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martedì 5 settembre 2017


31 DICEMBRE 9999

Una giornata di semilibertà con Carmelo Musumeci, ergastolano

A cura di Nicola Feninno
L’ergastolano diventa una razza differente da tutti gli altri esseri umani perché è una creatura nuova costruita per legge, vive respirando un’aria diversa, fa parte di un altro pianeta, probabilmente di un altro universo.
(Dalla tesi di laurea in Giurisprudenza, “Vivere l’ergastolo”, di Carmelo Musumeci, un ergastolano, ora in semilibertà. Abbiamo trascorso una giornata con lui, per farci raccontare come si vive scontando una pena che non ha fine, se non con la morte).
Dal diario di Carmelo Musumeci, 18 giugno 2017
Durante il giorno, nei momenti di pausa, mi piace moltissimo sedermi sul terrazzo della struttura della Comunità Papa Giovanni XXIII dove lavoro, ad ammirare i cipressi e il verde tutto intorno. Gli alberi in carcere mi sono mancati tantissimo, forse più delle persone.

PREMESSA

 Se qualcuno scoprisse un metodo, una formula per vivere in eterno – o perlomeno, chessò, per quindicimila anni – ci sveglieremmo la mattina del primo gennaio 10000 e tutti gli ergastolani d’Italia sarebbero in libertà. Sul certificato di detenzione di un condannato all’ergastolo, infatti, la scadenza della pena è fissata al 31 dicembre 9999. Anni fa si scriveva: mai. Ora il sistema è informatizzato.
“Forse il computer è più umano degli umani” mi ha detto Carmelo Musumeci, mostrandomi il suo certificato.
In Italia esistono due tipi di ergastolo. Quello normale prevede la possibilità di benefici e dell’eventuale liberazione condizionale dopo 26 anni. Poi esiste l’ergastolo ostativo: nessun beneficio, nessun permesso, nessuna possibilità di misure alternative. All’ergastolano ostativo può essere applicato l’articolo 41bis che prevede: isolamento in cella; ora d’aria limitata; massimo due colloqui al mese con i familiari in presenza di un vetro divisorio; una telefonata al mese.

Carmelo Musumeci è stato condannato all’ergastolo ostativo per rapina, estorsione, omicidio, associazione a delinquere di stampo mafioso ed altri reati minori. Nel 1992, quando era già detenuto, gli hanno applicato il 41bis. È stato trasferito nel carcere dell’Asinara. Qui ha preso la licenza media, poi il diploma. Si è laureato in Scienze giuridiche, quindi la specialistica in Giurisprudenza, all’anno scorso risale la laurea in Filosofia. In carcere ha scritto diversi libri. La suapetizione per l’abolizione dell’ergastolo ha tra i primi firmatari Margherita Hack, Umberto Veronesi, Agnese Moro (figlia di Aldo Moro), Lorella Cuccarini, Rocco Buttiglione, Fausto Bertinotti, Vittorio Sgarbi. I firmatari al momento sono 30882.

Sul certificato di detenzione di un condannato all’ergastolo la scadenza della pena è fissata al 31 dicembre 9999. Anni fa si scriveva: mai. Ora il sistema è informatizzato. “Forse il computer è più umano degli umani”.

Il detenuto con l’ergastolo ostativo può cambiare la sua condizione solo diventando collaboratore di giustizia. Carmelo ha sempre rifiutato questa opzione. L’anno scorso ha ottenuto la “collaborazione impossibile”: i reati per cui è stato arrestato, infatti, erano finiti in prescrizione. Fare i nomi non sarebbe più servito. Così, dopo 26 anni di reclusione, ora si trova in semilibertà. Passa le notti nel carcere di Perugia, da cui esce tutte le mattine. Deve girare sempre accompagnato da una persona designata dal Tribunale di Sorveglianza, o da qualcuno che da questa viene delegato (nel caso di questo reportage, io). E solo tra i confini dei comuni di Perugia, Assisi, Foligno, Bastia Umbra e Bevagna, dove presta servizio come volontario nella Comunità Giovanni XXIII.
Sono andato a prendere Carmelo ai cancelli del carcere e abbiamo passato insieme la sua giornata di semilibertà. Mi ha raccontato della sua infanzia, della vita da criminale, della vita nel carcere e di quella da semi-libero. Mi ha spiegato i motivi per cui ha deciso di non collaborare con la giustizia. Mi ha parlato delle sue lotte e delle sue letture.
Non trovo un senso per l’ergastolo ostativo; questo è il mio parere. Scorgo un contrasto con l’articolo 27 della Costituzione Italiana: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”; vedo il rischio di una legge che frana nella vendetta. Ma le cose non sono semplici, i dilemmi sono molti e, soprattutto, il mio parere personale qui non conta. Anche se – come tutti – non posso fuggire dalla parzialità del mio punto di vista, non m’interessa ingabbiarci dentro nessun altro (compreso il me-futuro).
Nelle pagine che seguono trovate il racconto di quella giornata, scandito in tre momenti.


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