Il
male peggiore per un detenuto? Il trasferimento
Il trasferimento da un carcere all'altro
sempre durissimo per i reclusi e le famiglie
La tragica storia di un anziano padre che vola da Torino a
Palermo e non riesce a vedere il figlio che era stato ancora una volta
trasferito e muore di dolore . I trasferimenti a molti di noi hanno fatto perdere
l'amore delle nostre famiglie dice il figlio in una lettera in redazione – Due lettere
da “Libro Cuore”
Caserta ((*) AGC – Agenzia Giornalistica
Casertana ) 2 settembre - C'è qualcosa
che si può fare, a costo zero, per rendere un po' più umana la vita in carcere
in tempi di disumano sovraffollamento? Sì, qualcosa c'è, e si chiama una
diversa gestione dei trasferimenti dei detenuti. Perché venire trasferiti
spesso è un momento drammatico della vita di chi sta in carcere, e lo è ancora
di più per le famiglie, come raccontano nelle loro testimonianze due detenuti,
che hanno vissuto sulla loro pelle la disumanità che spesso caratterizza il
trasferimento da un carcere all'altro, lo "sballamento" di merce
umana, come si chiama nel gergo della galera. Come avvengono i trasferimenti
dei detenuti? I detenuti quasi sempre vengono spostati senza nessun preavviso,
e soprattutto senza tenere in minima considerazione le devastanti conseguenze
che investono gli stessi reclusi, ma ancor di più i loro famigliari.
Ecco una lettera pervenutaci in redazione
da un detenuto “viaggiatore”( Giuliano V.) : “Sono entrato in carcere appena ho
compiuto 20 anni, oggi ne ho 38 e non sono mai uscito una sola ora in libertà.
Vengo arrestato in Calabria, ma dalla Calabria mi trasferiscono in Piemonte,
motivazione? Allontanamento territoriale... Le regioni che ho girato sono:
Calabria, Piemonte, Lombardia, Toscana, Sicilia, Campania ed oggi Veneto; le
città con i rispettivi carceri: Palmi, Torino, Alessandria (ce ne sono due di
carceri e sono stato in entrambi), Novara, Saluzzo, Sollicciano (FI), Volterra,
Palermo Ucciardone, Pagliarelli, Augusta Brucoli, Trapani, Favignana,
Poggioreale, Ariano Irpino, Avellino e poi qui in Veneto, Padova. Per quanto
riguarda il mio trattamento rieducativo... scusatemi se non ho mai avuto tempo
di iniziarlo... puntualmente mi ritrovavo dall'altra parte d'Italia. Mi
piacerebbe poi poter quantificare i danni psicologici causati
dall'impossibilità di coltivare i propri affetti. Ma il male peggiore lo
subiscono i familiari: quelle madri anziane che non si possono permettere di
viaggiare o per motivi di salute o per motivi economici; i figli che crescono
senza un padre ed ai quali viene spesso tolta, con un trasferimento, anche
l'ultima possibilità di abbracciare il genitore in quell'ora di colloquio che ogni
tanto si potrebbe fare”.
“Una volta esisteva un padre, mio
padre, che a 75 anni, due operazioni al cuore, residente in Piemonte, un giorno
decide che era trascorso troppo tempo senza poter vedere il figlio, allora
comincia a mettere da parte qualche spicciolo dalla sua già misera pensione per
poter un giorno prendere l'aereo e volare fino a Palermo. Eh sì... perché il
figlio è stato trasferito lì e non si sa il perché. Riesce a racimolare il
denaro necessario, ma al figlio non dice nulla, vuole fargli una sorpresa,
prende il volo diretto a Palermo, con i suoi occhiali spessi e con il suo
bastone d'appoggio affronta questo viaggio che per lui, come per qualsiasi
anziano, non è di certo una passeggiata. Giunge finalmente a Palermo, dove non
era mai stato, chiede a qualcuno come può fare per arrivare al carcere
dell'Ucciardone, e gli viene suggerito di prendere un pullman che lo porta al
centro, da lì avrebbe poi dovuto informarsi e lui così ha fatto. La stanchezza
e quel cuore che fa i capricci cominciano a dargli fastidio, ma lui è testardo
deve raggiungere il figlio, sono nove anni che non lo vede ed ha paura di
morire senza vederlo più. Finalmente arriva dinanzi a quel portone d'acciaio...
ad un tratto gli viene in mente che non può presentarsi a colloquio dal figlio
a mani vuote, allora decide di andare in un negozio lì vicino dove può
acquistare qualche etto di prosciutto e un pezzo di formaggio, con i soldi ce
la fa anche se in tasca non gli rimane nulla, ma lui ha già il biglietto di
ritorno. Suona al cancello blindato del carcere con in una mano una piccola
busta e nell'altra il suo bastone, gli apre una guardia alla quale lui consegna
i suoi documenti e dichiara di dover fare il colloquio col figlio, gli
rispondono che deve attendere, lì fuori nel caldo infernale”.
” Dopo circa un'ora e mezza si
ripresenta la stessa guardia e gli dice che il colloquio non lo può fare, il
padre chiede perché e aggiunge: "Guardi che io vengo dal Piemonte è un
viaggio lunghissimo!". "Suo figlio è stato trasferito!", gli
rispondono. Gli manca la forza per parlare e dopo qualche attimo di silenzio
riesce a chiedere con un filo di voce: "E dove l'avete mandato? se è qui
vicino posso andare a cercarlo...". Hanno davanti un vecchio stanco e
distrutto e gli dicono: "Non siamo tenuti a dare nessun tipo
d'informazione". E gli chiudono quella montagna di ferro in faccia. Con le
gambe tremolanti con un filo di fiato che gli alimentava i polmoni si allontana
senza sapere dove andare; a quel padre hanno chiuso in faccia non solo un portone
di ferro... ma anche l'ultima possibilità di vedere il figlio, eppure quel
padre ha lavorato per 40 anni, non ha commesso nessun reato, e mentre pensa a
queste cose la sua rabbia e la sua impotenza si cristallizzano dietro quelle
lenti spesse in qualche lacrima, che pesa così tanto che il vecchio si deve
fermare per nasconderla. Riesce ad arrivare a casa e a scrivere la sua ultima
lettera al figlio, dove spiega tutte queste cose... il figlio la riceve mentre
si trova nelle carceri della Campania, la legge in un solo fiato e trema mentre
stringe quel foglio così prezioso tra le mani ed ingoia lacrime come fossero
veleno amaro... se non fossi stato trasferito l'avrei visto. Quel padre non c'è
più. È morto dopo un giorno che è tornato a casa”.
Santo.N, ci scrive invece: “ I trasferimenti a molti di noi hanno fatto
perdere l'amore delle nostre famiglie. Negli incontri che facciamo con le
scuole i ragazzi ci hanno fatto spesso la domanda: Che cos'è per voi la
libertà? Nel mio pensiero da quando sto in carcere non mi sento né libero, né
vivo, in carcere è impossibile sentirsi anche solo un po' liberi, perché per
fare qualsiasi cosa c'è da chiedere il permesso a qualcuno e non è detto che ti
venga consentito. In galera ti tolgono la maggior parte dei diritti che potevi
avere fuori, anche solo la soddisfazione di mangiare con una forchetta vera e
un piatto di porcellana, perciò la libertà va a farsi benedire per svariati
motivi. Poi c'è il concetto di sentirsi vivo e anche là si cammina su un campo
minato, come si fa a sentirsi vivo se già ti tolgono la libertà? Per di più a
qualcuno viene in mente di portarti a cinquecento chilometri da dove hai sempre
vissuto e da dove abitano i tuoi familiari ed i tuoi figli, li senti per
telefono una volta a settimana, a volte due per dieci minuti alla volta, in
tutto hai sei telefonate di dieci minuti, cioè un'ora da dividere per tutto il
mese. Io poi, a causa di questo trasferimento lontano da casa, colloqui non ne
faccio, perché vuoi la distanza, vuoi che i miei genitori sono malati e non
possono guidare o prendere treni da soli, ci vorrebbe sempre una persona che
gli stia vicino nel caso capitasse un malore improvviso, e non è facile
trovarla perché Padova è troppo lontana. Così l'unica loro immagine che ho è
una gran dose di fotografie che porto sempre con me ovunque mi trasferiscano”.
“Il mio punto di vista sul concetto di
sentirmi vivo è quello di poter fare ciò che voglio sempre nel rispetto di
giustizia e legalità: e quello che vorrei allora è poter abbracciare e baciare
i miei figli ed i miei cari quando lo desidero e non con il contagocce solo
perché mi viene vietato un mio diritto proprio da quelle istituzioni, che poi
dicono di voler recuperare il detenuto e parlano di rieducazione. Ma rieducarti
a che cosa? a farti stare lontano dalla famiglia di provenienza? Quando lo
Stato si comporta così, usando i trasferimenti senza badare affatto ai nostri
affetti, a molti di noi fa perdere l'amore delle nostre famiglie, perché
quell'amore si trasforma in affetto e alla fine anche l'affetto si indebolisce.
Ed è inutile che poi qualche persona ti venga a dire che se la famiglia
veramente ti ama non potrà perdere mai l'amore. Stando lontani e non potendo
mai vedersi, il fatto che hai perso l'amore della famiglia ti viene dimostrato
da tante piccole cose che per loro sono quotidianamente banali ma per noi che
siamo rinchiusi valgono oro. Perciò non si può fare una colpa ai parenti se
questo amore che avevano nei tuoi confronti è cambiato, nemmeno loro si rendono
conto di questo, ma è pur vero che non vivendo con loro quotidianamente non fai
più parte del loro mondo, o lo fai solo minimamente. Questo è il motivo per cui
non mi posso sentire né libero, né vivo in carcere, ma se fossi un po' più
vicino ai miei cari, mi sentirei almeno un po' più vivo”.
(*) Fonte Ristretti Orizzonti
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