Duplice omicidio nel Casertano, fermato il
figlio per omicidio. Graziano Afratellanza, 40 anni, al termine di un
interrogatorio, e' destinatario di un provvedimento di fermo di pm per duplice
omicidio. Per il procuratore di Napoli Nord, Francesco Greco, ci sono gravi
elementi di prova di una sua reponsabilita' nell'uccisione del padre Francesco,
82 anni, e della madre Antonietta Della Gatta, 79 anni, avvenuta con un
coltello nella loro abitazione di Parete. A dare l'allarme, la nuora delle
vittime che abita al piano di sopra.
Dai primi accertamenti, l'omicidio
della coppia e' avvenuto con colpi inferti al collo con un coltello dalla lama
lunga 14-15 centimetri. L'aggressione alle due vittime sarebbe avevnuta mentre
i coniugi dormivano la note corsa. Il coltello ritrovato nel pomeriggio lungo
il ciglio di una strada di Parete, a un chilometro dell'abitazione dei coniugi,
e' compatibile con le ferite ritrovate sul corpo dei due anziani. Questa
mattina a trovare i corpi dei due anziani era stata la moglie di un altro
figlio, Pietro, famiglia che abita nello stesso stabile delle vittime in via
Scipione l'Africano a Parete, a un piano superiore. Graziano Afratellanza era
l'unico dei figli a vivere ancora con i genitori. La donna ha immediatamente
chiamato i soccorsi, ma oramai non c'era piu' nulla da fare per i suoceri. La
coppia e' stata trovata in una pozza di sangue in camera da letto. Il figlio
Graziano, all'arrivo dei carabinieri, gia' era sparito a bordo della sua auto,
una Passat. Una famiglia di agricoltori quella dei Afratellanza, 3 figli, molto
conosciuti nella piccola comunita' di Parete. Anche Graziano si interessava dei
terreni di proprieta' della famiglia. L'uomo era in cura presso l'Asl da una
decina di anni per gravi problemi psichici ed era stato sottoposto anche a
trattamento sanitario obbligatorio. Piu' volte il 40enne ha tentato il
suicidio. Tanti i vicini di casa accorsi sul posto questa mattina, appena
appreso della tragedia. Secondo una vicina che conosceva molto bene la famiglia,
Graziano era appellato da tutti a Parete come "il pazzo" per la sua
instabilita' e tutti conoscevano i suoi problemi. Con un carattere allegro e
molto socievole, invece, e' stato descritto il padre Francesco, amante del
ballo. "Una tragedia per la nostra comunita' - l'ha definita il sindaco di
Parete, Gino Pellegrino - conoscevo molto bene Francesco e la moglie, una
famiglia di lavoratori e molto umili. Brave persone. Graziano lo conoscevo
meno, e' un ragazzo molto chiuso. Ho saputo che piu' volte si era rifiutato di
prendere le medicine". A coordinare le indagini, la Procura di Napoli Nord
con il pm Valeria Esposito. Questa mattina, da un primo esame autoptico, il
medico legale non e' riuscito a stabilire con certezza l'ora del decesso.
ALTRI FATTI DI CRONACA
Accadde a
Parete nel 1955
30 anni al
giovane che uccise 3 persone
AVVELENO’ LA
MOGLIE( CHE ASPETTAVA UNA BAMBINA ) E IL
FIGLIO - POI UCCISE IL FIDANZATO DELLA
COGNATA PERCHE’ VOLEVA SPOSARLA -
Ritenuto sano
di mente la Corte di Assise di S. Maria C.V. lo condannò all’ergastolo. – Pena
ridotta in appello. Veleno nel latte –
Caserta - Del “mostro” venticinquenne Pasquale
Maione, da Parete, pochi ricorderanno i suoi tragici e
dissennati gesti. Si trattava di un “folle reo” ( perché poi… alla fine
confessò), oppure di un “reo folle”,
come dicono gli strizzacervelli? A leggere le cronache dell’epoca pare
rivedere davanti agli occhi le scene dell’”Elogio della Follia” di Erasmo da
Rotterdam. Un delitto crudele, barbaro, inumano, eseguito con una lucidità da
un perfido mostro. Un delitto da pena di
morte… insomma. Buon per lui che era stata abolita 15 anni prima dei suoi
crimini.
L’uomo,
follemente innamorato della cognata Maddalena Comune
( all’epoca 18enne )
avvelenò con dell’anticrittogamico la moglie Anna Comune di 24 anni (
che, tra l’altro, aspettava una bambina ) e il figlioletto
Luigi di di 4 masi. Poi tese una imboscata al fidanzato della cognata Tobia
Clausino, di anni 18, e mentre questi, in bicicletta, attraversava una strada di campagna gli sparò
due colpi di pistola.
Teatro di questa
triste e squallida vicenda, furono le
zone dell’agro aversano, tra Parete e
Lusciano, dall’aprile del 1955, al marzo del 1962, giorno in cui fu emessa la sentenza di
appello. La Corte di Assise del Tribunale di S. Maria C.V. aveva condannato il
“mostro” alla morte bianca infliggendogli un
ergastolo per i suoi 4 omicidi: la moglie, il figlio, la nascitura e il
fidanzato della cognata. Mentre la Corte di Assise di Appello di Napoli,
condannò poi, in via definitiva
il Maione – con il ricoscimento delle attenuanti generiche – alla pena
complessiva di anni 30 di reclusione.
Ma prima di
addentrarci nei meandri della truce storia ci domandiamo, ma è normale un
individuo che progetta un tale disegno criminoso? Quali probabilità di impunità? E come avrebbe potuto
raggiungere il suo scopo, lasciando
tracce dei suoi delitti in ogni dove? Ma dove può portare la passione,
l’amore per una donna? A delitti come
questi? Ad altro? E… per dirla col poeta
“L’amore piace per la gioia e per il dolore, per la speranza e per la
delusione, per la fortuna e per la sventura, perché è l’unica passione in cui
tutto ha valore”. ( Stendhal).
Nei miei oltre 40
anni di cronista giudiziario, però, nonostante abbia seguito migliaia di
processi con moventi aberranti questo mi sembra veramente da “guinnes”
dell’orrore. Aveva ragione, allora, il
grande avvocato Alfredo De Marsico se al termine della sua arringa, in difesa della vittima di Aurelio Tafuri (
un giovane massacrato e gettato nel Volturno )
allorquando affermò:”Uomo, guardati dall’uomo, capace di azioni più
crudeli delle belvi”.
Sulle prime
“l’orco”, tratto in arresto dai
carabinieri di Aversa, negò ogni
addebito. Ma il rapporto partito dalla stazione di Parete lo inchiodò alla sue
responsabilità. “L'accusato",
tratto in arresto nega. Ma ha ammesso di avere tentato una volta di attuare il
criminoso disegno. Un “caso” di delinquenza, messo in atto con incredibile
crudeltà, che potrebbe
portare ad un processo forse unico nella storia giudiziaria italiana,
avvenuto nel piccolo centro di Parete, è all'esame delle autorità inquirenti”.
“Il protagonista –
scrive il maresciallo comandante la Stazione di Parete - la cui personalità non si sa ancora se
definire “losca” o “folle”, ma certamente assassina, è il 25enne Pasquale Maione, la cui moglie
Anna Comune, di 24 anni, mori la notte del 3 aprile scorso; la giovane era in
stato interessante e il suo decesso
seguì di pochi giorni quello del
figlio Luigi, di 4 mesi,
attribuito a paralisi infantile. La donna morì
tra atroci spasimi e sua madre Maria Luisa Pellegrino, ricordò che
durante il giorno aveva assaggiato una pozione di camomilla preparatale dal marito,
rifiutandosi però di berla tutta poiché
“puzzava come fosse vetriòlo”.
Alcuni vicini di
casa riferirono inoltre, che Pasquale Maione, spesso si
recava in casa del suocero Luigi
Comune, ( quando la moglie era in campagna )
e lo si vedeva trattenersi e spessissimo
confabulare con la cognata Maddalena alla quale, giorni prima, aveva
indirizzato una lettera nella quale, tra l'altro, le confessava di essere
sempre e più che mai innamorato di lei e che tutto quello che era avvenuto lo
aveva fatto perché intendeva sposarla.
Perquisita
l’abitazione della ragazza ( cognata del Maione
e già fidanzata con un giovane del luogo), veniva trovata la lettera
incriminata. Nello stesso tempo venivano fermati la ragazza e Pasquale Maione;
ma le indagini non si fermarono qui. Negli inquirenti nasceva il sospetto che
alla morte del piccolo Luigi Maione e della madre di questi, il Maione non fosse estraneo.
A quanto si apprese, l'accusato, messo a confronto con la
suocera, ammise di aver somministrato mesi addietro del
“solfato di rame” nei pasti della moglie e del figlio, di aver messo del veleno
nel latte, ma continuava a negare di aver avuto intenzione di
uccidere.
Per fugare i
sospetti, il capo famiglia, organizzò una cena alla quale prese
parte anche Tobia Clausino, il fidanzato
ventitreenne della cognata Maddalena,
sorella di Anna. Il Maione, però, benché
atteso, non si presentò. Il giovane Clausino, dopo aver cenato in casa della
fidanzata, si avviò in bicicletta verso
Lusciano, suo paese di residenza, quando, poco distante dal bivio
“Parete-Trentola”, venne raggiunto alle
spalle da alcuni colpi di pistola. Raccolto da alcuni passanti; veniva
trasportato a Napoli e quindi ricoverato all'ospedale dove morì dopo qualche
giorno. Chi l’aveva ucciso e perché? Il paese è piccolo e la gente mormora… I
carabinieri riuscirono – non senza fatica – a sbrigliare l’intrigata matassa.
Egli era – come
detto - fidanzato di Maddalena Comune e nel mese precedente era
giunta alle orecchie dei carabinieri
voce che Pasquale Maione — oltre a non essere affatto prostrato e addolorato per la morte della moglie e del
figlio, deceduti entrambi a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro, ( la
moglie, il 4 aprile ed il piccolo il 29
marzo) da qualche giorno lo si vedeva spesso circuire la giovane cognata.
Messo nuovamente
sotto torchio, e contestategli tutti gli
indizi che i carabinieri avevano raccolto il Maione, finalmente, confessò l’orrendo crimine. “Sì. Ho versato il veleno nel latte di mia
moglie… ma non avevo intenzione di uccidere anche mio figlio… è stato un errore”. Gli inquirenti ipotizzarono ( ma in
parte avevano ragione ) che complice del duplice delitto fosse stata la cognata
con la quale l'assassino coltivava una tresca.
Al Maione,
però, non era stato ancora contestato
l’omicidio del giovane Clausino, anche perché nessuno avrebbe potuto immaginare
che per la sua passione amorosa, un
onesto lavoratore dei campi, si fosse
trasformato in un bieco assassino,
uccidendo la moglie che stava per partorire una bambina, il figlio di 4
mesi e addirittura il fidanzato della
cognata.
I fatti di questo
delitto - che costituisce uno dei
più efferati del dopoguerra - ebbero inizio il 29 marzo del 1955, e si
deve alla sagacia di un coraggioso sottufficiale dell’arma, il comandante della stazione dei carabinieri
di Parete, Mar. Giuseppe Galletta, se si giunge ad un epilogo nel quale trionfò
la giustizia. Si pensi al tessuto sociale e all’epoca in cui si svolse il
delitto, alla omertà della zona, alla presenza di bande e delinquenti di ogni
risma che infestavano ( e purtroppo infestano)
l’agro Aversano.
Il solerte
comandante non si fermò di fronte alle
risultanze peritali. Il medico condotto Dr.
Salvatore Falco, infatti, aveva diagnosticato per il piccolo Luigi “un decesso da eclampsia infantile”. Continuò le sue indagini e raccolse “vox popoli” una voce sulla morte del bambino
che ritenevano fosse stato avvelenato.
Mentre i
carabinieri svolgevano le loro indagini
sulla misteriosa morte del bambino, la sera del 3 dello stesso mese, alle
21.10, un'auto che passava in località “Santa Caterina”, lungo la Provinciale
che da Parete reca a Napoli, raccolse, gravemente ferito, un giovane,
Tobia Clausino, da Lusciano, che fu ricoverato all'ospedale dei Pellegrini
perché attinto da due colpi di pistola al torace, con lesione di un polmone. Il
giovane, interrogato vin punto di morte
dichiarò che, mentre percorreva la via in bicicletta, aveva udito i
colpi e s'era abbattuto, senza poter indicare altro. Ma i carabinieri di Parete
accertarono che, in quel giorno, in quella via, vi era stato il Maione. Un altro elemento che li orientò fu
che il Clausino era fidanzato con Maddalena Comune, cognata del Maione, la
quale, secondo le voci, era da un anno l'amante del cognato.
Il Maione,
fermato, non solo si confessò autore del ferimento, ma aggiunse di avere agito
cosi perchè temendo che il Clausino gli
portasse via la ragazza — con cui convenne d'avere una relazione - aveva voluto vendicarsi. Intanto il mattino
del 4 aprile, all'ospedale degli incurabili di Napoli, moriva improvvisamente
anche la moglie del Maione. Questa morte, giudicata normale dai sanitari,
aumentò invece 1 sospetti dei carabinieri e il maresciallo Galletta compì una
perquisizione nella casa del Maione trovandovi una lettera da lui scritta
all'amante; lettera in cui egli, pur esprimendosi genericamente, diceva di aver ormai
fatto il necessario per realizzare le sue promesse e i comuni sogni.
Da questa rapporto
epistolare si svilupparono nuove e
serrate indagini ed il conseguente l'ordine della Procura della Repubblica di
Santa Maria Capua Vetere, di esumare il
cadavere della donna per una perizia
tossicologica. Ma ormai la stessa perizia era stata in gran parte superata dalla spontanea ed
ampia confessione dall'accusato che, presente il comandante della tenenza di Aversa, Ten.
Antonio Messina, narrò di come ideò e
come, poi, attuò il suo piano. La giovane Maddalena, sorella della moglie, di
cui egli si era pazzamente innamorato, ogni tanto gli diceva che, avendo ormai
lei una certa età, i genitori e i suoi quattro fratelli le consigliavano di non
continuare a respingere le numerose offerte' di matrimonio. Allora, per evitare
che Maddalena si maritasse, decise di sposarla lui.
“Il 26 marzo —
spiegò l’assassino nella sua orribile confessione — nella notte, grattai all'interno dei recipienti di rame e misi la polvere in una
bottiglia di latte che sapevo destinata a mia moglie; il mattino mi recai
regolarmente al lavoro in campagna, ma verso mezzogiorno, stimolato dalla
curiosità, per vedere che. cosa fosse accaduto, ritornai a casa. Niente. Anna non aveva avvertito nessun
disturbo. Attesi altri tre giorni e il 29, improvvisamente, mio figlio si sentì
male e poco dopo mori. Allora capii che la madre aveva fatto, bere al bambino
una parte del latte. Poi, il 4 aprile, fu mia moglie a sentirsi male, insieme ai suoi genitori l'accompagnai a
Napoli, all'ospedale degli Incurabili. Poiché il medico di Parete aveva parlato
di disturbi da gravidanza, essa fu ricoverata nel reparto ostetrico; ma là i
sanitari, dopo averla visitata,
esclusero che si trattasse di gravidanza e la trasferirono a un altro
reparto di medicina dove, in serata, morì”.
A questo
punto, gli stessi carabinieri, pur
allibiti dal racconto, continuarono a
scandagliare nella vita dei protagonisti,
per giungere al vero movente del duplice delitto. Fu convocata quindi la
“cognata-amante”, Maddalena, sorella della morta e posta a confronto con il reo
confesso. “Sapevate del piano di vostro cognato?”, chiese il Ten. Messina ». E
la donna, fra lo stupore dei militi, disse: “Sì”. “E…non interveniste per avvisare vostra
sorella?... incalzò il Ten. Messina.
“Non potevo - rispose lei -
perchè lui (e guardò l'amante) mi aveva
detto chiaramente, ed era uomo da farlo, che se avessi parlato mi avrebbe
uccisa”.
Pasquale Maione fu
tratto a giudizio per triplice omicidio
aggravato, mentre Maddalena Comune, per correità nell’omicidio della sorella e
del piccolo Luigi. La Corte di Assise del Tribunale di S. Maria C.V. lo
condannò, come detto, all’ergastolo
assolvendo la ragazza dalla complicità. Quel giorno, narrano le cronache dell’epoca, nell’aula
della Corte di Assise, gremita fino
all’inverosimile, all’atto della lettura
della sentenza, che condannava il “bieco
assassino”, alla morte bianca, con un timbro sulla sua scheda
nella matricola del carcere con
“fine pena mai”, scoppiò un fragoroso applauso.
Il giudizio di Appello svoltosi 7 anni dopo i delitti, vide la richiesta della conferma della
condanna all’ergastolo, da parte della pubblica accusa, per il Maione, ma la Corte,
dopo le arringhe difensive, che
invocarono “pietà” per quel misero bracciante agricolo, e dopo 5 ore di permanenza in Camera di Consiglio,
concesse le attenuanti generiche e lo condannò soltanto a tren’anni di galera.
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