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sabato 31 dicembre 2016


      
        UCCISE LA MOGLIE E LA SUOCERA






Il delitto accadde a Sant’ Andrea del Pizzone alle ore 18,30 del 21 agosto del 1954 in agro di Francolise nella massaria “Difesa Vecchia”.

UCCISE LA MOGLIE E LA SUOCERA


Somario: Il contadino Gaetano Iossa,  uccise con alcuni colpi di pistola la giovane  moglie Vincenza De Cicco (che aveva in braccia il figlioletto di pochi mesi)  e la suocera Francesca Aperuta. Quest’ultima (vedova) pretendeva rapporti sessuali col genero con  l’assenso della figlia instaurando un “vero menage a trois”  in quanto dormivano in tre nello stesso letto…il giovane prima di commettere il duplice delitto aveva deciso di suicidarsi facendosi travolgere da un treno…L’assassino costretto al matrimonio dopo aver sedotto la ragazza…




Sant’Andrea del Pizzone -  Il tragico fatto di sangue che stiamo per raccontarvi, culminato nel duplice omicidio della moglie e della suocera, sotto certi aspetti non ha un movente comprensibile. Che cosa ha spinto il giovane a commettere l’orrendo delitto? Che cosa passava per la mente di quest’uomo al momento del fatto? E’ sano di mente? E’ un simulatore? Quali sono le analogie che legano alcuni tra i delitti più efferati degli ultimi anni? L’inquietante “normalità” degli assassini, dei loro complici, delle loro relazioni affettive. La banalità omicida che spinge a uccidere senza un apparente motivo: il movente labile, incomprensibile, che spinge l’indagine verso la frontiera scientifica e tecnologica alla ricerca di indizi e prove – come spesso è stato affermato dagli esperti -  “oltre ogni ragionevole dubbio”? Vediamo i risvolti analizzando dapprima l’inchiesta e poi i vari processi. Verso le ore 18,30, un sabato, e precisamente il 21 agosto del 1954, i carabinieri di S. Andrea del Pizzone, avendo appreso che il giovane Gaetano Iossa, (28 anni, nativo di Marigliano) uno dei coloni della masseria “Difesa Vecchia” in agro di Francolise, aveva ucciso la giovane moglie Vincenzina De Cicco e la suocera Francesca Aperuta, si portavano sul posto e rinvenivano a circa 250 metri dalla casa colonica, presso lo stradone che immette dall’aia della casa ai campi, i cadaveri delle due donne. Questi si trovavano a poca distanza da un campo di tabacco tenuto in fitto da tale Carlo Saraceno.  Entrambe le donne erano vestite a “festa”, nel senso che indossavano vestiti che di solito non adoperavano per il lavoro dei campi. Un particolare curioso, la Francesca Aperuta,  inoltre, portava sotto le vesti due cuscinetti di stoffa che le arrotondavano le forme dei fianchi e delle anche. 


Un vezzo di vanità femminile? La De Cicco, invece, giaceva supina e stringeva nella mano destra un tovagliolo. Ad alcuni metri dai cadaveri venivano rinvenuti due bossoli di cartucce esplose, nonché una cartuccia intera inesplosa per pistola a rotazione dello stesso calibro del proiettile repertato sul cadavere della De Cicco. Attraverso l’interrogatorio dei familiari delle vittime e di Luca Ventre, Carlo Saraceno, Salvatore De Micco e Luisa Costanzo, il primo amministratore e gli altri coloni della masseria “Difesa Vechia” risultava che la Aperuta circa dodici anni prima, rimasta vedova, si era trasferita da Pomigliano d’Arco alla Masseria “Secondo Iossa” con le figlie Vincenza e Maria ed ivi aveva convissuto “more uxorio” con tale Antonio Cerciello  fino alla sua morte rimasta avvolta nel mistero. Gaetano Iossa, che abitava con la propria famiglia nella stessa masseria aveva preso ad amoreggiare con la Vincenza De Cicco e qualche tempo dopo, con la lusinga del matrimonio l’aveva addirittura sedotta. Successivamente, istigata dalla propria madre si era rifiutato di riparare al “malfatto” con il matrimonio e si era allontanato dal paese recandosi a lavorare in agro di Francolise. Dopo varie vicissitudini, nel corso delle quali il giovane dovette subire, da una parte, le influenze della madre che lo spingevano a non sposarsi e dell’altra,  le minacce e pressioni della futura suocera la quale, dopo aver atterrato due mariti, minacciava di atterrare anche lui. 


Fu così che – anche per l’intervento di “comuni” amici il giovane alla fine contrasse matrimonio con la ragazza. Dopo le nozze – celebratesi nel settembre del 1953 – i due giovani si erano stabiliti a Marigliano nella masseria “Facile” ed aveva preso ad abitare con loro anche la suocera. Dopo circa un anno l’orrendo duplice delitto.   Nel frattempo il giovane aveva ottenuto in fitto – grazie all’intercessione del suo amico Luca Ventre – circa due ettari di terreno ed un vano della masseria “Difesa Vecchia” di Sant’Andrea del Pizzone e vi si recava saltuariamente, quasi sempre, accompagnato dalla moglie e… dalla suocera. Nel giugno del 1954 la De Cicco aveva dato alla luce un bambino e poco dopo tutta la famiglia si era trasferita nella masseria “Difesa Vecchia” in occasione della mietitura. In tale periodo sia il Ventre che i coloni della masseria avevano notato frequenti litigi fra il giovane e le due donne; litigi che erano causati dal fatto che la suocera sospettava che il genero fosse istigato dalla propria madre contro di lei e la figlia e dai conseguenti rimproveri che sia l’Aperuta che la De Cicco  (quest’ultima vittima della protervia della madre non era in grado di contraddirla) muovevano al giovane specialmente quando si allontanava dalla masseria. Risultava inoltre che la sera del 19 agosto lo Iossa si era recato con la propria motocicletta a Pomigliano dal cognato Giuseppe De cicco pregandolo di aiutarlo nei lavoro dei campi e di fare una ramanzina alla Aperuta perché non si ingerisse nelle sue questioni con la moglie. Il cognato aveva aderito all’invito e aveva fatto presente alla madre le lamentele dello Iossa ma la Aperuta aveva risposto che il genero – seguendo i consigli della propria madre – non versava in casa i suoi guadagni e si allontanava spesso dalla propria abitazione ingiustificatamente. La mattina del 21 agosto alle ore 8,00 il giovane aveva riaccompagnato con la motocicletta il cognato a Pomigliano d’Arco da era ripartito verso le 9,40. Nel pomeriggio, verso le 17,30 il Di Micco, la Costanzo e il Saraceno (coloni che lavorano nei campi attigui) avevano sentito  il giovane piangere nella sua casa e poi lo avevano visto uscire  con  il viso sconvolto recarsi sul suo terreno seguito dalla suocera. 

Dopo circa un quarto d’ora la De Cicco aveva rimesso in casa la motocicletta che era stata lasciata nell’aia e si era diretta anch’essa verso il fondo e di lì a poco le due donne, la giovane portava il figlioletto in braccia, erano state viste dai testimoni tornare verso casa e poi raggiungere il giovane nei pressi di una fontana nel campo coltivato a tabacco. Dopo poco verso le 18 il giovane aveva chiamato la Costanzo – che era presso la casa – e le aveva detto di “correre a prendere il bambino perché egli aveva ucciso la mamma e la figlia”.  La donna subito accorso si era trovata di fronte ad uno spettacolo raccapricciante. Aveva trovato il bambino sotto il corpo della nonna, la quale era già cadavere mentre la giovane stava esalando l’ultimo respiro al suo arrivo. La perizia necroscopica accertava che le due donne erano state “fulminate” entrambe con un colpo mortale al cuore. In seguito all’emissione del mandato di cattura il giovane il 26 agosto si costituiva presso i carabinieri. Nel primo interrogatorio l’assassino dichiarava che la suocera si era trasferita presso la sua abitazione contro il suo volere e che lei e la moglie lo richiamavano per qualsiasi azione e gli vietavano di avere rapporti  con chicchessia e finanche con i coloni della stessa fattoria.  Anzi la Aperuta, che dormiva con la figlia e con lui in un unico letto, più volte, consenziente la figlia, gli aveva proposto di congiungersi carnalmente con lui e pretendeva addirittura un “menage a trois”. Esasperato per tale situazione familiare egli aveva invocato l’intervento del cognato Giuseppe De Cicco,  che però non era approdato a nulla. E il 21 agosto al ritorno  da Pomigliano – ove aveva riaccompagnato il cognato – era stato rimproverato, come al solito, dalla moglie che gli rinfacciava di aver perduta al mattina. Più tardo un’altra scenata gli era stata fatta dalla due donne in casa perché avevano rinvenuto in un taschino dei suoi pantaloni del denaro - circa duemila lire che egli si era fatta dare in prestito da tale Agostino Cantiello prima di recarsi a prendere il cognato. Anzi le donne si erano perfino vestite per recarsi dal Cantiello onde fargli presente che non doveva dargli denaro. 

Egli allora preso dallo sconforto, aveva messo fuori dalla casa la motocicletta, deciso a partire per suicidarsi facendosi investire da un treno o da un camion. Aveva anche posto nella tasca dei pantaloni una pistola a rotazione tipo Smith, cal. 10, che  teneva in casa per difesa personale – che aveva poco prima caricata con 5 colpi dopo averla rinvenuta per caso (Sic!) mentre svuotava dei sacchi di orzo. Dopo aver pianto a lungo si era recato alla masseria dove le donne lo avevano raggiunto muovendogli ancora dei rimproveri. Ad un tratto la moglie si era alzata ed aveva tentato di togliergli la pistola dalla tasca ma nel “tiro e molla” era accidentalmente partito  un colpo che aveva ucciso la moglie. Lui peritò, allora, di uccidere  anche la suocera che riteneva la causa di tutti i suoi patimenti. Sul posto per le constatazioni di rito, oltre al Pretore di Pignataro Maggiore ed ai rappresentanti della Fedelissima intervenne il Dr. Domenico Merola, medico legale, con studio in Sparanise,  per la rimozione dei due cadaveri.



Fonte: Archivio di Stato di Caserta 






LA CONDANNA FU A 25 ANNI PER OMICIDIO  VOLONTARIO CONTINUATO

La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere ( Presidente, Giovanni Morfino; giudice a latere,  Guido Tavassi; pubblico ministero,  Gennaro Calabrese;  giudici popolari: Nazzato De Gennaro, Domenico Leone, Nicola De Sario, Gaetano Napolitano, Gennaro Cervo e Rocco Consales), con sentenza del 17 gennaio del 1957, per l’omicidio in persona della moglie  condannò Gaetano Iossa ad anni 24 di reclusione. Con riduzione della pena ad anni 20 per la concessione delle attenuanti generiche. La detta pena, però venne aumentata ad anni 25 di reclusione per la continuazione (delitto della suocera). In sede di interrogatorio Gaetano Iossa insistette nelle sue precedenti affermazioni: “Il colpo che ha ucciso mia moglie è stato accidentale, non ho sparato deliberatamente a mia suocera che aveva in braccio mio figlio, la stessa mi controllava ogni spesa e pretendeva anche di fare sesso  con me con l’assenso di mia moglie. Confermo che subito dopo il pianto avevo deciso di suicidarmi facendomi travolgere da un treno o andando a cozzare con la moto contro un autocarro. Non me ne diedero la possibilità altrimenti l’avrei fatto”.    Nella motivazione della condanna i giudice  di primo grado affermarono tra l’altro che “Se però deve escludersi che l’imputato sia stato provocato da un comportamento ingiusto della suocera e della moglie non può dall’altra parte disconoscersi che egli quando commise il delitto si trovasse in uno stato grave di prostrazione morale per i rimproveri mossegli dalle due donne dato che poco prima ruppe in  pianto. E in considerazione sia di tale stato di prostrazione morale in cui il prevenuto trovavasi sia della buona condotta tenuta”.   Nel ricorso in appello i difensori sostennero  che l’imputato doveva essere “assolto” per aver agito in stato di “legittima difesa” e  per essere stato “plagiato” dalle due donne. Una tesi un poco affascinante ma verosimile. 

Oggi non sarebbe possibile neppure ipotizzare una tale “scriminante” infatti l’art. 603 del codice penale  è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sent. 9 aprile 1981, n. 96, in quanto la fattispecie costitutiva del reato risultava essere eccessivamente generica e dunque in contrasto col principio di tassatività della fattispecie penale.  “Lo Iossa era diventato un vero succube della suocera e della moglie, sicchè il delitto non è che la ribellione a quello stato di plagio in cui era per timidità sua e soprattutto per il carattere violento e sopraffattore delle due donne caduto lo Iossa. All’imputo - insistettero i difensori - andava riconosciuta anche la scriminante dello stato d’ira per fatto ingiusto altrui. Il movente unico e morboso di questo orrendo delitto è da ricercarsi nel controllo delle due donne sullo Iossa che era in dipendenza delle male voglie della suocera che aveva indotta la figlia ad accettare un “incestuoso menage a trois” che lo stesso non volle mai accettare. La sentenza però, nonostante ogni sforzo difensivo venne confermata in appello e Cassazione. Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati:  Leopoldo Terracciano, Francesco Cerabona e Vittorio Verzillo.

Fonte: Archivio di Stato di Caserta




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