Translate

giovedì 15 novembre 2018



APERTURA DELL’ANNO ACCADEMICO alla Unitre di Santa Maria Capua Vetere


LECTIO MAGISTRALIS
del Prof. Stelio W. Venceslai
ALLA UNIVERSITA’ DELLE TRE ETA’











La contesa fra il governo italiano e l’Unione europea è in corso. Uno scambio di lettere fra due sordi che scrivono e parlano ma non comunicano, continua.
Qui non si tratta di decidere chi ha ragione e chi non ce l’ha. E’ un modo sbagliato di vedere le cose, perché quando sono in gioco gli interessi, non c’è ragione superiore o diversa che possa prevalere.
Da un canto c’è la Commissione, ormai in agonia, perché la festa finisce a maggio, quando ci saranno le elezioni europee, che rigorosamente applica le sue regole e i suoi criteri, badate bene,  negoziati, condivisi e sottoscritti anche dal governo italiano.
Dall’altra parte c’è il governo giallo-verde che intende dare una svolta a quella morta gora dell’immobilismo ventennale italiano.
Gli uni parlano di sacri ed inviolabili principi di bilancio, gli altri parlano della indistruttibile volontà popolare che li ha portati al potere. Ovviamente, decidere chi abbia ragione è solo un tentativo utopico.
Nell’Unione l’Italia di oggi, che punta i piedi e cerca di fare di testa sua, è un vulnus importante. L’Italia è uno dei sei Paesi fondatori, è un pezzo importante dell’economia  europea. Se l’Italia sgarra di brutto, possono sgarrare tutti gli altri e, da un punto di vista politico, i Paesi del patto di Visegrad hanno già sgarrato, ma non sulle questioni di bilancio, solo a proposito dell’immigrazione.
Quindi, il caso Italia verrebbe a costituire un precedente pericoloso, l’inizio di una strada in discesa.  Con la Grecia è stato relativamente facile costringerla al rigore: un grande , piccolo Paese, insidiato  dai debiti (nascosti) e per la cui salvezza (si fa per dire), si è speso molto di più di quanto non sarebbe costato lasciarla andare per il suo destino, senza imporle rigori da fame. Cin l’Italia, il problema è diverso, ed è soprattutto politico. Le questioni delle percentuali di deficit sono  importanti ma, se vogliamo, molto minori di un collasso dell’intero sistema.
La parte italiana, forte di un consenso elettorale imprevedibile, batte i pugni sul tavolo, pretendendo di essere adottata. Il creditore ha sempre ragione, ma dipende dal debitore. Se il debitore non paga, che fa? Va in causa? La questione è troppo delicata, quando si tratta di Stati.
Quindi, obiettivamente, c’è una situazione di stallo fra i due contendenti e non s’intravvede una soluzione di compromesso, almeno al momento. Quando le posizioni si irrigidiscono, perdere la faccia è grave. Lo è per la Commissione europea, perché alle prossime elezioni si giudicherà se è stata capace, almeno, di far rispettare le regole che gli Stati le hanno dato. Lo è per il governo italiano, perché se alle promesse fatte agli elettori si viene meno, ci sarà un altro imprevedibile spostamento massiccio di voti che creerà nuovi squilibri nella già confusa politica italiana.
Alla fine, sarà inevitabile arrivare a un compromesso. Sono in gioco fattori troppo importanti. L’ipotesi di una procedura contro l’Italia potrebbe essere l’ultimo orpello di una Commissione in scadenza, ma un grido inutile. Di procedure contro l’Italia ce ne sono state anche troppe, in passato e, se non ricordo male, le abbiamo perse tutte. Abbiamo pagato ma, in fondo non è successo nulla. Una in più disturba, certamente, ma non più di tanto.
 Diverso sarebbe se la risposta italiana fosse quella, già ventilata, di non approvare il bilancio dell’Unione. Qui il braccio di ferro sarebbe disastroso perché paralizzerebbe l’Unione.
D’altro canto, sovranismo imperante, se uno i mezzi ce l’ha per difendersi, è  giusto usarli.
Il fatto vero è che nessuno accusa l’Italia di violare i sacri principi, ma sono gli Italiani che accusano l’Europa di non tener conto della diversità della situazione politica che si è determinata nel Paese.
Governare è certamente ben diverso dal comiziare. Le realtà che ogni giorno deve affrontare il governo italiano sono molte, spesso imprevedibili e, diciamolo pure, tutte spiacevoli, dal ponte di Genova alla prescrizione, dalla TAV alla lotta contro la corruzione, dagli sgomberi  per le occupazioni non legali d’immobili all’immigrazione.
Discettare se  provvedere alle necessità sta dentro o fuori il cosiddetto “contratto di governo” è  patetico. Il contratto è un programma, come tale suscettibile di tutte le variazioni possibili dettate dall’esigenza di provvedere. D’altro canto, il cambiamento promesso, almeno fino ad ora, è solo  semantico: contratto sta per programma, pacificazione fiscale per condono, lotta al precariato per decreto dignità  e così via. Almeno si usano sostantivi italiani (ricordate il job act di renziana memoria?).
La vera questione sulla quale il governo è carente è quella degli investimenti. I soldi non ci sono e occorre ridimensionare i programmi, ma i programmi almeno ci devono essere. Questa è l’unica vera, carta da giocare a Bruxelles. All’Unione non importa nulla né dei poveri né degli immigrati né delle banche: vogliono vedere cosa faremo dei denari che intendiamo spendere per gli investimenti. All’Unione sanno bene che del programma d’investimenti comunitari promesso da Juncker non s’è fatto nulla.
Ma torniamo all’Italia. Occorre controbilanciare le difficoltà della nostra situazione finanziaria con una decisa e forte spinta verso gli investimenti, Con quali denari? Pochi e maledetti, ma forse si trovano se gli investimenti sono tali da renderci attraenti. Ma quali investimenti? In quali settori? Con quali innovazioni che conducano al futuro? C’è, finalmente, un programma di politica industriale e dell’innovazione?
Qui cade l’asino, al momento, perché di chiacchiere se ne son fatte molte, ma di concretezza poca.
L’opposizione, anche in questo, è patetica, come un club di vedove inconsolabili. Il marito era un sant’uomo e la vita da sole è dura.
Il governo dovrà pensare anche a loro, offrendo opportunità polemiche diverse dal gingillarsi sul contratto e sulle presunte promesse elettorali mancate. Quanto le hanno tradite i poveri mariti scomparsi, oggi santificati?




Stelio W. Venceslai, italiano di nascita, cittadino del mondo per vocazione. Eclettico per temperamento e per cultura, ha svolto diverse attività: professore, dirigente statale, funzionario internazionale (Unione europea, OCDE, Nazioni Unite), imprenditore, storico medievalista, conferenziere. Attualmente è Presidente dell’Accademia templare, membro onorario dell’Accademia delle Scienze mongola e membro del Consiglio dei G. Priori OSMTH. Ha viaggiato e soggiornato per lavoro e per interesse in tutta Europa, in Medio Oriente, in Africa, dove ha costruito un complesso alberghiero nel pieno del Sahara, in America Latina e nell’America Centrale, in Canada e negli Stati Uniti, maturando esperienze diverse che gli hanno permesso d’essere un profondo conoscitore dell’animo umano e di osservare le profonde mutazioni in corso nella nostra società. Scrittore da sempre, ha pubblicato centinaia di articoli e di saggi di politica, economia, diritto dell’economia, storia e sociologia.

Nessun commento:

Posta un commento