Malati di ombra
Gli uomini
ombra (così si chiamano fra loro gli ergastolani ostativi ad ogni beneficio
penitenziario) condannati alla “Pena di Morte Viva”, (così è chiamata la pena
perpetua) sono malati psichicamente, cronici, e non potranno mai guarire.
Solo la morte
li può liberare dalla loro malattia, per questo
non c’è un uomo ombra che per guarire
non pensi di togliersi la vita
tutte le notti e tutti i giorni.
Chi non ha il
coraggio di suicidarsi sogna, però, di farlo. Io l’ho sognato anche questa
notte. E ora vi racconto il mio sogno.
Decido di aspettare la mezzanotte.
Non c’è fretta.
Presto andrò in mezzo al nulla.
Questa è l’ultima notte della mia vita.
E posso fare le cose con calma.
Senza furia.
Mi ricordo di Mirko quando lo tenevo seduto sopra le mie
spalle.
Mi ricordo di Barbara quando la tenevo con le mani e la
facevo girare nell’aria come una trottola.
Poi muovo il capo.
Sorrido a me stesso.
E faccio finta di non accorgermi che mi si bagnano gli
occhi.
Cerco di trattenere le lacrime.
E ci riesco.
E invece non ci riesce quel vigliacco del mio cuore che
inizia a piangere.
E piange per tutte e due.
Intanto la notte continua a scendere.
Il tempo sembra fermo.
I secondi sembrano ore.
E passano scanditi dai battiti del mio cuore.
Nel frattempo il buio s’infittisce sempre di più.
E un velo di tristezza mi cala negli occhi.
Col passare dei secondi sento crescere sempre di più il
desiderio di farla finita.
Forse non è l’unica scelta che ho, ma in questo momento non
riesco a vederne altre.
Poi annuso l’aria.
Odora di tristezza.
Mi viene in mente che questa è l’ultima aria della mia
vita.
Alzo gli occhi al cielo.
E lo abbraccio.
Mi accorgo che è sgombro di nuvole.
E le stelle sembrano coriandoli.
A un tratto la luna illumina le sbarre della mia finestra.
E subito dopo il mio viso.
Allungo le mani oltre le sbarre.
E provo un senso di libertà.
A questo punto pensò che sia una bella sera per morire.
Sembra che la morte mi chiami.
Forse però sono io che chiamo lei.
Traggo un respiro profondo.
Chiudo gli occhi per un tempo che mi pare lunghissimo.
Poi li riapro.
Mi guardo intorno per controllare se ho lasciato la cella
in ordine.
Mi passò una mano nei capelli.
E scrollo dalle mie spalle i rimproveri di Barbara, che
sicuramente mi farà.
Penso, però, che l’indomani non li sentirò.
Sarò tutto in un altro posto.
Sarò in un altro mondo.
Sarò nell’aldilà.
Probabilmente sarò all’inferno.
Poi mi allontano dalla finestra.
Afferro con le mani la mia tristezza.
Alzo il materasso.
Prendo la corda che ho tessuto con il lenzuolo.
E la lego alle sbarre.
Prendo lo sgabello.
Ci salgo sopra.
Controllo il nodo scorsoio.
È perfetto.
E me lo infilo in testa.
Sono pronto.
Non lo è però il mio cuore.
E mi metto a fissare un punto davanti a me nel cielo.
Nel frattempo il mio cuore inizia a parlarmi:
-Vigliacco…
È arrabbiato.
-Da
quando sei nato, hai sempre lottato per sopravvere…
E incomincia a rimproverarmi.
-Adesso
invece ti stai ammazzando da solo.
A sbattere da una parte all’altra.
-Figlio
di puttana.
Con disperazione.
-Perché mi vuoi fare
morire?
E ira.
-Che
ti ho fatto di male?
Probabilmente batte così forte perché sa che questi sono i
suoi ultimi colpi.
Sono in debito con il mio cuore.
-Mi
dispiace più per te che per me…
È una vita che mi sostiene.
-Ma
in carcere per essere libero devi sapere perdere…
Provo a consolarlo:
-Perché
contro l’Assassino dei Sogni non puoi mai vincere.
E a convincerlo che sia la scelta giusta.
-E soprattutto non
voglio passare gli ultimi anni della mia vita in una lurida cella.
Poi inizio ad accarezzarlo.
-Fra
la libertà che ti dà la morte e la non vita che ti offre l’Assassino dei Sogni…
A sussurrargli parole dolci.
-Scelgo
di morire.
E affettuose.
Per un attimo ho paura, ma nello stesso tempo non vedo
l’ora di levarmi il pensiero.
Ad un tratto penso che la sto facendo troppo lunga.
E temo che il mio cuore prenda il sopravvento.
Come spesso è accaduto in passato.
Quel figlio di puttana del mio cuore ne sa sempre una più
del diavolo.
E diverse volte mi
ha convinto a fare quello che vuole lui.
Mi conviene sbrigarmi.
Nella mia testa le cose sono chiare.
E semplici.
Senza se.
E senza ma.
Conviene morire subito che spegnersi senza speranza.
E senza futuro.
Un po’ tutti i giorni. E tutte le notti, come una morte presa a gocce.
È dentro il mio cuore che le cose sono complicate.
Per un attimo pensò di lasciare una lettera a mia figlia
con i miei ultimi pensieri, ma poi penso di lasciare correre.
Non ce n’è bisogno.
Lei sa sempre tutti i miei pensieri.
Poi respiro a fondo.
E mi colpisce un vortice di pensieri.
Sono ancora in tempo per ripensarci.
Posso ancora tirarmi indietro.
E scegliere di vivere.
Io però voglio morire.
Per farmi coraggio ripeto a me stesso che non voglio
invecchiare stanco e ammalato, murato vivo fra quattro mura.
Non voglio dare questa soddisfazione all’Assassino dei
Sogni.
Preferisco morire bene.
Di una morte piena di amore.
A testa alta, come ho sempre vissuto. Piuttosto che vivere
un’esistenza senza vita.
Rilasso i muscoli.
Trattengo il fiato.
Mi rivolgo al mio cuore:
-È
ora di andare.
Poi apro le braccia.
Lascio andare il mio cuore.
Do un calcio allo sgabello.
E riesco a pensare che ormai è troppo tardi per ripensarci.
Poi avverto un forte dolore.
Come se dentro di me qualcosa si strappasse.
I muscoli del collo mi si contraggono.
I polmoni iniziano ad annaspare aria.
Le gambe a tremare.
La vista mi si offusca.
E capisco che ormai sono più vicino alla morte che alla
vita.
Il mio cuore però non ne vuole sapere di smettere di
battere.
E di morire.
Per questo tenta di convincere i polmoni a continuare a
respirare.
E cerca di sopravvivere ancora qualche istante.
Poi si rassegna.
E inizia a perdere i colpi.
Prima uno.
Poi un altro ancora.
E un altro ancora.
Subito dopo cade in un vuoto nero.
Profondo.
Io non voglio lasciarlo.
E il mio cuore non vuole lasciare me.
Alla fine ci convinciamo tutte e due.
Io vado da una parte.
E il mio cuore dall’altra.
Poi mi sveglio e mi accorgo purtroppo di essere ancora
vivo.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova
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