Augusto
La Torre
da kriminale a Criminologo
Prefazione di Libero Mancuso
Augusto La Torre il giorno della sua seconda laurea
“IL camorfismo è un
disturbo comportamentale
e come tale può essere
curato”.
Augusto La Torre
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PREFAZIONE
Sono invitato a partecipare alla seduta di
laurea del detenuto Augusto La Torre, una volta capo di una omonima banda
camorrista che distribuiva morte e dolore nell’agro casertano. La seduta si
tiene in un’accogliente saletta dentro un carcere, quello di Scandicci. Si
chiama Sollicciano e per accedervi è necessario superare barriere e controlli.
Penso ad una seduta pro forma, nella quale viene premiato lo sforzo di
apprendimento piuttosto che la conoscenza approfondita della materia che,
oramai è noto, è la criminologia.
Sono seduto accanto al direttore, al
cappellano del carcere, alla ex-moglie del detenuto. E ad altri familiari.
Inizia la prova: fioccano domande difficili, la Commissione intende accertare
che quella voluminosa tesi di laurea faccia davvero parte del bagaglio di
conoscenze acquisite dal detenuto, vuole stabilire se davvero si sia
impadronito della materia. La senta non come altro da sé ma come acquisizione
di una particolare, terribile, scienza umana. Se abbia smesso di considerarla
niente più che un espediente, cui ha già fatto ricorso nella vita passata e di
cui potrebbe servirsi oggi per acquisire ingiustamente dei meriti. E se sarà in
grado di spiegarla, o persino insegnarla, a ipotetici suoi studenti o futuri pazienti.
Il candidato si destreggia citando con
disinvoltura autori stranieri, non solo europei. Si sofferma su ogni quesito
che gli viene posto, si capisce che, in carcere da oltre 25 anni, ha affrontato
la materia con impegno e con risultati che sorprendono la stessa commissione.
Che alla fine gli assegna il massimo dei voti. Il candidato mostra, oltre ad
una comprensibile emozione, una palese soddisfazione per il livello di
istruzione raggiunto e che è in grado dì esprimere ad una commissione d’esame
proveniente da una delle più illustri e antiche università europee. Al termine
della prova, riceve congratulazioni dalla Commissione, abbraccia i presenti,
increduli nell’ascoltare le sue risposte. partecipa ad un rinfresco.
E’ chiaro, ci ha voluti tutti lì per poter
dimostrare a se stesso ed ai presenti che si è al cospetto di un altro uomo
che, uscito da una personalità sanguinaria, ha abiurato i riferimenti negativi
che ispiravano la sua condotta di vita, e oggi crede nello studio, nell’istruzione,
in un futuro civile. Un altro uomo, con un differente sistema di valori.
Contrapposti a quelli che avevano ispirato le sue gravissime malefatte. Vuole dimostrare,
a chi ha creduto in questa metamorfosi, che il carcere. il più duro, il più
doloroso, persino il
regime
inumano del 41 bis, subito per circa 13 anni quando sicuramente meritava un
regime differenziato, ma di certo ingiustamente quando ha dovuto trascorrere
ulteriori due anni, dal 2009 al 2011, quando era collaboratore di giustizia dal
2003 e paradossalmente per vicende, come si accerterà, a lui del tutto
estranee, possono cambiare l’individuo se solo gli si riconosca fiducia,
possibilità e diritto di studiare, di gestire un computer, di consultare una
biblioteca, di entrare in contatto con un’Università degli studi. Ed avere il
conforto di un valoroso Cappellano e la fiducia e il supporto di volontari di
grandissima umanità. L’istruzione è obbligatoria, recita l’art. 34 della Carta
fondamentale dei diritti nella sezione dedicata a rapporti etico-sociali, vuole
che sia reso effettivo il diritto allo studio e, all’art. 27, prevede che il
carcere non sia luogo dove avvengano comportamenti contrari al senso dì umanità
e che debba tendere alla rieducazione del condannato.
Augusto La Torre rappresenta la prova
dell’importanza del connubio carcere-istruzione per riacquistare senso di
umanità e voglia di far parte di un contesto civile. Di acquisire speranze in
un futuro di affetti, impegno, lavoro. E’ alla sua seconda laurea e, subito
dopo averla conseguita, lo abbracciamo tutti, consapevoli di avere assistito ad
una prova unica, straordinaria, alla riconciliazione di un uomo con il tessuto
civile, con le regole di una democrazia, con l’etica del rispetto della vita
umana. E’ per questo che ad alcuni di noi sembra che qualche minuto dopo si
uscirà tutti insieme, compreso il candidato. Quel carcere sembra ormai
un’inutile sofferenza. Ha già prodotto i risultati cui la detenzione deve
tendere.
Per
Augusto La Torre questo scritto rappresenta la definitiva liberazione da un
passato cupo, intriso di sangue, violenza, sopraffazione. Che voleva
rappresentare, per poterlo considerare rimosso. So che oggi La Torre ha fornito
un importante percorso di riscatto civile ed umano e che rappresenta la prova
che da crimine è possibile uscire acquistando dignità e consapevolezza civile,
in precedenza smarriti.
Libero
Mancuso
“IL
CAMORFISTA”
è il libro
di Augusto La Torre
(in
allestimento)
Ecco, per gentile concessione dell’editore, uno stralcio della introduzione
La
mia vita potrà essere interamente compresa solo da chi è nato e cresciuto nella
mentalità camorfistica. Non intendo
giustificare il mio trascorso criminale, sono consapevole di aver fatto del
male, ma voglio dimostrare che tutti gli uomini e tutte le donne possono
cambiare, e anche un criminale può redimersi.
Nel
mio libro le persone e i luoghi sono stati chiamati con il loro vero nome, e
indicati con le sole iniziali, ove ho ritenuto giusto rispettarne la
riservatezza. Se qualcuno non è stato menzionato, è perché la mia memoria non
ne ha conservato traccia o perché non gradivo entrasse nel mio libro. Se invece
ho preferito usare soltanto alias e
non il vero cognome è perché a distanza di tanti anni non lo ricordo più.
Ho
confessato oltre quaranta omicidi, quasi tutti materialmente commessi in
concorso con i miei ex amici del Clan La Torre e del Clan Esposito di Sessa
Aurunca, altri ordinati. Ho voluto evitare di assumermi la responsabilità
morale di moltissimi altri omicidi e stragi commessi dal 1981 al 1990, dal clan
Bardellino prima e dai Casalesi dopo,
e dei quali ero a conoscenza per aver partecipato alle riunioni nelle quali
erano decisi, poiché il mio consenso o la mia presenza, come quella di altri
capi zona, in quelle riunioni erano del tutto superflue. Si trattava di nemici
operanti nei territori sotto il diretto dominio dei Casalesi e quindi, come io e altri capi zona decidevamo di
eliminare i nostri comuni nemici nelle nostre zone, così facevano i Casalesi.
Non
ho voluto e non voglio fare come alcuni megalomani, che si sono accusati di
cinquecento omicidi definendosi capi e vantando quanto commesso, quando in
realtà non sono mai stati capi e non hanno mai sparato a un solo uomo.
Racconterò i fatti e i crimini direttamente riconducibili al mio ex clan, senza
aggiungere e senza togliere nulla, come risulta anche dalle sentenze definitive,
ma correggendo gli errori di bugiardi e megalomani che, pur di attribuirsi
ruoli che non rivestivano, hanno voluto parlare di reati che non hanno commesso
e che non conoscevano. Il mio intento è inviare un messaggio forte ai giovani,
così che possano capire che quello che offre la camorra è solo morte,
sofferenza e carcere, null’altro. Dove per morte è intesa anche la propria,
giacché dal camorfismo si esce solo
morti o dopo 30 anni di carcere, se si è fortunati.
Sento
gli oltre 25 anni passati in carcere non come una vergogna, né come un sogno
maledetto. A volte ho quasi amato queste celle, queste tombe di morti viventi,
solo grazie allo studio e alla pratica dello Yoga ho potuto incontrare me
stesso, come direbbe Karl Gustav Jung: “Ho
potuto conoscere la mia Ombra, e fare in modo che questa non avesse più la
meglio sul mio sé, e sondare quel luogo misterioso dove nessuno può
accompagnarci: l’anima”. Così, il 4 febbraio 2003, ho deciso di chiudere
per sempre con il crimine e l’ho fatto per davvero!
Incontrare
la propria Ombra non è semplice né piacevole, tutt’altro. Chi ha studiato e
amato il pensiero e gli studi di Jung sa a cosa mi riferisco, lo stesso Jung ha
descritto la sua Nekia in maniera
affascinante. Anch’io, amandone moltissimo il pensiero, ho cercato di seguire
un’autoanalisi, una mia personalissima Nekia.
Ricordo perfettamente l’incontro-scontro con la mia Ombra. Confesso che è davvero difficile, forse impossibile per me
riuscire a descrivere il fenomeno che ho vissuto, ma voglio provarci perché mi
piacerebbe che il lettore si sforzasse di capire parte del mio vissuto
interiore. Per la prima volta nella mia vita è stato come se la mia persona si
sdoppiasse, non nel senso di una scissione dell’Io, ma come se Augusto fosse un
individuo estraneo e incontrasse l’Augusto reale. E’ come se una persona
normale e estranea m’incontrasse e mi vedesse
per quello che ero e sono.
È
stato un incontro dolorosissimo per me, ho provato vergogna e paura per quello
che ero e per quello che ho commesso in passato. È stato come se avessi
incontrato un “mostro” e scoperto che quel “mostro” ero proprio io, solo che
invece di guardarmi con i miei occhi e valutarmi usando i miei schemi mentali
consolidati negli anni come avevo sempre fatto, giustificando i miei crimini
mediante meccanismi di difesa e appoggiandomi a pseudo-valori tipici di chi ha
ucciso, ho avuto la possibilità di valutarmi e giudicare come fanno le persone
che vivono seguendo norme e valori condivisi dalla loro maggioranza, e che non
hanno mai commesso reati né omicidi.
È
stata l’esperienza più brutta e sconvolgente della mia vita. Ho avuto un
rigetto, così intenso, di me stesso, che ho tentato di sopprimermi. Ho infilato
la testa in un sacchetto di platica e ho aperto il gas del fornellino, e mi ha
salvato un agente. Mi sono ripreso in infermeria dopo alcuni massaggi cardiaci.
L’incontro con me stesso è stato molto doloroso e sconvolgente. Dopo tale
episodio, ho avuto un’ispirazione poetica dovuta in parte al mio attuale
innamoramento, e al periodo molto particolare, infatti, ho scritto alcune
poesie, ho cominciato a dipingere, cosa che mi affascina moltissimo e mi fa
davvero “evadere” dalla mia cella.
Sono
detenuto quasi ininterrottamente dal 10 gennaio 1991. Dalla mia cella
d’isolamento ho visto la diretta TV di Emilio Fede che annunciava la Guerra del
Golfo. Dal 9 settembre ‘95 al 6 giugno ‘96 sono stato libero, scarcerato per
decorrenza dei termini di custodia cautelare, ma avendo scontato altre due
detenzioni di dieci mesi ciascuna nel 1984 nel carcere di Latina e nel 1985 nel
carcere di S. Maria C.V., e i tre anni di liberazione anticipata già ottenuta
per il mio buon comportamento intramurario, raggiungo ventinove anni di carcerazione
scontata. Ma non è finita.
Quel
giorno fui catturato con altri miei ex amici in via S. Lucia a Mondragone, in
casa di Gemma Marotta, madre di Michele Siciliano e suocera di un mio ex
affiliato, Mario Sperlongano, alias o’nasone
e Tavernello. Eravamo in guerra con i Casalesi, il Clan,
c’erano stati già alcuni morti in entrambi gli schieramenti, quindi eravamo
sempre armati fino ai denti e sempre pronti per uscire a uccidere i nostri
nemici, oltre a dedicare intere giornate a dare la caccia a qualche Casalese o
loro alleato che vivevano nei paesini confinanti con Mondragone.
Perché,
su sollecitazione del mio caro amico e legale di fiducia, Avv. Filippo
Barbagiovanni Gasparo, ho accettato di scrivere un libro sulla mia vita? Sono
stati molti gli scrittori e i giornalisti, Saviano, Cantone, De Rosa,
Barbagallo, Di Fiore, ecc., che negli ultimi anni hanno raccontato parte della
mia vita privata e criminale, senza avermi mai incontrato o conosciuto di
persona, tranne il dottor Cantone. Hanno scritto fatti riferiti da altri e
inerenti ai miei reati, così vorrei provare a mettere un po’ d’ordine,
raccontando la verità storica e processuale da protagonista di quelle vicende,
che conosco, sicuramente, meglio di tutti.
Voglio
però precisare che quando utilizzerò termini quali boss, capi zona, capi clan
ecc…, anche con riferimento a me, lo farò senza alcuna deferenza o auto o etero
compiacimento, perché ormai fanno parte del linguaggio popolare e
giornalistico. Non mi sono mai sentito un boss né definito tale e non penso che
i molti mafiosi, camorristi, ‘ndranghetisti, d’ora in poi camorfisti, definiti tali dai media, boss lo siano mai stati e lo
siano ancora.
Camorfisti e camorfismo sono neologismi di mia
creazione, il primo racchiude mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti, il secondo
la mentalità mafiosa, camorristica e ‘ndranghetistica anche se, ovviamente, vi
sono differenze tra le tre mafie, ma sostanzialmente la mentalità camorfistica è quella che si discosta
dalla mentalità della legalità.
Ritengo che i veri boss siano
uomini potenti che riescono a rimanere nell’ombra senza mai comparire, oppure
quelli che pur sfiorati da numerose indagini della magistratura restano immuni,
anche quando sono accusati da decine di pentiti, intercettati durante
conversazioni più che compromettenti ma che qualcuno sbianca, ripresi in
filmati a pranzo o in riunioni con criminali liberi e latitanti, ma non
finiscono mai in carcere e sono così potenti da poter decidere financo le sorti
dei Governi o far emanare leggi ad hoc.
Chi
mi ha conosciuto bene sa che non ho mai trattato i miei ex-amici di clan come
dei soldati o come degli affiliati, ma sempre e soltanto come amici veri. Anche
se, tardivamente, ho compreso che in certi contesti parlare di amicizia o voler
bene a qualcuno non è possibile. Dove c’è il denaro, il potere e vige
l’ipocrisia, e tutti aspirano a diventare capi, è più facile parlare di
tradimento e di opportunismo che di amicizia.
Nietzsche
scrisse: “Infedeltà condizione per essere
maestri. Non serve a nulla: ogni maestro ha un solo discepolo – e questo gli
sarà infedele – perché anch’egli è destinato a essere maestro”.
Se
si ripercorresse l’intera storia del crimine italiano e internazionale, si
costaterebbe che i capi sono stati quasi tutti uccisi, traditi e/o venduti allo
Stato, dai loro uomini più fidati. Nella mia Provincia è accaduto ad Antonio
Bardellino, ucciso da quello che era ritenuto il fratello, Mario Jovine, non
senza la complicità di altri uomini che si spacciavano per estimatori e suoi
fedelissimi, Enzo De Falco, Sandokan. Si può divenire traditori in tanti modi,
non soltanto diventando collaboratori di giustizia.
Ritengo
che la lotta ai vertici delle mafie, il cosiddetto quarto livello, sia ferma,
quasi paralizzata, e nonostante gli enormi sforzi quotidiani dei Magistrati e
delle Forze dell’ordine, di una modesta parte dei politici onesti, e
soprattutto la partecipazione attiva dei moltissimi giovani che hanno aderito
alle varie associazioni nate all’indomani delle stragi, in primis “Libera” di don Ciotti, esistono ancora
delle lobby molto potenti, che rendono vano ogni tentativo di arrivare ai veri
capi criminali e non solo a decapitare la piovra, ma anche a scoprire i
mandanti occulti delle stragi degli anni ’90.
Se
qualcuno non accenderà la luce per far chiarezza sui poteri occulti che
affliggono il nostro Paese, il buio ci renderà tutti ciechi, più di quanto,
purtroppo, già ci ha resi ma, sia chiaro, io stesso, purtroppo, non conosco
l’interruttore per disvelare una volta per tutte questo intreccio
inestricabile.
Non
amo pensare al futuro, preferisco vivere giorno dopo giorno, forse perché
pratico Yoga da anni e ho imparato a vivere così. Non mi sono nemmeno posto il
problema di come mi ricorderanno i miei compaesani anche perché, dopo oltre 25
anni di carcere e di completa mancanza di rapporti con loro, mi sento uno
straniero in patria, e comunque, ognuno potrà ricordarmi come desidera farlo.
Certo
il mio ricordo non potrà mai essere univoco per tutti, anche perché ci sono
persone che mi hanno conosciuto da ragazzino o da studente e per loro rimarrà
sempre, spero, quel ricordo che niente potrà scalfire nella loro mente. Altri mi ricorderanno come un criminale
avendomi conosciuto sotto queste spoglie e altri come uno dei tanti camorristi
vissuti nei Mazzoni.
Oggi
però non sono più né lo studente, né il criminale né il camorrista, ma un uomo
di circa 53 anni con 25 anni di carcere alle spalle e tanta voglia di vita.
Quanto al futuro, spero con tutto il cuore di poter essere un buon padre per i
miei due amatissimi figli e soprattutto un ottimo nonno per la mia adorata
nipotina, Sara. Vorrei vivere come una qualsiasi persona normale. Casa, lavoro,
famiglia e vacanze, sperando di potermelo permettere.
“Sono entrato in carcere come un
a-nimale e grazie alla sofferenza, alla solitudine, allo studio, allo yoga e
soprattutto all’incontro con persone colte e umane ne uscirò come un animale
sociale”
(Augusto La Torre)
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