Il movente ufficiale del fratricidio era il contrasto sorto per l’uso in comune di una
camicia. Ma una relazione amorosa
forse non condivisa alla base del truce
assassinio.
Il delitto avvenne la sera
del 23 settembre del 1953 a Trentola
Trentola - La sera del 23 settembre del 1953 i
carabinieri della stazione di Trentola venivano avvertiti della uccisione di
tale Riccardo Coviello di anni 30,
nella casa paterna, ove poco prima il giovane, proveniente da Cesa, aveva fatto ritorno. I
carabinieri portatisi nella casa del Coviello rinvenivano il giovane, accasciato
presso il letto, rivestito dei suoi abiti come se l’aggressione patita l’avesse
sorpreso non appena penetrato nella camera. Nell’ambiente non vi era alcuna traccia di colluttazione,
per l’ordinata disposizione di ogni cosa. Soltanto ai piedi del letto non
ancora disfatto, un lungo coltello da campagna era in terra, ma non recava
tracce di sangue. Il Coviello era stata attinto da una scarica di fucile da
caccia alla regione laterale destra del collo. Piccole macchiette sul muro
indicavano che qualche pallettone aveva
solo sfiorato il bersaglio. Dalle notizie raccolte sul posto, risultava che
quella sera il Riccardo, unitamente al
fratello Michele erano tornati da
Cesa in motocicletta per pernottare in Trentola nella casa occupata
abitualmente soltanto dal fratello Mario,
studente in ragioneria, vivendo tutti gli altri componenti della famiglia
Coviello sempre in campagna per la necessità della piccola loro azienda
agricola. Mentre il Michele si era
diretto presso un suo amico per interpellarlo circa la possibilità di reclutare
operai che quel giorno successivo, il Riccardo era salito nell’abitazione sita
al primo piano di un edificio occupato anche da altre famiglie. Pochi istanti
dopo il suo ingresso in una delle camere delle quali si compone la casa dei
Coviello i casigliani - che ancora si
tratterebbe nel cortile - avevano udito una cupa detonazione. Richiamato il Michele che si è allontanato a
poche decine di metri, questi accompagnato da altro giovane, salì per
accertarsi di quello che era accaduto, dopo aver domandato se fosse stato visto
suo fratello Mario.
Esperite diligenti ricerche nelle adiacenze della casa, solo
il giorno successivo attraverso una botola che s’apre nella camera ove fu consumato il delitto, i carabinieri discesero in una grotta sottostante nella quale, celato
dietro delle botti era il Mario Coviello
ancora armato del fucile con il quale aveva perpetrato l’omicidio. Sottoposto
ad interrogatorio, il giovane confessava di aver sparato contro il fratello
perché questi entrato nella camera nella quale dormono i genitori quando
pernottano in Trentola – occupata quella sera da esso Mario - aveva preso ad inveire contro di lui minacciandolo
di rompergli la testa. Riferiva l’omicida che da tempo i rapporti col fratello
non erano dei migliori perché il Riccardo non vedeva di buon occhio che Mario preferisse lo studio al
lavoro dei campi guadagnandosi maggiore considerazione da parte dei genitori.
Gli
rinfacciava ancora di controllare la sua condotta, il che l’altro non tollerava.
Riccardo infatti era ammalato, avendo contratto una infezione luetica (la
sifilide che era un contagio per rapporti sessuali con prostitute senza la
protezione) che assorbiva molto denaro
che quegli si procurava imbrogliando i genitori. Da ultimo aveva molto brigato
perché alcuni parenti restituissero il terreno che si erano aggiudicato in sede
di espropriazione ai danni del padre gravato per debiti d’imposta. Tale gesto aveva attirato sulla famiglia la disistima di
quelli, involgendo la responsabilità dello stesso Mario del tutto estraneo alla
faccenda. Dalle ulteriori indagini dei carabinieri risultava che due giorni
prima dell’omicidio tra i fratelli Michele
e Pasquale Coviello era sorto un incidente determinato dall’uso in
comune di una camicia e dal contrasto per turni d’uso. Era intervenuto anche il
Mario che col fratello Pasquale avrebbe
riportato la peggio. Il Pasquale dovette ricorrere alle cure di un medico
avendo riportato uno squarcio al cuoio
capelluto. Il Michele da allora era stato in allarme temendo rappresaglie in
suo danno tanto vero che interrogato dai carabinieri, espresse l’avviso che
quel colpo di fucile era forse riservato a lui. Sulla scorta di questi elementi
e sul rilievo che il Mario quella sera contrariamente al solito, si era
allocato nella camera dei genitori in luogo di restare all’altra camera a lui
riservata il pubblico ministero procedente nella sommaria istruttoria
contestava all’omicida la aggravante della premeditazione.
Tratto in arresto ed interrogato Mario Coviello si giustificò assumendo
di avere scambiato il fratello per un ladro e di avere sparato al buio contro
di lui per la precipitazione convulsa di una determinazione presa nello stato
di dormiveglia. Che era ritornato da
tempo a casa e che si era da poco svestito e sdraiato sul letto matrimoniale ed
era in mutande e camicia. “Mentre dormivo
– chiarì nel suo interrogatorio - sentii un rumore alla porta che si trova
verso il fianco del letto. La porta l’avevo chiusa dal di dentro perché non aspettavo
nessuno. Faccio presente che l’altra porta di comunicazione con l’altra stanza
era stata chiusa da tempo da me con l’apposito ferro. A tale rumore scesi dal
letto e presi il fucile che si trovava appoggiato al muro e mi avviai verso la
botola per nascondermi. In quel momento si spalancò improvvisamente la porta,
nello scendere la scala della botola, il fucile, se ben ricordo, urtò contro
qualcosa ed esplose un colpo”.
Nella stanza non vi è mai esistita una cartucciera non vi erano
cartucce. In buona sostanza io posai il fucile senza nemmeno accertarmi se
fossi carico o meno io dormivo nella mia camera soltanto quando in paese si
trattenevano i miei familiari in caso contrario dormiva nel letto matrimoniale.
Nulla posso dirvi in merito alla basco e alla sciarpa rinvenuti sulla spalliera
del letto e non avevo neppure notato quel coltello. Insisto nel dire con mio fratello Riccardo ed anche con gli altri
fratelli non vi erano mai state questioni non essendovi nessun dissidio tra
noi. Nulla conosco in merito
all’incidente del 21 settembre e non so
neppure se Pasquale dovette ricorrere alle cure del medico. Io non mi sono mai
occupato della questione del terreno perché non mi interesso delle cose di
famiglia.
Poi fu interrogato il fratello Pasquale il quale si difese dicendo: “
Nego ogni addebito in quanto io ebbi una discussione soltanto con mio fratello
Michele ma non per affari non mi ricordo ciò che successe. In quanto alle
ferite in testa da me riportate faccio presente che io me l’ero cagionate
cadendo qualche ore prima dalla motocicletta. Se andai dal Dottore Michele
Griffo fu perché un inquilino mi fece notare che dopo la discussione con mio
fratello veniva dalla mia testa qualche goccia di sangue. Difatti io raccontai
al sanitario che la piccola ferita alla testa l’aveva riportata cadendo dalla
motocicletta”.
Poi fu sottoposto ad interrogatorio l’altro fratello Michele Coviello, il quale rispose negando recisamente
l’addebito e precisò confermando che le
lesioni al capo riportate dal fratello
furono causate dalla caduta della moto.
Negò di conoscere circostanze sulla morte del fratello Riccardo. “Posso
soltanto attestare – precisò - che tra
Mario e Riccardo vi erano rapporti normali. Nulla conosco in merito al
terreno perché mi occupo solo dell’esecuzione dei lavori ordinati dai miei genitori; mi risulta inoltre che mio fratello Riccardo si era fidanzato ma
nulla era stato deciso circa il suo matrimonio. Io portai lai motocicletta a
Riccardo perché volevamo trattenerci in
paese dove c’era il concertino. Il Riccardo scese dalla moto dopo aver parlato
con degli inquilini io mi ero
allontanato dopo circa una mezz’ora fui chiamato perché gli inquilini avevano
sentito uno sparo.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
La condanna
per il fratricida fu di anni 22 ridotta a 18 in appello.
Il P.M aveva chiesto 24 anni.
Accusato di omicidio volontario Mario
Coviello comparve innanzi la Corte
d’Assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente, Giovanni Morfino; giudice a latere,Victor Ugo De Donato; pubblico ministero, Nicola Damiani; giudici popolari: Giovanni Ferraiuolo,
Salvatore Belmonte, Silvestro Marino,
Costantino Piazza, Mario Centore e Vittorio Russo).
Esaurita l’assunzione delle prove
con l’imputato che insistete: “Io
non riconobbi affatto mio fratello data
l’oscurità in cui era immersa la stanza, d’altra parte lo sparo fu accidentale.
La stanza era immersa nell’oscurità perché era stata staccata la luce. La
lampada nella stanza si accendeva con un interruttore appena, attaccato con
filo della spalliera del letto. Insisto nel dire che così proprio si
verificarono i fatti. Quando io fui interrogato dai carabinieri e dal Pretore
non capivo quello che dicevo, perché ero in preda a grande dolore per la
notizia della morte di mio fratello che io avevo involontariamente cagionato”. Una circostanza inedita venne
fuori nel corso del dibattimento, allorquando fu interrogato il padre
dell’imputato Giuseppe Coviello il quale spontaneamente dichiaro: ”Fui condannato
per lesioni a due anni di reclusione, nello stesso incidente uno degli
aggressori mor. Io fui condannato
insieme ai miei fratelli. I miei figli -
per quanto mi risulta - andavano sempre
d’accordo e Mario dormiva sempre in paese perché era studente ed aveva una
apposita stanza. Non sono in grado di dire quanta licenza avesse avuto mia
figlia suora. Io non vendetti ai Verolla il terreno soltanto a causa del
processo che avevo in corso ma cedetti loro in affitto tale fondo che io lo
rivolli indietro perché Riccardo doveva sposarsi. Tale fatto non aveva creato
nessun risentimento nei fratelli e tantomeno nel Mario che non si occupava di
terreni. Mario non sa neppure che arte fare egli è timido e paurose ed è mezzo scemo. Alcuni anni fa i
miei figli per due furti mi fecero portare in casa il fucile E dopo le disposizioni finali, il pubblico ministero chiedeva l’affermazione
della responsabilità di Mario Coviello, con l’esclusione dell’aggravante della
premeditazione, con una condanna a 24 anni di reclusione. Dopo le arringhe dei
difensori Avv. Renato Orefice e Vincenzo
Fusco, la Corte di Assise condannò il fratricida a 22 anni di reclusione.
Il 12 dicembre del 1957 la Corte di Assise di Appello di Napoli ridusse la pena
ad anni 18.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
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