“Sono
entrato in carcere come un a-nimale e grazie alla sofferenza, alla solitudine,
allo studio, allo yoga e soprattutto all'incontro con persone colte e umane ne
uscirò come un animale sociale”.
Augusto La Torre
Da criminale
a criminologo
La vera storia di Augusto La Torre
la sua autobiografia narrata nel libro
“Il Camorfista”
Augusto
La Torre è stato un vero capo camorrista, a soli 18 anni subentrò al proprio
padre Tiberio nella gestione dell'ex Clan La Torre di Mondragone. A 20 anni era
già il capo zona di Antonio Bardellino, quest’ultimo capo indiscusso
riconosciuto da tutti, amici e nemici, egemone su l’intera Provincia di
Caserta, in molti paesi dell’Hinterland Napoletano, a Napoli città e anche
nell’area del Salernitano. Bardellino è stato il vero creatore nonché unico
capo di quello che, in seguito alla sua uccisione (lupara bianca) è diventato
tristemente famoso come il Clan dei Casalesi.
A 23 anni, Augusto, e altri dieci
camorristi legati a Bardellino, vennero battezzati
con il rito della pungitura, ossia l'affiliazione a cosa nostra siciliana
di cui Bardellino faceva parte assieme ai Nuvoletta di Marano, a Michele Zaza e
ad altri camorristi-mafiosi (camorfisti) Campani. Grazie ad Augusto il Clan
Bardellino si estese anche nel Basso Lazio e nella Ciociaria estendendo i
tentacoli fino alle porte di Roma. Oltre a Mondragone, suo paese natale,
Augusto, dettava legge in molti paesi della Terra di Lavoro, il territorio dei
Mazzoni, dei Casalesi.
Augusto ha personalmente ucciso circa 40
uomini e molti altri ne ha fatto uccidere come mandante. Omicidi commessi con
modalità efferate, sadismo, necrofilia, completo distacco emotivo,
deumanizzazione delle vittime, ridotte al rango di oggetti materiali, meri
ostacoli all'esecuzione di disegni criminali superiori.
Ha guadagnato miliardi di vecchie lire con
le estorsione, lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (mai quelli tossici),
la gestione degli appalti pubblici, le compartecipazioni in attività economiche
lecite. Di tutte queste ricchezze nulla gli è rimasto. Una cospicua parte è stata
confiscata dallo Stato, un’altra buona parte l’ha consegnata lo stesso Augusto
quando ha deciso di collaborare, ma la parte più consistente Augusto l’ha spesa
per divertirsi, per aiutare i propri ex affiliati e moltissimi detenuti
incontrati durante la detenzione. Spesso si trattava di detenuti di altre
regioni d’Italia e anche stranieri mai visti prima, i quali si trovavano in
serissime difficoltà economiche e per consentire loro di effettuare colloqui
con figli e mogli Augusto ha regalato loro auto, soldi e vestiario senza mai
chiedere nulla in cambio. D'altronde, il dottor Raffaele Cantone, magistrato
della Direzione Distrettuale Antimafia con il quale Augusto ha iniziato la collaborazione,
nel suo libro Solo per giustizia ha parlato anche dei moltissimi e costosissimi
regali fatti da Augusto ad altri detenuti.
Dal 2003 sopravvive grazie alla pensione
della propria madre, la quale gli manda ogni mese un vaglia di 250 euro (300 a
Natale e a Pasqua) e con la mercede che percepisce quando lavora in carcere,
che solitamente si aggira intorno ai 90/100 euro. Metà di questi soldi che
riceve dalla madre e dal salario di lavorante li spende per acquistare testi
universitari.
A seguito di numerosi e reiterati arresti
che coinvolsero per l’ennesima volta gli anziani e amati genitori, il fratello,
il cognato, la ex moglie e per la prima volta anche la sorella, stimata
professoressa estranea a ogni affare illecito dell’ex Clan La Torre, il 4
febbraio 2003, Augusto decise di collaborare con la giustizia e di chiudere
definitivamente con la criminalità. La decisione fu molta sofferta, ma in gioco
vi era soprattutto il futuro dei suoi due adorati figli, Tiberio e Antonio,
ormai adolescenti e che stavano cominciando a idealizzare la figura paterna
come era accaduto allo stesso Augusto.
Va detto che quando Augusto decise di
collaborare non era accusato di nessun omicidio, ma avrebbe dovuto scontare 22
anni di carcere dei quali ne aveva già scontati 14, perciò non vi è stato
nessun calcolo di convenienza come qualcuno potrebbe ipotizzare o ha vigliaccamente
ipotizzato, visto che dell’ex Clan La Torre si erano pentiti, nel 2002, Michele Persechino il quale aveva ricoperto un
ruolo molto marginale e non aveva mai commesso reati di sangue e quindi non
poteva assolutamente arrecare problemi ad Augusto e Stefano Piccirillo, il
quale dal 1995 era scappato poiché temeva che Augusto volesse ucciderlo (non
era vero, era una sua paranoia!) ed aveva commesso solamente due omicidi con
Augusto, ma essendo l’unico potenziale accusatore non avrebbe potuto far
condannare Augusto ritenuto che per formare una prova valida durante il
processo ci vogliono almeno tre collaboratori.
La collaborazione con la giustizia di
Augusto è ritenuta importantissima e lui è ritenuto uno dei collaboratori più
importanti d’Italia, come più volte relazionato dai Magistrati della Direzione
Distrettuale Antimafia e, pur subendo la revoca del programma di protezione per
una violazione commessa all’inizio della propria collaborazione, ha continuato
a collaborare ed è stato chiamato a testimoniare in veste di pentito in oltre 300 udienze, risultando
sempre attendibile e dimostrando con i fatti che la decisione di chiudere col
passato è sempre stata genuina. Ancora oggi, a distanza di ben 11 anni viene
ancora citato in veste di collaboratore. Non credo di esagerare se asserisco
che Augusto sia l’unico collaboratore di giustizia che non abbia mai ricevuto
soldi, non abbia mai ricevuto il rimborso per le spese legali e nemmeno i
benefici premiali come previsto dalla legge 203/91, n° 45 (la legge premiale
per i collaboratori di giustizia), mentre tutti gli altri hanno ricevuto e
ricevono un sussidio mensile di circa 400 euro, i difensori vengono pagati dal
Servizio Centrale di Protezione e dopo pochissimi anni di carcere possono
beneficiare dei permessi premio e della detenzione domiciliare, tutte cose che
ad Augusto non sono mai state concesse!
Augusto si è anche pentito, nel senso che
ha rivisto criticamente la propria vita, che lo ha condotto ad occupare le
celle di una cinquantina di carceri italiane, Pianosa e Asinara comprese, e tre
olandesi, nelle quali ha trascorso circa 14 anni sottoposto al regime speciale
di cui all'ex articolo 41 bis (il famigerato carcere duro per i boss), al momento è detenuto da circa 27 anni,
quasi la metà della sua vita stessa, ed ha deciso di chiudere definitivamente
con il passato. Da allora, però, non è mai uscito, nemmeno in permesso premio!
In carcere ha conseguito due lauree, un
master in Scienze della Comunicazione, un ulteriore diploma come dirigente di
comunità, due diplomi di Informatica e altri titoli, alcuni encomi per il
comportamento corretto e l’impegno dimostrato nello studio e nel volontariato,
oltre alla passione e la pratica dello Yoga, della pittura e della poesia.
Conseguire due lauree non implica automaticamente
una nuova autorevolezza morale, culturale o, di per sé, una riabilitazione,
questo Augusto lo sa bene: però, considerando che chi finisce dietro le sbarre
normalmente, pensa soltanto ed ossessivamente ad uscirne il prima possibile,
Augusto, ha abbinato a questa comprensibile ossessione il desiderio di
ottimizzare l’enorme disponibilità di tempo per potersi evolvere e migliorarsi.
Ha modificato la propria scala di valori:
la cultura, l’istruzione, il lavoro, il rispetto degli altri e della legalità,
coniugati ad un nuovo senso della famiglia, depurato dall’inquinamento della
logica del Clan camorristico, al posto della violenta sopraffazione e della
totale assenza di umanità, finalizzati all’esercizio del potere sugli altri ed
al conseguimento di profitti di ogni genere e di vantaggi economici.
Nella ricostruzione della sua storia, per
come emerge da questo scritto, ha alternato racconti di vita personale e
criminale con dovizia e brutalità di particolari descrittivi, a riflessioni di
tipo psicologico, psichiatrico, sociologico, giuridico, filosofico, politico,
per necessità sintetizzate ma sempre molto pertinenti, e finalizzate ad una
migliore comprensione delle ragioni che da oltre un secolo inducono migliaia di
italiani, generalmente del meridione, a utilizzare decenni della propria vita,
ove non interrotta prematuramente, per lottare pervicacemente contro l’ordine
costituito, conseguendo profitti superiori alle manovre economiche di qualsiasi
stato occidentale.
Perché se è vero che una costante ed
efficiente lotta militare e giudiziaria contro le mafie è sempre necessaria, è
altrettanto indispensabile offrire ai loro soldati e capi, attuali o
potenziali, a partire dall’infanzia, un reale e credibile quadro di valori
alternativi, altrimenti sarà sempre e solo lotta armata e giudiziaria, quest’ultima
per sua natura, destinata ad arrivare quasi sempre a fatto compiuto e sempre
contro il braccio armato lasciando immuni i colletti bianchi e i politici
collusi.
Augusto non mira a guadagnare soldi, ma
sarebbe contento e soddisfatto se leggendo la sua storia i giovani italiani,
soprattutto quelli del meridione, facilmente prede dei tanti illusionisti (I boss), scegliessero di
vivere nella legalità e lottassero attivamente affinché anche nei comuni del
Sud le Istituzioni centrali investissero i fondi europei per costruire scuole,
per migliorare il livello d’insegnamento, per creare posti di lavoro, per
eliminare la mentalità dello scambio di voto, per portare avanti la
meritocrazia e per aiutare le associazioni che lottano contro le mafie.
Filippo Barbagiovanni Gasparo
legale di Augusto La Torre
( 1- Continua )
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