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lunedì 8 dicembre 2014

VENERDI’ INNANZI LA II° SEZIONE DELLA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
L’ex assessore al comune di Casagiove   è accusato di concorso esterno con il clan dei Casalesi
GIUDIZIO DI SECONDO GRADO  PER L’AVV. GERRY CASELLA CONDANNATO IN PRIMA ISTANZA A 15 ANNI DI RECLUSIONE -

LA VICENDA TRAE ORIGINE DALLE  PERIZIE SULLA  PRESUNTA CECITÀ  DI  GIUSEPPE SETOLA. SECONDO IL PUBBLICO MINISTERO ALESSANDRO MILITA  L’AVV. DEL BOSS SAREBBE STATO RITENUTO   IL RESPONSABILE MORALE  DEI 18 OMICIDI DI SETOLA – SI SPERA NELLA CLEMENZA DEL COLLEGIO –  


di Ferdinando Terlizzi

     Caserta –  Comparirà venerdì prossimo, innanzi la II° Sezione della Corte di Appello di Napoli,  l’avv. Gerry Casella – già condannato in primo grado ad anni 15 di reclusione –( accolta in toto la richiesta del pubblico ministero che era partito da una pena edittale – col rito abbreviato – di 22 anni ), per il giudizio di appello che lo vede accusato di  concorso esterno in associazione mafiosa e per aver favorito al fuga del boss Giuseppe Setola, recentemente condannato a vari ergastoli ( l’ultimo dei quali è stato quello inflittogli dalla prima Corte di Assise di S. Maria C.V., presieduta da Maria Alaia,  per l’omicidio  di Domenico Noviello). Nel corso dell’arringa del giudizio abbreviato – come si ricorderà -  l’avv. Vittorio Giaquinto,  primo difensore di Casella, in unione   all’avv. Alessandro Barbieri,  aveva prospettato una condanna mite per il suo assistito – in considerazione del fatto che era stato minacciato da Setola – chiedendo la derubricazione del reato a favoreggiamento. Parole al vento.
     “Una via di mezzo tra l’avvocato di grido e il politico in carriera”. Questo è il quadro che fino a qualche anno fa la stampa faceva di Girolamo Casella, detto Gerry. L’ex assessore al Comune di Casagiove, però, ha tramutato quella sua notorietà di personaggio pubblico in strumento per favorire il clan dei Casalesi.
    Come si ricorderà il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, Francesca Ferri, su richiesta dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia Giovanni Conzo, Cesare Sirignano e Alessandro Milita, lo condannò  a quindici anni di carcere con rito abbreviato.   Il legale avrebbe fatto da messaggero al capo dell’ala stragista del clan dei Casalesi e avrebbe avuto un ruolo nella redazione della falsa perizia medica in base alla quale il boss venne scarcerato perché ritenuto cieco. Il medico che firmò la perizia, Aldo Fronterré, é a sua volta a giudizio, ma nel processo con rito ordinario innanzi alla prima Sezione del  Tribunale di Santa  Maria Capua Vetere la cui sentenza è prevista a giorni.  

      L’inchiesta che ha portato alla condanna del penalista è nata qualche anno fa, quando la D.d.A. si mise sulle tracce dei fiancheggiatori che avevano prima favorito la fuga e poi la latitanza del boss Setola. Quest’ultimo, infatti, aveva simulato una gravissima malattia agli occhi così da ottenerne il trasferimento dal carcere agli arresti domiciliari, da cui il capoclan è evaso successivamente, il 7 aprile 2008 per mettersi a capo di uno spietato gruppo di killer che in dieci mesi ha ucciso 18 persone.
      Del ruolo di Casella ha parlato nel 2008 il collaboratore di giustizia Emilio di Caterino: “Un terzo incontro l’ho avuto con Setola verso la fine di luglio.   Nel corso di questo incontro si presentò l’avvocato Gerry Casella, che avevo già incontrato a casa di Alessandro Cirillo. È un avvocato che difende gli affiliati del clan Bidognetti. Peppe voleva essere spiegato il processo a carico di sua moglie. Fu lo stesso Peppe Setola ad avere l’idea di mandare una sua foto con una benda e un bastone, in modo da rappresentarlo come semicieco. L’avvocato disse di sì e consigliò di mandarla ai giornali. A un certo punto l’avvocato chiese a Setola di farci allontanare per parlare di una cosa delicata. Setola disse che avrebbe potuto parlare tranquillamente perché eravamo amici. L’avvocato disse che aveva saputo che la Dia aveva ordine di sparargli a vista. Setola scattò, e rivolgendosi a me disse: “Miliù, se è così allora noi dobbiamo uccidere un paio di poliziotti”. Io gli risposi che queste cose non ero disposto a farle”.
     In manette finirono anche  l’oculista Aldo Fronterré, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, e l’avvocato Girolamo Casella a cui l’Antimafia contestarono direttamente l’appartenenza al gruppo criminale. Il legale, dicono le indagini, avrebbe fornito un “consapevole e stabile apporto all’organizzazione” trasformandosi di volta in volta in messaggero e postino del boss latitante e i suoi uomini di fiducia rimasti ancora in libertà.  
    Nello stesso processo di primo grado furono condannati – quali fiancheggiatori ed ideatori del  piano di fuga – anche Alfiero e Brusciano ( richiesta del pubblico ministero  di condanna per  il primo a  10  anni e per  il secondo ad anni 8 di reclusione ). La pena inflitta fu invece  di anni  5 anni  per  Massimo Alfiero, difeso dall’avv. Angelo Raucci   e 2 anni   per  Gabriele Brusciano ( con la continuazione della condanna già in atto per 416 bis) difeso dall’avv. Giuseppe Stellato. Alla lettura della sentenza Gerry Casella si accasciò  sullo scranno della gabbia e scoppiò  a piangere. 
  




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