APERTURA
DELL’ANNO ACCADEMICO alla Unitre di Santa Maria Capua Vetere
LECTIO MAGISTRALIS
del Prof. Stelio W. Venceslai
ALLA UNIVERSITA’ DELLE TRE ETA’
La contesa fra il governo italiano e l’Unione
europea è in corso. Uno scambio di lettere fra due sordi che scrivono e parlano
ma non comunicano, continua.
Qui non si tratta di decidere chi ha ragione
e chi non ce l’ha. E’ un modo sbagliato di vedere le cose, perché quando sono
in gioco gli interessi, non c’è ragione superiore o diversa che possa
prevalere.
Da un canto c’è la Commissione, ormai in
agonia, perché la festa finisce a maggio, quando ci saranno le elezioni
europee, che rigorosamente applica le sue regole e i suoi criteri, badate
bene, negoziati, condivisi e
sottoscritti anche dal governo italiano.
Dall’altra parte c’è il governo giallo-verde
che intende dare una svolta a quella morta gora dell’immobilismo ventennale
italiano.
Gli uni parlano di sacri ed inviolabili
principi di bilancio, gli altri parlano della indistruttibile volontà popolare
che li ha portati al potere. Ovviamente, decidere chi abbia ragione è solo un
tentativo utopico.
Nell’Unione l’Italia di oggi, che punta i
piedi e cerca di fare di testa sua, è un vulnus
importante. L’Italia è uno dei sei Paesi fondatori, è un pezzo importante
dell’economia europea. Se l’Italia
sgarra di brutto, possono sgarrare tutti gli altri e, da un punto di vista
politico, i Paesi del patto di Visegrad hanno già sgarrato, ma non sulle
questioni di bilancio, solo a proposito dell’immigrazione.
Quindi, il caso Italia verrebbe a costituire
un precedente pericoloso, l’inizio di una strada in discesa. Con la Grecia è stato relativamente facile
costringerla al rigore: un grande , piccolo Paese, insidiato dai debiti (nascosti) e per la cui salvezza
(si fa per dire), si è speso molto di più di quanto non sarebbe costato
lasciarla andare per il suo destino, senza imporle rigori da fame. Cin
l’Italia, il problema è diverso, ed è soprattutto politico. Le questioni delle
percentuali di deficit sono importanti
ma, se vogliamo, molto minori di un collasso dell’intero sistema.
La parte italiana, forte di un consenso
elettorale imprevedibile, batte i pugni sul tavolo, pretendendo di essere
adottata. Il creditore ha sempre ragione, ma dipende dal debitore. Se il
debitore non paga, che fa? Va in causa? La questione è troppo delicata, quando
si tratta di Stati.
Quindi, obiettivamente, c’è una situazione di
stallo fra i due contendenti e non s’intravvede una soluzione di compromesso,
almeno al momento. Quando le posizioni si irrigidiscono, perdere la faccia è
grave. Lo è per la Commissione europea, perché alle prossime elezioni si
giudicherà se è stata capace, almeno, di far rispettare le regole che gli Stati
le hanno dato. Lo è per il governo italiano, perché se alle promesse fatte agli
elettori si viene meno, ci sarà un altro imprevedibile spostamento massiccio di
voti che creerà nuovi squilibri nella già confusa politica italiana.
Alla fine, sarà inevitabile arrivare a un
compromesso. Sono in gioco fattori troppo importanti. L’ipotesi di una
procedura contro l’Italia potrebbe essere l’ultimo orpello di una Commissione
in scadenza, ma un grido inutile. Di procedure contro l’Italia ce ne sono state
anche troppe, in passato e, se non ricordo male, le abbiamo perse tutte.
Abbiamo pagato ma, in fondo non è successo nulla. Una in più disturba,
certamente, ma non più di tanto.
Diverso
sarebbe se la risposta italiana fosse quella, già ventilata, di non approvare
il bilancio dell’Unione. Qui il braccio di ferro sarebbe disastroso perché
paralizzerebbe l’Unione.
D’altro canto, sovranismo imperante, se uno i
mezzi ce l’ha per difendersi, è giusto
usarli.
Il fatto vero è che nessuno accusa l’Italia
di violare i sacri principi, ma sono gli Italiani che accusano l’Europa di non
tener conto della diversità della situazione politica che si è determinata nel
Paese.
Governare è certamente ben diverso dal
comiziare. Le realtà che ogni giorno deve affrontare il governo italiano sono
molte, spesso imprevedibili e, diciamolo pure, tutte spiacevoli, dal ponte di
Genova alla prescrizione, dalla TAV alla lotta contro la corruzione, dagli
sgomberi per le occupazioni non legali
d’immobili all’immigrazione.
Discettare se
provvedere alle necessità sta dentro o fuori il cosiddetto “contratto di
governo” è patetico. Il contratto è un
programma, come tale suscettibile di tutte le variazioni possibili dettate
dall’esigenza di provvedere. D’altro canto, il cambiamento promesso, almeno
fino ad ora, è solo semantico: contratto
sta per programma, pacificazione fiscale per condono, lotta al precariato per
decreto dignità e così via. Almeno si
usano sostantivi italiani (ricordate il job
act di renziana memoria?).
La vera questione sulla quale il governo è
carente è quella degli investimenti. I soldi non ci sono e occorre
ridimensionare i programmi, ma i programmi almeno ci devono essere. Questa è
l’unica vera, carta da giocare a Bruxelles. All’Unione non importa nulla né dei
poveri né degli immigrati né delle banche: vogliono vedere cosa faremo dei
denari che intendiamo spendere per gli investimenti. All’Unione sanno bene che
del programma d’investimenti comunitari promesso da Juncker non s’è fatto
nulla.
Ma torniamo all’Italia. Occorre
controbilanciare le difficoltà della nostra situazione finanziaria con una
decisa e forte spinta verso gli investimenti, Con quali denari? Pochi e
maledetti, ma forse si trovano se gli investimenti sono tali da renderci
attraenti. Ma quali investimenti? In quali settori? Con quali innovazioni che
conducano al futuro? C’è, finalmente, un programma di politica industriale e
dell’innovazione?
Qui cade l’asino, al momento, perché di
chiacchiere se ne son fatte molte, ma di concretezza poca.
L’opposizione, anche in questo, è patetica,
come un club di vedove inconsolabili. Il marito era un sant’uomo e la vita da
sole è dura.
Il governo dovrà pensare anche a loro,
offrendo opportunità polemiche diverse dal gingillarsi sul contratto e sulle
presunte promesse elettorali mancate. Quanto le hanno tradite i poveri mariti
scomparsi, oggi santificati?
Stelio W. Venceslai,
italiano di nascita, cittadino del mondo per vocazione. Eclettico per
temperamento e per cultura, ha svolto diverse attività: professore, dirigente
statale, funzionario internazionale (Unione europea, OCDE, Nazioni Unite),
imprenditore, storico medievalista, conferenziere. Attualmente è Presidente
dell’Accademia templare, membro onorario dell’Accademia delle Scienze mongola e
membro del Consiglio dei G. Priori OSMTH. Ha viaggiato e soggiornato per lavoro
e per interesse in tutta Europa, in Medio Oriente, in Africa, dove ha costruito
un complesso alberghiero nel pieno del Sahara, in America Latina e nell’America
Centrale, in Canada e negli Stati Uniti, maturando esperienze diverse che gli
hanno permesso d’essere un profondo conoscitore dell’animo umano e di osservare
le profonde mutazioni in corso nella nostra società. Scrittore da sempre, ha
pubblicato centinaia di articoli e di saggi di politica, economia, diritto
dell’economia, storia e sociologia.
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