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martedì 1 maggio 2018


 Agnese Moro, Nadia Bizzotto e Carmelo Musumeci al Teatro Montegrappa con la loro battaglia contro il carcere a vita.
Un dibattito aperto


Ergastolo: il senso di una pena senza fine
Oggi in Italia sono 1500 gli ergastolani ostativi. È giusta la condanna senza termine? In che misura la detenzione può riabilitare?

di Francesca Ambroso

Qual è il vero ruolo della giustizia? Ha senso una condanna a vita? Qual è il valore della dignità umana? In che misura una pena può riabilitare un criminale?
Sono tante le domande emerse dall’incontro-dibattito di venerdì scorso al Teatro Montegrappa moderato dal giornalista di Famiglia Cristiana Alberto Laggia. Ospiti l’ergastolano Carmelo Musumeci, la rosatese Nadia Bizzotto, responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da Don Oreste Benzi, e Agnese Moro, ospite d’eccezione che ha portato la sua testimonianza intima e personale sulla vicenda vissuta con la morte del padre. “I mandanti e assassini di mio padre sono stati individuati e condannati -ha affermato Agnese Moro- ma  questo non mi ha liberata dal dolore. Ho trovato davvero la pace solo quando ho perdonato”. In questo senso Agnese Moro appoggia oggi la battaglia a favore dell’abolizione della pena dell’ergastolo che sta portando avanti Nadia Bizzotto, da anni impegnata come volontaria nelle carceri, specie fra i detenuti a vita, gli ergastolani ostativi, i cosiddetti “sepolti vivi” che scontano la condanna per reati associativi e hanno rifiutato la via della collaborazione. Per loro, secondo l’articolo 4bis dell’Ordinamento Penitenziario, le porte del carcere non si apriranno mai, neanche dopo 20, 30 o 40 anni.
È tra questi carcerati che Nadia ha incontrato Carmelo Musumeci.
È stato proprio lui ad aprire la serata con il racconto della sua vita, dai primi passi nel mondo della malavita, complice un’infanzia difficile in una terra complessa, fino al pentimento all’impegno di intraprendere una battaglia che oggi lo porta a testimoniare lo stato morale in cui versano i 1500 ergastolani ostativi condannati a quella che lui definisce una “pena di morte viva”. Dopo 25 anni di carcere ostativo Carmelo ha ottenuto su istanza la semilibertà. Nel frattempo ha conseguito 3 lauree ed ha scritto diversi libri. Ormai da anni si batte per l’abolizione dell’ergastolo a favore di forme di pena alternative che puntino al recupero dei criminali.
Nel suo libro “Angelo Senza Dio” è raccontato il suo incontro con Nadia Bizzotto. “Quello che veramente mi ha cambiato -ha raccontato Musumeci- sono state le relazioni sociali. L’incontro con Nadia, Agnese Moro e con il suo messaggio di perdono, è stato devastante.  Avere la consapevolezza che c’era qualcuno che aveva fiducia in me, nonostante il mio vissuto, mi ha spiazzato. È l’amore sociale che fa uscire il vero senso di colpa. È questa la pena terribile”.
Quando entrai per la prima volta in un carcere -ha raccontato Nadia Bizzotto- mi resi conto che quelli rinchiusi là dentro erano uomini che soffrivano profondamente. Nelle carceri oggi ci sono più di cento reclusi da oltre trent’anni. La scienza dimostra che nel tempo le persone cambiano. Vanno recuperate, come dice l’articolo 27 della Costituzione. Se al male si aggiunge altro male lo si moltiplica. Quello che oggi spinge la mia attività è portare fuori dalle sbarre la voce di quei sepolti vivi”.
Una platea attenta e silenziosa ha ascoltato con profondo rispetto per più di due ore le ragioni di una battaglia che ha fatto incontrare tre persone profondamente diverse ma unite da uno stesso obiettivo.
Difficile tirare conclusioni. Impossibile pretendere un unico punto di vista.
Giustizia, libertà, perdono verso gli altri e verso sè stessi, pentimento, possibilità.
Temi forti, profondi, che non smettono di interrogare le coscienze.
Su questo si è riflettuto, senza condanne e senza giudizi.
Su questo va avanti un dibattito ancora sempre aperto.



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