La vittima si vantava in pubblico di aver posseduto la moglie del Piscitelli. Una torbida storia di incesto e di prevaricazione in un ambiante immondo ed in degrado.
Il delitto accadde alla Frazione Talanico di San
Felice a Cancello il 25 aprile del 1951
Aniello Marotta,
Raffaele Lettieri, Gildo Piscitelli e Pasquale Migliore uccisero per vendetta il guappo locale
Pasquale Bernardo
La vittima si
vantava in pubblico di aver posseduto
la moglie del Piscitelli. Una torbida storia di incesto e di prevaricazione in
un ambiante immondo ed in degrado.
Talanico di San Felice a Cancello - Il pomeriggio
del 25 aprile del 1951, la giovane Mafalda Bernardo di Alessandro, denunciava
i carabinieri di Santa Maria a Vico, che
verso le 14:00 dello stesso giorno era stata aggredita da Francesca Verdicchio e dal figlio Iaia Alberto, il quale a dire della Bernardo, aveva esploso contro
di lei due colpi di pistola andati a vuoto mentre la madre l’aveva afferrata
per le vesti. I carabinieri dubitarono, però, dell’attendibilità della denuncia
e, proceduto al fermo della giovane, accertavano infatti che lo Iaia, resosi e nel frattempo
latitante aveva esploso c un solo colpo ma, in aria, a scopo intimidatorio. Con
rapporto del 26 aprile 1951 denunciarono quindi la Bernardo e la madre di lei Concetta Roncone la quale aveva
confermato le asserzioni della figlia per calunnia, associando entrambe le
donne alla locale carceri. Denunciavano altresì, per calunnia, la Verdicchio,
che nel corso delle indagini aveva riferito che la Bernardo aveva estratto un pugnale mentre ciò non doveva considerarsi veritiero,
ed infine lo Iaia, quale autore di porto
e omessa denunzia di arma e sparo in
luogo pubblico. Proceduto sia carico di tutti i denunziati, con la formale istruzione, anche
in ordine al reato di rissa, il 1°
agosto1951 le donne vennero rimesse in
libertà provvisoria. E però il 31 agosto dello stesso mese la Bernardo e e la
Roncone – questa volta in stato di latitanza - furono denunciate dagli stessi carabinieri di
Santa Maria a Vico unitamente al loro rispettivo fratello e figlio Pasquale Bernardo, anch’egli si rese
latitante perché autore di lesioni volontarie con armi in danno del fratello Clemente.
Precisavano i verbalizzanti
che il 17 agosto precedente il giovane Pasquale Bernardo, istigato dalla madre e dalla sorella, ed anzi in presenza della
prima, aveva esploso un colpo di pistola contro il germano Clemente attingendolo alla regione plantare del piede sinistro
cagionando una ferita guaribile in 10 giorni. La causale dell’episodio - ricostruita alla stregua delle dichiarazioni
del ferito- consisteva nel fatto che la Mafalda Bernardo aveva riferito al
fratello Pasquale che esso Clemente attribuiva agli altri due germani una relazione incestuosa. In realtà, spiegava il Clemente, era stata
proprio la Mafalda, che visitato da un sanitario dell’ospedale degli incurabili
e trovata incinta al quinto mese - pur
avendo il marito in carcere da circa due anni - aveva confidato alla suocera e a lui di essere
stata oggetto di violenza da parte del fratello Pasquale. Il comportamento stava a dimostrare - secondo il Clemente – che cera stata proprio lei ad istigare il fratello a
commettere l’aggressione nei suoi confronti ed aggiungeva la parte offesa che
nemmeno la madre Concetta Roncone,
era rimasta estranea ai fatti giacché non solo aveva assistito al triste
avvenimento ma era rimasto indifferente,
né si era punto adoperata in suo aiuto. Circostanza confermata dall’amante del Clemente. Concetta Lettieri, da Ersilia Tondi e Pasqualina
Ferrara. Riferiva inoltre il ferito che la sorella Mafalda per tentare di nascondere l’illecita relazione, aveva anche
tentato di abortire richiedendo all’uopo l’intervento di una certa Rosa, moglie
di Raffaele Fioravante, la quale
però, non aveva voluto prestarsi allo
scopo rifiutando anche le duemila lire
che le erano state offerte a titolo di compenso. Stante la latitanza della Mafalda
i carabinieri non poterono convalidare l’assunto del Clemente in ordine alla gravidanza di lei ma il 18 settembre 1951, Domenico Lettieri, fratello del marito
della Mafalda - e ristretto con il proprio fratello nelle
carceri di Santa Maria Capua Vetere - denunciava formalmente la propria cognata
per procurato aborto e adulterio. Intanto, al giudice istruttore cui per
connessione, erano stati rimessi tutti procedimenti in questione, chiariva di
aver appreso il fatto dalla madre, Cristina
Crisci e di avere avuto conferma dal dottor Vincenzo
Cangiano, medico delegato delle carceri di Santa Maria Capua Vetere, il quale aveva
visitata la cognata - all’epoca della
sua recente detenzione.
Il dottor Cangiano,
a sua volta, riferiva di aver visitato la Bernardo
nella infermeria delle carceri giacché questa gli aveva richiesto un
medicamento per agevolare le mestruazioni che la donna pretendeva essere cessate
dal suo arresto a seguito dello spavento subito. Essendosi però limitato esso Cangiano
a prescrivere alla giovane un semplice disinfettante. Questa lo aveva
consultato altre due volte - nello
spazio una ventina di giorni - sempre
lamentando il perdurare della amenorrea. La seconda volte egli l’aveva
sottoposta ad una visita ginecologica ed aveva constatato l’ingrossamento
dell’utero senza infiammazioni e secrezioni; talchè aveva espresso sospetto che
fosse incinta suscitata al riguardo la vivace
reazione della paziente della di lei madre perché il marito era detenuto da un
paio di anni. A distanza di un altro mese ultima visita effettuata con l’ausilio
del dottor Carmine Abbate
specialista di malattie veneree che aveva potuto contestare che l’utero si
era ulteriormente ingrossato, talchè si
era decisamente orientato per l’ipotesi di una gravidanza al terzo mese per
quanto non fosse stato possibile formulare una precisa diagnosi in difetto
della percezione dei battiti fetali e della pigmentazione intensa dell’areola
mammaria. Il Dr. Abbate confermava le
dichiarazioni del dr. Cangiano, precisando peraltro che alle serie
contestazioni dell’interessata egli aveva consigliato di rinviare la diagnosi
di altro mese potendosi prendere in considerazione l’ipotesi di una fibrosi. La
Bernardo Mafalda, allorchè venne
interrogata dal Giudice Istruttore, con mandato di comparizione si protestò
innocente riservandosi di denunciare il marito per calunnia che, in seguito,
decedeva. Furono espletate due perizie mediche per accertare se la donna
avesse abortito ma esse devano esito negativo. Altri fatti di sangue si erano
verificati nel frattempo. Il 3 settembre
del 1951 Vincenzo Bernardo, fratello di Mafalda, veniva attinto da due colpi di
pistola agli arti inferiori. Ricoverato all’ospedale civile di Caserta
dichiarava che a colpirlo era stato il giovane Raffaele Lettieri, fratello del
marito della Mafalda. Il quale gli aveva esploso contro diversi colpi di
pistola dicendogli: “Ti debbo ammazzare”.
Il fatto trovava conferma nelle deposizioni
di tre donne: Francesca De Lucia, Lucia De Lucia e Rosa Nuzzo le quali avevano assistito
all’avvenimento. Quanto ai motivi dell’aggressione il Bernardo disse di
ignorarli, ma i carabinieri procedenti, nel loro rapporto con cui denunciarono
il Lettieri - resosi latitante – affermavano che il fatto traeva origine nel
rancore determinato nella famiglia Lettieri a seguito della notizia, sparsasi
in paese, che la Mafalda era rimasta incinta ad opera del fratello Pasquale e
con l’aiuto dei germani stava cercando di procurarsi l’aborto per sopprimere la
prova dell’adulterio. Lo stesso Lettieri veniva poi denunciato dai carabinieri
per tentate lesioni in danno di Bernardo
Pasquale. La denuncia era avvenuta tramite il padre Alessandro Bernardo, il quale presentatosi in caserma, il 3
settembre del 1951, riferì che il figlio
Bernardo, ancora latitante dall’epoca dell’aggressione in danno del fratello
Clemente era stato fatto oggetto di due
colpi di pistola da parte del Lettieri il quale aveva finanche disarmato il
figlio della sua pistola tedesca cal. 9 che, più tardi venne consegnata in
Caserma da certo Carlo Iaia, cognato
del Lettieri. Il 17 settembre del 1951 gli stessi carabinieri denunciarono
proprio Pasquale Bernardo per
tentato omicidio in danno del Lettieri esponendo che il 12 precedente aveva esploso
contro il figlio due colpi di pistola ed i testi
Angelo e Raffaela
Liparulo confermavano la circostanza aggiungendo che il Lettieri era
potuto sfuggire perché al terzo colpo, l’arma del suo aggressore non aveva più
funzionato. Il 3 novembre del 51 un ben più tragico incidente si aggiunge alla
catena degli episodi criminosi che avevano avuto protagonisti i componenti
delle famiglie Lettieri e Bernardo. Pasquale Bernardo, infatti, uscendo dall’osteria di Alberto De Rosa, in contrata Talanico
di San Felice a cancello, venire raggiunto ed ucciso da un colpo di pistola che
dal secondo spazio intercostale gli fuoriusciva dalla regione sottoscapolare
forando l’aorta il polmone con conseguente grave emorragia. I carabinieri di
Arienzo (come risulta dal rapporto del 12 novembre del 51) portatisi
immediatamente sul posto rinvenivano a circa 7m dal cadavere, il giovane Aniello Mariotta di Pierantonio che giaceva supino in una pozza di
sangue per una ferita trasfossa d’arma
da fuoco dalla natica sinistra alla
radice della coscia. Essi si accertavano,
attraverso l’interrogatorio dell’oste De
Rosa e dei testi oculari Pellegrino
De Simone, Clemente Barbarino e Raffaele
Biondillo che Pasquale Bernardo quella sera si era trattenuto all’osteria del De
Rosa, assistendo al gioco delle carte, finché vi aveva fatto ingresso un giovane, forse il Marotta il quale lo aveva invitato ad
uscire sulla strada. Allontanatisi i due dall’osteria si erano uditi numerosi colpi
di arma da fuoco ( nove o dieci) per il che i presenti si era affrettati a
chiudere la porta poco più tardi, cessato il panico, avevano
potuto rendersi conto dell’accaduto.
Avv. Vittorio Verzillo |
Il Marotta dichiarava ai carabinieri che già la sera del primo novembre si era convenuto fra lui, Raffaele Lettieri, e tale Gildo Piscitelli, di sopprimere il Bernardo loro comune nemico. Il Lettieri,
il quale aveva organizzato il piano delittuoso, ne aveva fissato l’esecuzione
per il tre successivo, ed infatti i tre giovane erano partiti da San Felice a
Cancello alla volta della Frazione Talanico per eseguire il delitto avendo
appreso da un informatore che la vittima era presso l’osteria. Lungo la strada
si era unito a loro il giovane Pasquale Migliore che domandò: “Dove andate? Andiamo a Talanico… perché
dobbiamo uccidere…Don Pasquale Bernardo…. Bene! Vengo anch’io”…nonostante
lui fosse disarmato – come il Marotta -
mentre il Lettieri ed il Piscitelli avevano rispettivamente una pistola
cal. 7,65 ed una grossa pistola Grisent. Prima di rintracciare la vittima
designata nell’osteria del De Rosa, essi lo avevano ricercato in un’altra osteria e in una casa di Talanico
(presso la quale spesso si tratteneva perché pare avesse una tresca con la giovane moglie di un operario che lavorava al
nord) nella quale era entrato solo il Piscitelli che, secondo un precedente
accordo, avrebbe dovuto disarmare il
Bernardo insieme al Marotta appena si fossero incontrati con lui in modo da
sopprimerlo senza maggiori rischi in una località deserta con il concorso degli
altri due che durante la prima
operazione si sarebbero tenuti lontani.
Questo piano era stato giudicato però troppo pericoloso da esso Marotta onde si
era convenuto che il Piscitelli, rintracciato il Bernardo, l’avrebbe invitato
ad uscire sulla strada senza accenderne i sospetti in modo da rendere più
facile agli altri la di lui uccisione. Ed infatti - continuava il Marotta nella
sua deposizione al giudice istruttore -
era stato proprio il Piscitelli ed entrare
nell’osteria del De Rosa. Senonché, appena uscito dal locale il Bernardo
si erano succeduti vari colpi di pistola ed egli stesso era stato ferito da qualcuno che non voleva ad indicare come del
pari ignorava chi fosse stato poi a colpire il Bernardo. In un altro
interrogatorio, reso il nove novembre successivo, il Marotta ammetteva di
essere stato anch’egli armato, nell’occasione di una grossa pistola a tamburo che gli era stata fornita dal Lettieri il quale nel consegnargli l’arma gli
aveva detto: “Questa è buona e non
fallisce nemmeno un colpo”…
Chiariva
peraltro, che il Bernardo, appena uscito dall’osteria gli aveva esploso contro un
colpo di pistola per cui egli ne aveva
sparato due o tre in successione… ed altrettanti ne aveva esploso il Piscitelli
uscito subito dopo il Bernardo. Il Lettieri, tratto in arresto dai carabinieri
e il Piscitelli costituitosi direttamente in caserma confermavano
sostanzialmente le dichiarazioni del Marotta con qualche variante di scarso rilievo.
In particolare Lettieri non trovava difficoltà ad ammettere che fin dalla sera
del primo novembre si era stabilito fra lui, il Marotta ed il Piscitelli di
infliggere una severa lezione al Bernardo di tutti avevano in odio per la sua
prepotenza e ricordava in proposito che
costui, meno di due mesi prima, lo aveva
aggredito per ben due volte, aveva rapinato il Marotta di Lire 800
minacciandolo di morte e si era vantato,
infine, di aver goduto dei favori della moglie del Piscitelli. Il Lettieri
escludeva, tuttavia, fosse stata in essi l’intenzione di sopprimere l’avversario.
Lo scopo dell’aggressione doveva essere quello di catturarlo e consegnarlo ai
carabinieri giacchè era latitante ovvero di ferirlo aggiungendo che all’impresa
si è unito anche il Migliore incontrato per strada. Ad uccidere il
Bernardo - secondo il Lettieri - era
stato certamente il Marotta, poiché il Piscitelli gli risultava che non aveva sparato in quanto proprio il giorno successivo
gli aveva restituito la pistola, che egli gli aveva fornito per partecipare
all’aggressione, carica di tutte le cartucce. Il Piscitelli ammetteva che si era stabilito
di farla finita con Bernardo fin dalla sera del 1° novembre e che a tale scopo
egli si era diretto la sera del successivo verso la frazione Talanico
unitamente al Lettieri, al Marotta e al Migliore; quest’ultimo aggregatosi
all’ultimo momento e per pura combinazione. Ammetteva anche di essere entrato nella
cantina del De Rosa mentre gli altri si trovavano appostati fuori precisando
anzi ché il Bernardo, il quale evidentemente non lo aveva in sospetto, aveva scambiato con lui
qualche parola in una banale conversazione, dopo di che lui aveva rassicurato
il suo interlocutore, che gliene aveva fatto domanda che la persona ferma
davanti alla porta dell’osteria era un
suo amico. Appena il Bernardo era uscito dal locale, dietro suo espresso invito,
questi aveva esploso contro il Marotta dei colpi di pistola. L’altro allora aveva
prontamente reagito attingendo a sui volta il Bernardo. Esso Piscitelli era quindi fuggito
non senza aver prima sparato un paio di colpi della rivoltella che in precedenza il Lettieri gli aveva prestato e che era carica di nove
cartucce.
Avv. Alfonso Martucci |
Le condanne per omicidio e tentato omicidio furono di
24 anni per Lettieri, 16 per Marotta e Piscitelli e 14 per Migliore
On. Sen. Avv. Generoso Jodice |
Innanzi la Corte di Assise di Santa
Maria Capua Vetere (Giovanni Morfino,
presidente; Renato Mastrocinque,
giudice a latere; pubblico ministero Nicola
Damiani) dopo la sentenza del Giudice Istruttore, Bernadino De Luca, furono
rinviati a giudizio: Aniello Marotta,
19 anni; Raffaele Lettieri, 18 anni;
Gildo Piscitelli, di anni 20; Pasquale Migliore, di anni 21; Mafalda Bernardo, di anni 23; Alessandro Bernardo, di anni 59; Fioravante Migliore, di anni 46; Alberto Iaia, di anni 18; Concetta Roncone, di anni 56; Francesco Verdicchio, di anni 42; per
rispondere di rissa, porto ingiustificato di arma da taglio, detenzione e sparo
in luogo pubblico, furto aggravato, lesioni personali, minaccia continuata
aggravata, e ubrichezza molesta; tentato omicidio ed infine Raffaele Lettieri,
Marotta Aniello e Gildo Piscitelli, per
avere, con premeditazione ed ai fini di
vendetta – mediante più colpi di pistola – cagionato la morte di Pasquale Bernnardo. Con lo stesso
rapporto conclusivo delle indagini sull’omicidio del Barnardo veniva denunciato
per favoreggiamento personale l’oste Alberto De Rosa essendo risultato ai
carabinieri che egli aveva rifornito di vitto e prestato alloggio a Pasquale Bernardo che era colpito da mandato di cattura
per i reati commessi in precedenza. Successivamente, in esito al mandato di
cattura emesso contro il Migliore, l’Arma di Cancello procedeva al suo arresto rinvenendolo nella casa di un suo
largo parente, Fioravante Migliore
che veniva denunciato per favoreggiamento personale. In particolare Pasquale Migliore si protestava del tutto innocente in ordine
alla imputazione di concorso in omicidio premeditato affermando che la sera del
fatto che si trovava a San Felice a Cancello - in compagnia di una ragazza
napoletana - che però non valeva ad indicare. Veniva inoltre riunito un altro
processo a carico di Mafalda Bernardo
e di suo padre Alessandro che
venivano denunciati per minaccia con
arma in danno di Natalina Biondillo; la Mafalda di porto abusivo di pistola
e il padre di porto di pugnale e
ubriachezza. Si precisava nel rapporto che la Biondillo Natalina (moglie di Bernardo
Lettieri, ucciso nei giorni del dibattimento di questo processo da Vincenzo Bernardo) aveva denunciato che
due giorni dopo l’omicidio di Pasquale
Bernardo, il padre la sorella di
questi si erano portati davanti alla sua casa di abitazione, l’uno armato di
pugnale e manifestamente ubriaco,
l’altra armata di pistola ed avevano
gridato più volte : Ti dobbiamo
ammazzare”… ponendosi per lungo tempo innanzi all’uscio di casa in
atteggiamento minaccioso. La Corte, con sentenza del 2 aprile 1954, emise il
verdetto soltanto per l’omicidio ed il tentato – essendo stato emesso nel frattempo un provvedimento
di amnistia per i reati minori – Il Marotta venne condannato ad anni 16; il
Lettieri ad anni 24 e mesi 10; il Piscitelli
ad anni 16 e mesi 4 e il Migliore ad anni 14 e mesi 6. Nei tre gradi di
giudizio furono impegnati gli avvocati: Generoso
Iodice, Carmen Gentile, Alfonso Raffone, Vittorio Verzillo, Francesco
Ventriglia, Francesco Cerabona, Raffaele De Caro, Alberto Martucci e Alfonso Martucci. I medici che si
occuparono dell’autopsia e delle perizie furono: Pasquale Tagliacozzi, Mario Pugliese, Francesco Tarsitano e Alberto Buffolano.
Fonte: Archivio di Stato di
Caserta
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