Storia di Roverto Cobertera
detenuto in sciopero della fame...
di Francesca De Carolis
C'è un uomo nel carcere
di Padova che lo scorso 4 luglio ha iniziato uno sciopero della fame e della
sete, per urlare, così, la sua innocenza... Ed è la sua storia la prima che
incontriamo lungo il viale, alberato di tigli, delle nostre prigioni… Si chiama Roverto Cobertera. Per la cronaca, dominicano, con doppia
cittadinanza, americana anche, condannato all’ergastolo per l’omicidio di un
uomo, Tarik Saad Heddine, del Marocco, che sarebbe
stato ucciso per un debito di droga da 30 euro. Insomma una storia di spaccio e
traffico di stupefacenti. La condanna all’ergastolo arriva in appello,
aggravando la condanna di primo grado, che era stata a 24 anni. Dell’omicidio
Roverto Corbertera si è sempre dichiarato innocente.
I suoi giorni senza cibo
e senza acqua sul suo diario, li racconta così:
“Oggi è il giorno 4 luglio, un gran
giorno per l’America, è il giorno dell’Indipendenza del mio paese che penso che
sia il miglior paese del mondo, dove i diritti dell’uomo vengono rispettati
senza distinzione di colore e di razza. Oggi è iniziato il mio sciopero della
fame e della sete per urlare la mia innocenza al di là del muro di cinta. Peso
82 Kg. Oggi ho fatto colloquio per la prima volta nell’ “Area verde” del
carcere ed è stata una giornata bellissima e piena d’amore.”
Al quindicesimo giorno dello sciopero
della fame e della sete, Roberto pesa 73,70 chili. Ha sentito al telefono la
moglie che, insieme alle persone in ansia per lui, gli ha chiesto che almeno
bevesse, almeno un poco, perché suo nonno, che ha 105 anni, a mezzagosto verrà
a trovarlo e non vogliono che lo veda troppo debole…. Così Roverto il 19 luglio
scrive: “vado avanti con lo sciopero
della fame, mi fermo solo un po’ per quello della sete per non farmi vedere da
mio nonno troppo debilitato…”
Ma “il diciassettesimo giorno Peso
73,40 Kg… mi sento debole e giù di morale. Cerco di farmi forza perché presto
vedrò il caro nonno…”
Giovedì scorso, Ornella Favero, la
direttrice di Ristretti Orizzonti, il giornale della Casa di reclusione di Padova,
non ha trovato Roverto in redazione. Non stava bene, non avrà avuto la forza di
scendere… Ieri, venerdì, al 37mo giorno di sciopero della fame, Roverto è
comparso. Magrissimo, debolissimo… “stanco, spiega a Ornella, delle solite
parole, che non sono servite a niente. Porterà avanti la sua protesta sulla sua
pelle, perché quella condanna, che continua a respingere, è cosa che riguarda
la sua vita…”
Della sua condizione a Padova, sono preoccupati in molti. Il magistrato
di sorveglianza che lo ha incontrato, ha dato una grande attenzione alla sua
storia. Una vicenda che lo ha molto colpito, sottolinea Ornella Favero, che
insieme ai suoi redattori ha scritto: “A Roverto possiamo
solo dire che gli siamo vicini, con tutto il nostro affetto, che è grande ed è
cresciuto proprio di fronte alla sua sofferenza e alla forza con cui vuole
dimostrare che è innocente, possiamo dirgli che vorremmo in tutte le maniere
fare qualcosa per lui, ma quello che non vogliamo è che debba rinunciare alla
vita per essere ascoltato. Si ironizza spesso che in galera si sentono tutti
innocenti, nella redazione di Ristretti Orizzonti non è così, le persone si
assumono le loro responsabilità, e lo fanno anche davanti a centinaia di
studenti che ogni anno entrano in carcere e ascoltano le loro testimonianze.
Dunque se una persona lì dentro dice di essere innocente, non è una fra tanti
che non hanno voglia di sentirsi responsabili, e se quella persona è
disponibile a mettere a rischio la sua vita per dimostrarlo, noi pensiamo che
quella persona sia particolarmente degna di attenzione”.
E ricorda i dubbi, davvero forti, che nascono da una sentenza di condanna
in appello che tanto aggrava la condanna di primo grado, basandosi sugli stessi
elementi…
Ma sembra che non ci sia altra alternativa, per provare a farsi
ascoltare, allo strazio inferto alla propria carne. A
parte i compagni e i familiari, a chi può importare di uno spacciatore di
droga, di colore per giunta…
Il 21 di luglio Roverto Corbetera sul
suo diario ha scritto: “Diciottesimo giorno dello sciopero della fame. Oggi non
mi ha visitato nessuno e mi sento abbandonato come un cane nero… “. Il giorno
seguente: “La guardia mi ha riferito che l’educatrice gli ha chiesto perché
stavo facendo lo sciopero della fame. E anche questa la dice lunga sul
menefreghismo dell’Area educativa”.
Immagino che oggi, nella sua cella, della sezione “comuni” del carcere di
Padova continui a scrivere pagine scarne del suo diario… ad appuntare i giorni
della fame…
Ancora una nota. Sciopero della fame… invito a provare per capire, anche
solo un giorno e qualche ora, un digiuno abbastanza lungo ( a qualcuno, a me,
ad esempio, sono bastate 36 ore) per capire… Dopo anche solo 36 ore è come se
il corpo, obbligato a negarsi per troppo tempo a ciò che viene dall’esterno,
crei una sorta di barriera difensiva fra sé e il cibo. I primi bocconi non
hanno sapore, come se le papille gustative si fossero disseccate per sempre.
Così nello stomaco il cibo, che pure si desidera suggere, rimane come cosa
estranea, ogni molecola del corpo sembra impenetrabile al mondo… ed è cosa che
fa paura… come un annuncio del fantasma di una pre-morte. Che non temi di non
riuscire più ad allontanare. Dopo solo 36 ore.
Oggi, 10 agosto, Roverto è al suo
38mo giorno, più di 900 ore, di chiusura al cibo, e chissà come lo troverà il
caro nonno quando verrà a trovarlo… quale banchetto di mezzagosto…
Roverto
Cobertera ha i capelli neri come il carbone e un sorriso di luce sempre
stampato sulle labbra, lo racconta Carmelo Musumeci, che nella redazione di
Ristretti orizzonti l’ha incontrato, Carmelo Musumeci, ergastolano laureato in
carcere in Giurisprudenza, ( Urla a bassa
voce, ricordate?) che si è
fortemente convinto della sua innocenza, “perché conosco molto bene la
differenza fra la verità vera e quella processuale” e sa che Roverto, che
preferisce morire da innocente che vivere da colpevole, ha deciso di dimostrare
la sua innocenza con la vita, perché è l’unica cosa che gli è rimasta …
Quello che chiedono i suoi compagni tutti, chi l’ha
in questi mesi conosciuto, è che “chi può si sbrighi a dare una risposta a
questa urla, prima che diventino davvero mute”. Insomma, “qualcuno
lo può aiutare? Qualcuno può prendere in mano le carte del suo processo e, se
si convince che ci sono elementi seri per provare che quella condanna è
ingiusta, prendersi a cuore il suo caso e dargli una mano?”
Non ho ancora
chiuso questa pagina che arriva un grido, di là dal mare. Dalla Sardegna,
storia di Collins Igbinoba ( nome che sa d’Africa profonda…) , che ha scontato la
sua pena e ora è stato spedito nel Cie di Bari. Salvatore Bandinu, che è
scrittore, ne ha narrato la storia, e insieme hanno partecipato a un progetto
di scrittura che ha portato alla pubblicazione di un libro “La cella di Gaudì”,
fra l’altro in gara per un importante concorso letterario. In carcere, scrive
Bandinu, Collins ha sempre tenuto un comportamento esemplare, come si dice,
lavorando e conseguendo la terza media. Collins ha anche girato la Sardegna
coinvolto in diverse presentazioni del libro con la sua storia. “E’ disperato e
mi chiama piangendo , scrive Bandinu, ora lo buttano come un rifiuto negandogli
la semplice possibilità di vedere almeno come va a finire il concorso
letterario al quale partecipa”… insomma rifiuti…dalle nostre prigioni quotidiane…
Nessun commento:
Posta un commento