NEL
TEATRO GARIBALDI IL 25 OTTOBRE
CORRADO LEMBO PRESENTERA’ IL LIBRO DI PAOLO ALBANO SULLA STRAGE DI CAIAZZO Patrocinio del Comune di S. Maria C.V. Prefazione di Ferdinando Imposimato -Prologo del giudice Renato Perconte - Esaltato il lavoro degli storici Agnone e Capobianco – L’ultima “infamia”
del Procuratore Mariano Meffei
Santa
Maria Capua Vetere – ( di Ferdinando
Terlizzi ) “La strage di Caiazzo
merita una menzione particolare nella camera degli orrori della Germania nazista. Il tragico periodo vissuto
dall’Italia subito dopo l’armistizio vide scorrere tanto sangue innocente, che
fu troppo presto e ingiustamente dimenticato”. Nel leggere il libro di Paolo Albano molte cose mi sono rimaste impresse nella mente come per esempio il coinvolgimento personale (con un pathos che
non si registra per ogni processo ) da parte del pubblico ministero (“come ci confida egli
stesso- scrive Ferdinando
Imposimato nella prefazione -
l’inchiesta lasciò un segno indelebile nell’autore, Paolo Albano, coinvolto in una vicenda umana e investigativa assai
intensa, delle quale egli ricorda le figure eccezionali che ne sono state
protagoniste: da Stoneman a Habe, da Wiesenthal ad Agnone e Capobianco
Assai interessante mi è parso anche l’intervento del giudice sammaritano Renato Perconte Licatese, nel prologo “LA GIUSTIZIA E LA STORIA” il
quale con la pseudonimo di Opico Erimantèo, ha tra l’altro
scritto sulla vicenda di Caiazzo
nel suo “Capricci di Tema” che: ”La giustizia italiana ha colto un primato
difficilmente eguagliabile: ha emesso un verdetto di condanna all’ergastolo per
un fatto risalente a cinquantun anni fa. Ha disseppellito le memorie sommerse
dal tempo, s’è messa a frugare negli archivi, dove era rimasto custodito per decenni un atroce episodio
bellico, l’eccidio, perpetrato da mano tedesca, di ventidue civili, sulla linea
del fronte, a settentrione del Volturno, il 13 ottobre 1943. L’altra
novità - scrive ancora il giudice
Perconte Licatese - è che abbiamo
assistito, per la prima volta nell’aula di una Corte di Assise, a una perfetta
integrazione della storiografia col processo ( historia ancilla iudicii ): infatti il lavoro degli storici ha
spianato la strada a quello dei giudici, i quali se ne sono valsi per
verificare la loro ipotesi delittuosa. Non è mai accaduto che i giudici, pur
avvezzi a scavare nel passato, siano andati così a ritroso nel tempo, alla ricerca
d’una verità cui ambivano non per un semplice appagamento teorico ma per la più
pressante esigenza di accertare se e da chi un delitto fosse stato commesso”.
Un’altra cosa che mi profondamente
colpito è l’epigrafe incisa sulla
lapide, in memoria delle vittime della
strage di Caiazzo, dettata da Benedetto
Croce: “Presso Caiazzo Nel Luogo
detto San Giovanni e Paolo Alcune famiglie campagnole Rifugiate in una stessa
casa Furono il 13 ottobre MCMXLIII Fucilate e mitragliate Per ordine di un giovane
ufficiale prussiano Uomini donne infanti Ventidue umili creature Non d’altro
colpevoli Che di aver incoscienti Alla domanda dove si trovasse il nemico
Additato a lui senz’altro la via Verso la quale si erano volti i tedeschi
Improvvisa uscì dalle loro labbra La parola di verità Designando non l’umano
avversario Nelle umane guerre Ma l’atroce presente nemico Dell’umanità Un
americano Che vide con orrore e pietà le
salme degli uccisi Pose questa memoria”.
Mi hanno inoltre anche colpito sia la dedica iniziale: “Questo libro è dedicato a un
bambino mai nato, trucidato dai nazisti nel grembo della madre, la ventitreesima
vittima della strage di Caiazzo”; che il
conferimento da parte dell’Amministrazione di Caiazzo ( compreso poi il
gemellaggio con la città tedesca ) della
cittadinanza onoraria al procuratore Paolo Albano.
“Il libro di Paolo Albano, scritto in
collaborazione con Antimo Della Valle, è detto nella prefazione del Sen. Prof. Avv.
Ferdinando Imposimato ( Presidente Onorario aggiunto della Suprema Corte di
Cassazione ) descrive magistralmente, facendone rivivere l’intensa
drammaticità, il tragico periodo vissuto dalla popolazione italiana nella fase
successiva all’armistizio, nel quale si colloca la strage di Caiazzo. Resta da chiedersi a ragion veduta quale fu
il vero movente, salvo ritenere che a Monte Carmignano si uccise per il solo
gusto di uccidere. Il racconto, avvincente e appassionato, delle lunghe
indagini e del dibattimento davanti alla Corte d'Assise getterà finalmente luce
sui motivi che spinsero a tanta ferocia. Paolo Albano, coinvolto in una vicenda
umana e investigativa assai intensa, della quale egli ricorda le figure eccezionali
che ne sono state protagoniste: in particolare quelle degli storici Joseph
Agnone e Giuseppe Capobianco. Essi si rivelano
tutti memori dell’insegnamento di Aristotele, secondo cui “la giustizia è il pilastro dello Stato, e se cade quel pilastro, lo
Stato si disgrega”.
La
pubblica accusa nel processo, celebratosi innanzi la Corte di Assise di S. Maria C.V.,
nel 1994 - presieduta da Gianfranco Izzo, con Rosa
Maria Caturano, giudice a
latere – la cui condanna per gli imputati Wolfgang
Lehnigk Emden e Kurt Artur Schuster, fu della pena dell’ergastolo, fu sostenuta da Paolo Albano. Al banco della difesa per le parti civili
costituite: Pompeo Rendina, Angelo
Insero, Alfonso Martucci, Ciro Ferrucci e Giuseppe Stellato. Mentre per gli
imputati i difensori furono gli avvocati: Raffaele
Petrillo, Nicola Garofalo e Camillo
Irace.
Nel capitolo finale Epilogo: “l’Ultima Ingiustizia” Albano narra
dello sconcertante atteggiamento di un pubblico ministero che si rifiutò di
mettere in esecuzione la sentenza. Lui non ne fa il nome. Ma la vicenda è nota.
Si tratta dell’ex Procuratore della Repubblica Mariano Maffei passato alla storia per la sua intervista “farsa” denominata la tv “sputazzella” in occasione dell’arresto della moglie di Clemente Mastella. Dopo la mancata pubblicazione, quando il caso divenne di dominio pubblico, a
seguito delle lamentele delle parti civili, la stampa condannò severamente la
condotta di quel magistrato ( che ha gestito la procura “Ad usum Delphini“ ) in una
interpellanza parlamentare del 7 febbraio 2006 l’ex ministro della Giustizia. Oliviero Diliberto, nel richiedere una sanzione disciplinare, ebbe
a scrivere che “lo stesso magistrato, essendo sua intenzione evitare
all’erario l’onere delle spese per la
pubblicazione del dispositivo della sentenza di condanna sui giornali, ha gravemente vilipeso la memoria
dei ventidue martiri italiani, riconoscendo al sacrificio di uomini, donne e
bambini innocenti un valore di gran lunga inferiore a una modesta somma di
denaro”.
E Albano chiosa sulla vicenda:
“Parafrasando ciò che disse Hans Habe di Emden, potremmo dire che “quel procuratore si è così guadagnato il
merito di entrare nella lista di coloro che hanno disonorato la toga che
indossavano”.




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