in
quanto non si applichi effettivamente. Ecco, allora facciamo questo passo in
più e rendiamolo costituzionalmente legittimo vietandone l'applicazione in
ogni e qualsiasi caso.
|
Nessun commento:
Posta un commento