La
Stampa 06/06/1946 -
Per
la rubrica
LA
CRONACA E LA STORIA
A
cura di Ferdinando Terlizzi
La Sapontificatrice di Correggio alle
Assise
Gli orrendi delitti di Leonardo
Cianciulli
Sacrifici
umani propiziatori o bestiale criminalità? - Il figlio è complice?
Leonarda
Cianciulli, da Montella, in quel di Avellino. E’ la ormai famosa
“saponificatrice” di Correggio. Ora ha cinquantacinque anni. Pingue, con un
volto rotondo nel quale le labbra rientranti per la mancanza dei denti accentuano
la volgarità, appare all’occhio del profano una donna insignificante. Ha sulla
coscienza tre omicidi, con conseguente distruzione dei cadaveri, oltre ad altri
reati minori.
Criminale cosciente o pazza irresponsabile?
Lo psichiatra, che l’ebbe in esame, afferma la totale infermità di mente di lei
al momento in cui commise i delitti, perchè affetta da psicosi isterica, con
larga sintomatologia stabile appoggiata a gravi anomalie costituzionali
neurovegetative, sboccante in deliri con contenuto improntato al nucleo della
maternità e sorretti da gravi disturbi ossirici e fiali.
La sezione d’accusa poi la Corte d’Appello di Bologna, che la rinvia
a giudizio, ritiene, invece, che non sembra debba seguirsi nel suo rigore
assoluto un tale responso peritale, pur senza voler in nulla infirmare l’esattezza
delle osservazioni cliniche del soggetto e pur dovendosi convenire nel
riscontro dell’anormalità della personalità della Cianciulli.
Di delinquente è pur sempre un anomalo,
con un temperamento personale
inadattabile all’ordinaria convivenza sociale. Tale si manifesta la Cianciulli
e però la ritiene pienamente imputabile.
Dunque, pazza o colpevole? Il perito opina che il mostro di Correggio abbia
soppresso le tre donne, che si erano affidate a lei per ottenere protezione e
salvezza per i figli minacciati nella salute e nell’incolumità personale:
omicidi propiziatori, sacrifizi umani, dunque. Una strega da corte dei
miracoli, balzata, sinistra e sanguinante, dalle pagine d’un romanzo d’appendice,
alla realtà della vita.
La macabra storia ebbe il suo inizio sette
anni fa. Il filo conduttore tra il
dicembre 1939 e il novembre 1940, da Correggio,
una cittadina della pianura reggiana, scomparivano, una dopo l’altra, tre donne: Faustina Setti, nubile, d’anni 73; Francesca Soavi, detta Clementina,
vedova Ferrari, di anni 55 e Virginia
Cacioppo Bassi d’anni 50.
Mentre le prime due non avevano in luogo né
famiglia nè parenti, onde la loro assenza non venne reclamata da alcuno, la terza
aveva invece i cognati. Costoro, allarmati per l’improvvisa e inspiegabile
assenza della loro congiunta, che si era allontanata senza informarli e senza
più dare notizia di sè, e impressionati da certe sinistre voci che circolavano
per la città, il 17 gennaio 1941 denunziavano il fatto alla Questura di Reggio,
alla quale fornivano anche un dato che doveva riuscire decisivo per la scoperta
di tutti i crimini.
Avendo dovuto, tempo addietro, essere
ricoverata in casa di cura, la Cacioppo Bassi aveva affidato alla cognata i suoi
gioielli e i suoi valori. Costei, prudenzialmente, ne aveva fatto un
inventario, che poi aveva trattenuto. Fu cosi che consegnò alla Questura l’elenco
dei buoni del tesoro e degli altri titoli di Stato sospettando si trattasse di
un delitto a scopo di furto.
La Questura iniziate le indagini per
scoprire come era avvenuta la scomparsa delle tre donne, non era venuta a capo
di nulla, perchè il più fitto mistero l’avvolgeva. Fu indirizzando i suoi passi
presso gl’istituti di credito ch’ebbe migliore fortuna. Venne cosi a sapere che
presso il Banco S. Prospero et San Geminiano di Reggio, il 4 dicembre 1940 don Angelo Frattini, parroco di S. Giorgio
di Correggio e direttore dell’ufficio del beni ecclesiastici presso la Curia vescovile,
aveva venduto alcuni titoli che corrispondevano a quelli di proprietà della Cacioppo,
su uno dei quali, anzi, - quello portante il n. H 241985-86 - era scritto a
matita proprio il nome della Virginia Cacioppo.
Come avvennero i delitti
Interrogato, don Frattini riferiva di aver
compiuto l’operazione d’incarico del suo amico Abelardo Spinabelli, pure di Correggio, il quale, a sua volta,
spiegava di aver ricevuto i titoli, per venderli, da Leonarda Cianciulli, alla quale era legato da rapporti di amicizia
e d’interesse per un mutuo di diciottomila lire contratto con lei l’ anno
precedente. La donna gli aveva indicato quei titoli come provenienti dall’eredità
di uno zio. In seguito palesava anche che la Cianciulli, verso la metà di
febbraio 1941 gli aveva affidato in deposito una scatola di metallo contenente
sette biglietti da mille, due cambiali in bianco per lire quattromila a firma dei
coniugi Benassi-Righi di Correggio, un braccialetto di metallo bianco e un
blocchetto di cemento internamente vuoto, che, dal suono, sembrava contenere
oggetti metallici. Queste cose egli le aveva passate al don Frattini, che,
dalla propria domestica, le aveva fatte portare presso la madre di lei a
Vezzano sul Crostolo.
Sequestrato il tutto, spezzato il
blocchetto, ne uscirono i gioielli della Cacioppo Bassi. La Cianciulli, fermata
dalla Questura di Reggio e sottoposta ad interrogatorio, dapprima negò, poi ammise di conoscere e di aver
soppresso la Cacioppo accusando lo Spinabelli di averla aiutata. Questa accusa
di correità risultò poi infondata.
Posta sul piano delle confessioni, l’assassina
rivelò anche gli altri due delitti, onde sulla scorta delle sue stesse
dichiarazioni e sulle testimonianze che andarono a mano a mano affluendo, i
fatti si possono ricostruire come segue.
Prima vittima fu la Faustina Setti. Costei in gioventù aveva avuto un figlio dell’amore,
da poco venutole a mancare. La Cianciulli tanto seppe circuirla con arti
diaboliche, che le fece intravvedere non solo possibile ma certo un suo
matrimonio con l’antico amante. Da allora il contegno della vecchia ultra
settuagenaria cambiò. Ripetutamente si reca presso una pettinatrice del luogo
per farsi acconciare i capelli con la permanente.
La Infelice era cosi convinta del
matrimonio, che, il giorno in cui entrò per l’ultima volta nella casa della Cianciulli
(dove trovò la morte), si era tutta azzimata e imbellettata! Ella confessò alle
amiche che si sarebbe recata presso i parenti di Luzzara dove un ricco vedovo
l’avrebbe sposata. Vendette per tremila lire una casa che aveva in Correggio,
vendette alla Cianciulli, per duemila lire, i mobili di casa, e con tutto il
denaro, la mattina del 18 dicembre 1939, entrò in casa della sua amica, che, dopo averla stordita
propinandole nel caffè una polverina velenosa, la strangolò. Poi ne fece a
pezzi il corpo, lo ripose nel solaio, quindi la notte lo riportò in cucina,
dove lo mise sul focolare in una caldaia con acqua e soda caustica; poi buttò i
resti nel canale di Porta Reggio.
Seconda vittima fu la Francesca Soavi, donna di casa, devota, vedova dopo breve
matrimonio. Ha cinquantacinque anni e, per guadagnarsi da vivere, fa l’insegnante
privata di bambini. La Cianciulli, come ha scelto la sua nuova vittima, la
circuisce, scopre il punto debole, le promette un posto d’istitutrice o di
direttrice in un collegio di bambini o in un ricovero di trovatelli a Roma a
Firenze o a Potenza. E la povera donna, credula non meno dell’altra, aspetta un
sacerdote fantastico o un vescovo non meno fantastico, che la venga a prendere
in automobile per accompagnarla alla nuova destinazione!
Vende alla Cianciulli per duemilacinquecento
lire la maggior parte dei suoi mobili, le cede piccoli crediti per millecinquecento
lire, ritira da una banca tutti i suoi risparmi -settecentosessantasei lire in
tutto - e varca la soglia fatale ove l’attende la morte atroce.
La terza vittima, Virginia Cacioppo Basai, ormai quasi sessantenne, era stata in
gioventù artista di canto. Era abituata a vita mondana, ma non aveva larghe
possibilità finanziarie. La Cianciulli l’avvicina, le promette d’interessarsi,
poi l’assicura di averle trovato un impiego presso il magazzino delle privative
di Firenze, ove avrebbe percepito uno stipendio tra le 4000 e le 4500 lire
mensili. Ma per ottenere ciò occorre una cauzione di sessantamila lire. Ella l’avrebbe
aiutata in parte, potendo disporre di una forte somma, frutto d’una grossa
eredità, assicura, d’uno zio. Qualora non fosse riuscita ad ottenere l'impiego
nel Monopolio, una sua sorella milionaria residente a Firenze l’avrebbe assunta
come segretaria; non solo, ma a Firenze, c’era anche un milionario, zio del suo
coinquilino prof. Lenza (al quale frattanto, sia. detto per incidenza, sta
rubando le bottiglie di vino dalla cantina), con il quale avrebbe potuto sposarsi. La povera donna, in mezzo a tutta questa
fantasmagoria di biglietti da mille, di milionari e di matrimoni, finisce per
perder la testa e fissa la partenza per il 12 dicembre, ma la Cianciulli gliela
fa anticipare al 30 novembre perchè, l’assicura, ha ricevuto un espresso dalla
sorella milionaria, che la sollecita a raggiungere l’impiego data la grande
ressa di concorrenti.
E la poveretta ritira dalla
banca 1.200 lire e con tutti i suoi valori e i suoi gioielli (circa trentasette
mila lire) passa la soglia tragica, ove la strega l’attende, la fa sedere alla
tavola di cucina, e quindi a tradimento la colpisce alla nuca con una scure,
uccidendola. Il cadavere fatto a pezzi viene portato nel solaio celato, sotto
una catasta di fascine, donde, dopo due notti e un giorno, vengono tolti per
esser riportati in cucina e ivi saponificati con il solito sistema.
La Cianciulli è maritata con Raffaele Pansardi, da Montella, impiegato presso l’ufficio del
registro di Correggio, ed è madre di quattro figli, dei quali, il maggiore,
Giuseppe, nato il 27 novembre 1019, è studente universitario, oltre che
precettore in un collegio locale.
La sezione d’accusa si pose
subito il quesito se la Cianciulli abbia agito da sola, ed essendosi risposto
negativamente, passò ad esaminare quale altra persona potesse averla aiutata
nella macabra faccenda.
Non sembrò che una persona
sola, e specialmente una donna, avesse potuto avere la forza e la prestanza
fisica necessarie ai trasporto e allo squartamento dei cadaveri. Escluse le
domestiche, che venivano allontanate nei giorni in cui dovevano aver luogo i
delitti, resta solo il figlio maggiore della Cianciulli per un cumulo di
considerazioni che qui sarebbe troppo lungo esporre.
Il figlio era il confidente più sicuro della madre, fu lui
a portare a Milano, ad una sarta, certa Grisoglia gli abiti della Cacioppo
perchè venissero scuciti e tinti. Fu lui, secondo l’accusa, che entrato nella
cucina ove sul focolare bolliva la pentola - la sera in cui venne uccisa la
Setti - confabulò con la madre, guardò dentro la pentola stessa togliendone il
coperchio, ed egli stesso apri la finestra per fugare il nauseabondo odore
proveniente dalla schiuma ch’era caduta sul fuoco.
A questi elementi altri se ne
aggiungono di minor conto, ma uno v’è che lo accusa: l’aver egli spedito a casa
e ad altre persone di Correggio, cartoline illustrate con la falsa firma della
Soavi, allo scopo di far credere a un viaggio di questa. Paura o criminale?
Oltre a quelle, principalissime, di omicidio, triplice distruzione di cadavere,
rapina, calunnia (per aver la Cianciulli accusato d’averle aiutata nella consumazione dei delitti persone che poi
vennero riconosciute innocenti e assolte in sede d’istruttoria con formula
piena), la strega di Correggio è accusata di furto aggravato di 300 bottiglie
di vino in danno del suo coinquilino, prof. Amilcare Benzi, di 400 uova in danno di Enrico Gandolfi e di una bicicletta in danno di Ulderigo Della Casa.
Concludendo: la Cianciulli è
una disgraziata, demente, comunque non in possesso delle sue facoltà mentali od
è una criminale che agì a scopo di lucro?
La sentenza della sezione
d’accusa dice testualmente: “Le orribili imprese di detta donna avevano per
fine non propiziazioni fantastiche ma scopi concretamente lucrativi. E del
resto la specifica capacità di lei a delinquere in reati patrimoniali è
rivelata dai suoi precedenti che la descrivono quale donna di facili costumi,
disordinata, impulsiva ribelle anche all’autorità maritale, dedita alle
millanterie e alle truffe per quanto si riferisce alle informazioni assunte
presso l’Arma del suo, paese d’origine: Mantella in quelli di Lauria e
Lacedonia dove aveva avuto residenza col marito impiegato all’ufficio del
registro.
E più oltre: Ora pure non potendosi aver
ragione di contrastare i rilievi clinici circa la psicosi isterica del perito
riscontrata nel soggetto sottoposto al suo esame, sembra potersi convenire che
tale, grave malattia, anche se esistente e la istruttoria non ne offre evidenti
prove di riscontro, al di fuori beninteso degli autorevoli rilievi del
sanitario, non ha inciso nelle azioni delittuose commesse dall’imputata, che
per questo riguardo sembra doversi dichiarare perfettamente cosciente e
volitiva e quindi pienamente imputabile.
Il processo è fissato per il
prossimo 12 giugno innanzi al Corte di Assise di Parma- Per ora la Cianciulli è ospite delle carceri di San Tomaso ove è
immatricolata. La difenderanno gli avvocati
Sandro Cucchi di Reggio Emilia e Claudio
Magnanini di Bologna.
Fonte: La Stampa 06/06/1946
La condanna della Cianciulli confermata in Cassazione.
Piena assoluzione del figlio.
Leonarda Cianciulli sconterà, interamente, i 30 anni di reclusione
a lei inflitti dalla Corte d'Assise di Reggio Emilia, che la riconobbe, a suo
tempo, responsabile, sia pure con le attenuanti del vizio parziale di mente, di
tre omicidi, di rapina e di distruzione e vilipendio di cadavere. Cosi ha
deciso questa mattina la Corte di Cassazione che ha preso in esame il ricorso
proposto dalla Cianciulli e quello del figlio Giuseppe Pansardi, il quale, in
quello stesso processo, venne assolto per insufficienza di prove,
dall’imputazione di avere concorso nel delitti commessi dalla madre.
Per Giuseppe Pansardi la Corte
ha deciso l’annullamento, senza rinvio, della sentenza e la trasformazione
della formula assolutoria da quella
dubitativa in quella completa per non
avere commesso i fatti a lui addebitati.
Sul terreno esclusivamente
scientifico si è sviluppata, dinanzi al supremo collegio, la battaglia fra
accusa e difesa, imperniata, soprattutto, sulle condizioni psichiche della
Cianciulli al momento dei suoi crimini.
La “saponificatrice” non ha nè
può avere avuto alcuna responsabilità di quanto da lei commesso, ha sostenuto
l’avvocato Nevio Mengarini; sta ad attestarlo l’indagine scientifica eseguita
su di lei dal prof. Flippo Saporito.
La Corte di Reggio Emilia non
negò la diligenza e l’esattezza con cui venne redatta la perizia; ma, nella
sentenza, si accettarono le premesse dell’ indagine peritale mentre si volle
rigettare le conclusioni del tecnico nella parte che rifluite la capacità di
intendere e di volere, ritenendo la sussistenza di una capacità semplicemente
diminuita.
L’accusa, per pari sua ha
sostenuto che la sentenza della Corte d’Assise di Reggio Emilia è perfetta. Infatti, la totale
infermità di mente riconosciuta alla Ciunciulli
dal tecnico, se esiste, è sopravvenuta solo dopo i delitti commessi, a meno che
non si debba pensare a una simulazione che darebbe la possibilità alla
Cianciulli stessa di essere rimessa in libertà dopo un breve ricovero in un
manicomio giudiziario.
Lo stesso Proc. Gen. ha
perorato per l’accoglimento del ricorso di Giuseppe Pansardi e la
trasformazione della formula dubitativa in assoluzione in quella completa per non avere commesso il
fatto.
TUTTE LE DONNE PAZZE RICOVERATE
AL MANICOMIO DI AVERSA
Partono tulle le donne dal manicomio
di Aversa. Un primo scaglione con Leonarda Cianciulli, è giunto nella sede di
Pozzuoli - Tra giorni il viaggio della contessa Pia Bellentani Ventisei delle
duecento ricoverate del manicomio criminale di Aversa hanno lasciato l’istituto,
soppresso con recente disposizione governativa e adibito al ricovero di
internati di sesso maschile.
Tra le trasferite la più nota
è Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio. Nella vasta ex-caserma
di cavalleria, trasformata nel 1931 da Filippo Saporito in manicomio femminile,
sono rimaste invece Pia Bellentani Insieme ad altre recluse dichiarate intrasportabili.
La nuova sede manicomiale, mèta del trasferimento, è stata posta a Pozzuoli, in
una grande villa a picco sul mare; ad Aversa, invece, tra poco giungeranno
oltre 700 dementi provenienti dai manicomi di tutta Italia. La causa del
trasferimento è dovuta al desiderio di sfruttare completamente le attrezzature
del manicomio di Aversa, uno del primi d’Europa, capace di ospitare oltre 700
reclusi; mentre le donne affette da follia criminale sono in Italia circa 250.
Il provvedimento governativo
non ha causato scontento tra gli abitanti di Aversa. Una commissione,
presieduta dal sindaco, si è però recata a Roma per perorare dinanzi al
ministro di Giustizia la “causa delle pazze”.
Gli aversani affermano infatti
che il trasferimento avrà ripercussioni economiche negative sull’economia del
piccolo centro, mentre diminuirà l'importanza scientifica degli studi
criminologici di Aversa, dato che le ricoverate di sesso femminile si prestano
maggiormente ad approfonditi esami psicologici e antropologici.
Tra qualche giorno .un secondo
scaglione di donne, compresa la Bellentani lascerà Aversa per Pozzuoli.
La Stampa 10/06/1955 - numero
137 pagina 5
Nessun commento:
Posta un commento