UCCISE LA MOGLIE CHE LO TRADIVA
Il fatto accadde in agro di Grazzanise il 17 agosto del 1952
Il fatto accadde in agro di Grazzanise il 17 agosto del 1952
Il contadino Stefano Iannotta esplose 5 colpi di
pistola all’indirizzo della moglie Vincenza
Lanna lasciandola in mezzo alla campagna. L’uxoricida si riteneva tradito
ma non fu ritenuto un delitto d’onore. Negava di aver ucciso perché
venuto a conoscenza della sua relazione con
Raffaele Gravante, un giovane 19enne alto e biondo che lavorava con la
donna.
Il luogo del delitto |
Grazzanise - La
sera del 16 giugno del 1952, Stefano Iannotta nel fare ritorno alla
propria abitazione, sita in Brezza di Grazzanise, transitando per la bottega di tale
Giovanna Parente la quale meravigliatasi che egli acquistasse
della sugna per la famiglia, finiva col riferirgli che la moglie, Vincenza Lanna, da lei incontrata quel giorno stesso nel potere
numero 187, le aveva confidato di essersi separata da lui a causa dei continui
maltrattamenti cui egli la sottoponeva ormai senza motivo in quanto, ella anche se per il passato aveva mancato ai suoi doveri di
fedeltà coniugale, conduceva attualmente
vita onestissima. Il Iannotta rimasto non poco sorpreso dalla notizia ricevuta,
in quanto il mattino aveva, come al solito, lasciato la moglie ancora a letto
con i figlioli, chiedeva alla Parente conferma delle assicurazioni fatte dalla
moglie circa la propria fedeltà e poi proseguiva verso Brezza. Giunto colà e
non avendo trovato in casa la moglie si era recato più volte nell’abitazione
dei coniugi Frappa, una prima volta per domandare loro si sapessero dove si
trovava sua moglie, le altre per informarli che egli era venuto a conoscenza
dove costei si tratteneva e per pregarli di non avvertirla perché l’indomani “ci avrebbe pensato lui a farle la barba”. Rimanendo, peraltro, sordo alle esortazioni
di non compromettersi rivoltogli dai predetti coniugi che anzi aveva invitato a
pensare ai fatti loro “dovendosi egli
regolare a pensiero suo”.
L’indomani, alle prime ore del
mattino, in bicicletta si porta al potere numero 187 nella casa colonica di
Girolamo Papa dove rinveniva la moglie che ancora dormiva, avendo il giorno
precedente prestata la sua opera come bracciante ai lavori di trebbiatura.
Svegliato la moglie egli poco dopo insieme con costei si allontanava dal potere.
Qualche minuto più tardi però l’attenzione dei braccianti intenti alla
trebbiatura veniva improvvisamente attratta dalla esplosione di alcuni colpi di
pistola subito seguiti dalle grida della donna la quale, disperatamente, le
braccia levate in alto, ritornava di corsa verso il potere del Papa inseguita
dal marito che ogni tanto le sparava addosso e cercava di colpirla,
assestandole anche qualche colpo alla testa col calcio o la canna della
pistola. La donna riusciva per il momento a distanziarsi di qualche metro dal
marito ma questi presto la raggiungeva e dopo averle dato uno spintone che la
faceva precipitare nel fossato al lato della strada le sparava contro l’ultimo
colpo di pistola quindi montato sulla bicicletta si allontanava verso Brezza.
I carabinieri di Grazzanise, accorsi
subito dopo sul posto trovarono la donna già cadavere giacente bocconi nel
fondo sottostante la strada che presentava un forame di un proiettile a margini
introflessi ed anneriti al quarto spazio intercostale sinistro; sulla ascellare
anteriore altro forame a margine su riflessi sfrangiati; al terzo spazio intercostale destro una
bruciatura e al terzo superiore del
braccio sinistro; ed infine una piccola
ferita lacero contusa alla sommità del capo. L’uxoricida si costituì ai
carabinieri due giorni dopo ammettendo l’illecita detenzione dell’arma e
dichiarava di aver esploso i colpi di pistola contro la moglie perché costei
nel lasciare insieme con lui il potere numero 187 l’aveva reiteratamente offeso
dicendo di provare per lui schifo e vergogna che mai più si sarebbe coricato
con lui esclamando perfino che aveva il mantenuto con quale sarebbe scappata dopo
averlo fatto ammazzare da costui.
Lo schizzo del luogo del delitto |
Assumeva il Iannotta che prima
di tale confessione egli non aveva mai sospettato della infedeltà della moglie
e negava di aver scacciato di casa costei perché venuto a conoscenza della sua
relazione con tale Raffaele Gravante
sia di averla maltrattata e sia, infine, di avere non esternato la sera prima
del delitto ai coniugi Frappa il proposito di uccidere la moglie. Nel corso del
procedimento iniziatosi a suo carico Iannotta confermava l’interrogatorio reso
i carabinieri insisteva (anche in confronto con diversi testimoni) di aver
sparato solo due colpi di pistola e di non aver affatto spinta la moglie nel
fossato.
Deduceva inoltre che solo la sera del
16 aveva avuto la certezza della tresca
della moglie, anche perché la sera una sua figlioletta gli aveva
accennato a delle visite fatte in sua assenza alla moglie “da un giovane alto e
biondo”; che tale certezza era divenuto
più completa la mattina del giorno 17 allorquando al potere 187 aveva sentito
mormorare due giovani ai quali aveva domandato della moglie aveva sentito
dire che costei si era accompagnato ad
un giovane biondo (appunto come il Gravante). In esito all’istruttoria nel
corso della quale si assodava che la Lanna era deceduta per cospicue e di
infrenabile emorragia interna ed esterna dovuta alla lesione del cuore e di
entrambi i polmoni e cagionata da un proiettile di arma da fuoco a canna corta
esploso da breve distanza, il giudice istruttore su conforme requisitoria del
pubblico ministero ordinava il rinvio a giudizio per rispondere di uxoricidio.
Aggiungi didascalia |
Secondo gli inquirenti la
colpevolezza dello Iannotta in ordine all’omicidio era incontestabile. “Risulta invero - scrissero nel rinvio a giudizio - dalla confessione di costui e dalle concordi
precise dichiarazioni di numerosi testimoni che l’imputato portatosi alle prime
ore del 17 giugno nella casa colonica di Girolamo
Papa e rinvenuto la moglie che ancora
dormiva, insieme con altre donne che con
lei avevano preso parte ai lavori della trebbiatura il giorno precedente, tranquillamente, la invitò a seguirlo a casa della di lui
madre. La Lanna, dopo qualche protesto, originato dalla dedotta non eccessiva
bontà dei suoi rapporti con la suocera, finì col seguire il marito senza
ulteriori discussioni. Il tutto confermato dalla testimone Giuseppina Parente presente all’incontro. Senonché, pochi minuti
dopo, le numerose persone che erano intente al lavoro nel potere e che avevano
notati i due allontanarsi dal fondo, l’uno dietro l’altro (e secondo qualche
testimone il Iannotta con la ruota anteriore della bicicletta incitava la
moglie che lo precedeva a camminare) ,
all’improvviso sentirono echeggiare un colpo di arma da fuoco e poi un secondo e notarono l’uomo, con la pistola in pugno, che inseguiva la moglie la quale, invocando
soccorso e correndo a zig-zag con le
braccia alzate, invocando aiuto, cercava
di guadagnare il potere 187 e la casa colonica. Senonché l’uxoricida esplose
ancora un altro colpo e raggiunta la moglie la colpì al capo con la canna e il
calcio dell’arma. Lesioni al capo che
risultano dall’autopsia. I testimoni oculari del delitto confermano poi che la spinse nel fossato che costeggia la strada
esplodendole contro un ultimo colpo dell’arma peraltro indebitamente detenuta”.
“Le dichiarazioni di
testimoni - chiarironoo gli inquirenti -
Trabucco, Montanari, Papa, Martino,
Tamelleo, Mastrominico e la Giuseppina Parente
non lasciano al riguardo adito ad alcun dubbio e fanno giustizia delle
dichiarazioni dell’imputato, sia in ordine al numero dei colpi da lui esplosi
(e che furono perlomeno quattro e non già due soltanto) sia in ordine
all’ostinazione con cui egli fece precipitare nel fossato la donna già
evidentemente ferita prima dello sparo dell’ultimo colpo sia in ordine, infine,
allo atteggiamento osservato dallo Iannotta dopo il delitto allorquando
rimontando in bicicletta ed esclamando “Così
è finita” si allontanò, dopo aver accennato (secondo alcuni testimoni)
anche ad un gesto di saluto verso quanti allibiti ed impotenti a prestare
soccorso alla donna avevano assistito alla fulminea e tragica scena. Ne dubbio
può sussistere sulla deliberata intenzione di uccidere che animò l’imputato e
che si rivela non solo dalla insistente reiterazione dei colpi, esplosi nel
rapido e deciso inseguimento della vittima volto a non darle scampo, ma anche
dalla direzione dei colpi e dalla breve distanza da cui essi vennero esplosi”.
Il cadavere della vittima |
“La intenzione di uccidere si
rileva anche - come proposito di assorto nella mente dell’imputato - dalle stesse parole da lui pronunciate la
sera innanzi discutendo dell’abbandono da parte della moglie con i coniugi Rosalto Frappa e Margherita Papa allorquando,
appreso finalmente dove la moglie erasi recata, egli che già ai predetti
coniugi aveva manifestato i suoi propositi di violenza assumendo di essere sua
intenzione di “far la barba alla moglie”,
rimanendo quindi sordo alle loro esortazioni di non compromettersi ebbe cura di ritornare da loro onde diffidarli
dallo avvertire dei suoi propositi la moglie.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
La condanna fu a 7 anni
con la concessione delle attenuanti del valore morale e sociale anche se non fu
riconosciuto totalmente il delitto d’onore. Altre 3 anni gli furono cancellati per amnistia
L'Avv. Giuseppe Garofalo |
Stefano Iannotta, nativo di Casapulla ma residente a
Grazzanise, accusato di aver ucciso la moglie, Vincenza Lanna, venne rinviato al giudizio della Corte di Assise di
Santa Maria Capua Vetere (Presidente, Giovanni
Morfino; Victor Ugo De Donato,
giudice a latere; giudici popolari: Giuseppe
Morelli, Francesco Paolo Orabona, Amedeo Reale, Raffaele Magliulo, Francesco
Izzo e Giuseppe Santarpia; pubblico ministero, Nicola Damiani) e la sua difesa subito adombrò il delitto d’onore.
La Corte in proposito sottolineò: “Assodato che il Iannotta fu l’autore
dell’uccisione della moglie e che la morte di costei egli coscientemente volle,
sia pure non in esecuzione di un disegno definitivamente preordinato durante la
notte, in quanto la circostanza dell’essersi recato armato sul potere 187 non
può da sola tale disegno dimostrare, specie se si consideri che egli invitò la moglie a seguirlo ed a ritornare in
seno alla famiglia e che solo un battibecco sorto tra i due coniugi fu la
scintilla che determinò all’azione dell’imputato, conviene esaminare se ricorre
nella fattispecie la ipotesi dell’omicidio a causa di onore che è stata ancora
una volta prospettato dalla difesa”.
Al
riguardo la Corte ritenne “Malgrado il diniego del giovane, dovuto ad ovvie
ragioni, che la sventurata donna effettivamente era venuta meno ai suoi doveri
di fedeltà attratta da forte passione per il giovane biondo. Ciò si dedusse
chiaramente, sia dalle confidenze e lamentele che la donna stessa fece alla sua
amica Giovanna Parente, sia pure con
l’assicurazione che ogni cosa fosse ormai finita; sia dal sintomatico atteggiamento
di solidarietà verso l’imputato degli stessi genitori della donna la cui madre
ha affermato di aver appreso della tresca di costei col Gravante dalle proprie
cognate. Senonché altrettanto innegabile è che, a conoscenza di tale tresca (che
peraltro fosse finita) e da parecchio tempo era lo stesso Stefano Iannotta, sia perché egli aveva avuto in proposito delle confidenze perfino dalla propria madre, sia perché egli
appunto a causa della di lei illecita relazione aveva spesso picchiato a volte
ed anzi due volte l’aveva finanche scacciato di casa.
Di
notevole interesse ritennero i giudici la deposizione del maresciallo dei
carabinieri Gennaro Doriano che difatti ha ricordato che il Iannotta essendo
stato più volte e su denuncia della moglie diffidato da lui a non maltrattare
costei si era sempre giustificato assumendo che la moglie lo tradiva e non
stava mai in casa disinteressandosi dei figli. Di fronte alla univocità di
prove così significative l’assunto della difesa dell’imputato di avere
acquisito solo la sera precedente per le confidenze fattegli dalla propria
bambina e poi il giorno del delitto per bocca della stessa moglie la certezza
circa la illegittima relazione di lei con il giovane risulta destituita da ogni fondamento anche perché
quelle confidenze che gli avrebbe fatto la sera del 16 la sua figliola Maria
non vi furono affatto, in quanto tutti i suoi bambini furono quella notte
dato l’allontanamento della mamma ospiti di parenti e vicini.
La
Corte perciò fu dell’avviso di concedere l’attenuante della
provocazione allo Iannotta cui non
possono negarsi neppure né le attenuanti generiche della diminuente di cui
all'articolo 62 né può infatti disconoscersi all’imputato, di buona condotta,
lavoratore e buon padre di famiglia, che fu tratto al delitto da motivi di
particolare valore morale e sociale per la difesa cioè dell’onore suo e della famiglia per salvare la esistenza stessa
di questa che andava incontro per la tenera età dei figli da sicura disgregazione a seguito ed a causa
dell’abbandono del domicilio domestico da parte della donna. Pertanto il
Iannotta va dichiarato colpevole col beneficio delle tre attenuanti dello uxoricidio
contestategli nonché del porto abusivo di pistola. Quanto alla pena questo può per l’uxoricidio
essere fissata in anni 24 di reclusione; in considerazione che si trattò di un
delitto d’impeto e dei precedenti buoni dell’imputato. Tale pena va ridotta, con
la provocazione ad anni 16 e questa pena risulta ridotta, per la diminuente di
cui al numero uno dell’articolo 62, ad anni 11 è quest’ultima per le attenuanti
generiche ad anni sette. Ancora una riduzione di tre anni per l’applicazione
dell’amnistia. La sentenza appellata venne confermata (1955) anche in sede di
Cassazione (1956). Nei giudizi furono impegnati gli avvocati: Giuseppe Garofalo e Emilio Lauro.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
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