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domenica 4 novembre 2018



 La Stampa 06/06/1946 -

Per la rubrica
LA CRONACA E  LA STORIA
A cura di Ferdinando Terlizzi





La Sapontificatrice di Correggio alle Assise  
Gli orrendi delitti di Leonardo Cianciulli  

Sacrifici umani propiziatori o bestiale criminalità? - Il figlio è complice?



      Leonarda Cianciulli, da Montella, in quel di Avellino. E’ la ormai famosa “saponificatrice” di Correggio. Ora ha cinquantacinque anni. Pingue, con un volto rotondo nel quale le labbra rientranti per la mancanza dei denti accentuano la volgarità, appare all’occhio del profano una donna insignificante. Ha sulla coscienza tre omicidi, con conseguente distruzione dei cadaveri, oltre ad altri reati minori.
     Criminale cosciente o pazza irresponsabile? Lo psichiatra, che l’ebbe in esame, afferma la totale infermità di mente di lei al momento in cui commise i delitti, perchè affetta da psicosi isterica, con larga sintomatologia stabile appoggiata a gravi anomalie costituzionali neurovegetative, sboccante in deliri con contenuto improntato al nucleo della maternità e sorretti da gravi disturbi ossirici e fiali.
     La sezione d’accusa poi  la Corte d’Appello di Bologna, che la rinvia a giudizio, ritiene, invece, che non sembra debba seguirsi nel suo rigore assoluto un tale responso peritale, pur senza voler in nulla infirmare l’esattezza delle osservazioni cliniche del soggetto e pur dovendosi convenire nel riscontro dell’anormalità della personalità della Cianciulli.
     Di delinquente è pur sempre un anomalo, con un  temperamento personale inadattabile all’ordinaria convivenza sociale. Tale si manifesta la Cianciulli e però la ritiene pienamente imputabile.
     Dunque, pazza o colpevole? Il  perito opina che il mostro di Correggio abbia soppresso le tre donne, che si erano affidate a lei per ottenere protezione e salvezza per i figli minacciati nella salute e nell’incolumità personale: omicidi propiziatori, sacrifizi umani, dunque. Una strega da corte dei miracoli, balzata, sinistra e sanguinante, dalle pagine d’un romanzo d’appendice, alla realtà della vita.
     La macabra storia ebbe il suo inizio sette anni fa.  Il filo conduttore tra il dicembre 1939  e il novembre 1940, da Correggio, una cittadina della pianura reggiana, scomparivano,  una dopo l’altra, tre donne: Faustina Setti, nubile, d’anni 73; Francesca Soavi, detta Clementina, vedova Ferrari, di anni 55 e Virginia Cacioppo Bassi d’anni 50.

    Mentre le prime due non avevano in luogo né famiglia nè parenti, onde la loro assenza non venne reclamata da alcuno, la terza aveva invece i cognati. Costoro, allarmati per l’improvvisa e inspiegabile assenza della loro congiunta, che si era allontanata senza informarli e senza più dare notizia di sè, e impressionati da certe sinistre voci che circolavano per la città, il 17 gennaio 1941 denunziavano il fatto alla Questura di Reggio, alla quale fornivano anche un dato che doveva riuscire decisivo per la scoperta di tutti i crimini.
     Avendo dovuto, tempo addietro, essere ricoverata in casa di cura, la Cacioppo Bassi aveva affidato alla cognata i suoi gioielli e i suoi valori. Costei, prudenzialmente, ne aveva fatto un inventario, che poi aveva trattenuto. Fu cosi che consegnò alla Questura l’elenco dei buoni del tesoro e degli altri titoli di Stato sospettando si trattasse di un delitto a scopo di furto.
     La Questura iniziate le indagini per scoprire come era avvenuta la scomparsa delle tre donne, non era venuta a capo di nulla, perchè il più fitto mistero l’avvolgeva. Fu indirizzando i suoi passi presso gl’istituti di credito ch’ebbe migliore fortuna. Venne cosi a sapere che presso il Banco S. Prospero et San Geminiano di Reggio, il 4 dicembre 1940 don Angelo Frattini, parroco di S. Giorgio di Correggio e direttore dell’ufficio del beni ecclesiastici presso la Curia vescovile, aveva venduto alcuni titoli che corrispondevano a quelli di proprietà della Cacioppo, su uno dei quali, anzi, - quello portante il n. H 241985-86 - era scritto a matita proprio il nome della Virginia Cacioppo.
Come avvennero i delitti

     Interrogato, don Frattini riferiva di aver compiuto l’operazione d’incarico del suo amico Abelardo Spinabelli, pure di Correggio, il quale, a sua volta, spiegava di aver ricevuto i titoli, per venderli, da Leonarda Cianciulli, alla quale era legato da rapporti di amicizia e d’interesse per un mutuo di diciottomila lire contratto con lei l’ anno precedente. La donna gli aveva indicato quei titoli come provenienti dall’eredità di uno zio. In seguito palesava anche che la Cianciulli, verso la metà di febbraio 1941 gli aveva affidato in deposito una scatola di metallo contenente sette biglietti da mille, due cambiali in bianco per lire quattromila a firma dei  coniugi Benassi-Righi di Correggio, un braccialetto di metallo bianco e un blocchetto di cemento internamente vuoto, che, dal suono, sembrava contenere oggetti metallici. Queste cose egli le aveva passate al don Frattini, che, dalla propria domestica, le aveva fatte portare presso la madre di lei a Vezzano sul Crostolo.
     Sequestrato il tutto, spezzato il blocchetto, ne uscirono i gioielli della Cacioppo Bassi. La Cianciulli, fermata dalla Questura di Reggio e sottoposta ad interrogatorio, dapprima  negò, poi ammise di conoscere e di aver soppresso la Cacioppo accusando lo Spinabelli di averla aiutata. Questa accusa di correità risultò poi infondata.
     Posta sul piano delle confessioni, l’assassina rivelò anche gli altri due delitti, onde sulla scorta delle sue stesse dichiarazioni e sulle testimonianze che andarono a mano a mano affluendo, i fatti si possono ricostruire come segue.

     Prima vittima fu la Faustina Setti. Costei in gioventù aveva avuto un figlio dell’amore, da poco venutole a mancare. La Cianciulli tanto seppe circuirla con arti diaboliche, che le fece intravvedere non solo possibile ma certo un suo matrimonio con l’antico amante. Da allora il contegno della vecchia ultra settuagenaria cambiò. Ripetutamente si reca presso una pettinatrice del luogo per farsi acconciare i capelli con la permanente.  La Infelice era cosi convinta del matrimonio, che, il giorno in cui entrò per l’ultima volta nella casa della Cianciulli (dove trovò la morte), si era tutta azzimata e imbellettata! Ella confessò alle amiche che si sarebbe recata presso i parenti di Luzzara dove un ricco vedovo l’avrebbe sposata. Vendette per tremila lire una casa che aveva in Correggio, vendette alla Cianciulli, per duemila lire, i mobili di casa, e con tutto il denaro, la mattina del 18 dicembre 1939, entrò in casa della sua amica, che, dopo averla stordita propinandole nel caffè una polverina velenosa, la strangolò. Poi ne fece a pezzi il corpo, lo ripose nel solaio, quindi la notte lo riportò in cucina, dove lo mise sul focolare in una caldaia con acqua e soda caustica; poi buttò i resti nel canale di Porta Reggio.
     Seconda vittima fu la Francesca Soavi, donna di casa, devota, vedova dopo breve matrimonio. Ha cinquantacinque anni e, per guadagnarsi da vivere, fa l’insegnante privata di bambini. La Cianciulli, come ha scelto la sua nuova vittima, la circuisce, scopre il punto debole, le promette un posto d’istitutrice o di direttrice in un collegio di bambini o in un ricovero di trovatelli a Roma a Firenze o a Potenza. E la povera donna, credula non meno dell’altra, aspetta un sacerdote fantastico o un vescovo non meno fantastico, che la venga a prendere in automobile per accompagnarla alla nuova destinazione!
    Vende alla Cianciulli per duemilacinquecento lire la maggior parte dei suoi mobili, le cede piccoli crediti per millecinquecento lire, ritira da una banca tutti i suoi risparmi -settecentosessantasei lire in tutto - e varca la soglia fatale ove l’attende la morte atroce.
     La terza vittima, Virginia Cacioppo Basai, ormai quasi sessantenne, era stata in gioventù artista di canto. Era abituata a vita mondana, ma non aveva larghe possibilità finanziarie. La Cianciulli l’avvicina, le promette d’interessarsi, poi l’assicura di averle trovato un impiego presso il magazzino delle privative di Firenze, ove avrebbe percepito uno stipendio tra le 4000 e le 4500 lire mensili. Ma per ottenere ciò occorre una cauzione di sessantamila lire. Ella l’avrebbe aiutata in parte, potendo disporre di una forte somma, frutto d’una grossa eredità, assicura, d’uno zio. Qualora non fosse riuscita ad ottenere l'impiego nel Monopolio, una sua sorella milionaria residente a Firenze l’avrebbe assunta come segretaria; non solo, ma a Firenze, c’era anche un milionario, zio del suo coinquilino prof. Lenza (al quale frattanto, sia. detto per incidenza, sta rubando le bottiglie di vino dalla cantina), con il quale avrebbe potuto sposarsi.  La povera donna, in mezzo a tutta questa fantasmagoria di biglietti da mille, di milionari e di matrimoni, finisce per perder la testa e fissa la partenza per il 12 dicembre, ma la Cianciulli gliela fa anticipare al 30 novembre perchè, l’assicura, ha ricevuto un espresso dalla sorella milionaria, che la sollecita a raggiungere l’impiego data la grande ressa di concorrenti.


E la poveretta ritira dalla banca 1.200 lire e con tutti i suoi valori e i suoi gioielli (circa trentasette mila lire) passa la soglia tragica, ove la strega l’attende, la fa sedere alla tavola di cucina, e quindi a tradimento la colpisce alla nuca con una scure, uccidendola. Il cadavere fatto a pezzi viene portato nel solaio celato, sotto una catasta di fascine, donde, dopo due notti e un giorno, vengono tolti per esser riportati in cucina e ivi saponificati con il solito sistema.
La Cianciulli  è maritata con Raffaele Pansardi, da Montella, impiegato presso l’ufficio del registro di Correggio, ed è madre di quattro figli, dei quali, il maggiore, Giuseppe, nato il 27 novembre 1019, è studente universitario, oltre che precettore in un collegio locale.
La sezione d’accusa si pose subito il quesito se la Cianciulli abbia agito da sola, ed essendosi risposto negativamente, passò ad esaminare quale altra persona potesse averla aiutata nella macabra faccenda.
Non sembrò che una persona sola, e specialmente una donna, avesse potuto avere la forza e la prestanza fisica necessarie ai trasporto e allo squartamento dei cadaveri. Escluse le domestiche, che venivano allontanate nei giorni in cui dovevano aver luogo i delitti, resta solo il figlio maggiore della Cianciulli per un cumulo di considerazioni che qui sarebbe troppo lungo esporre.
Il figlio era  il confidente più sicuro della madre, fu lui a portare a Milano, ad una sarta, certa Grisoglia gli abiti della Cacioppo perchè venissero scuciti e tinti. Fu lui, secondo l’accusa, che entrato nella cucina ove sul focolare bolliva la pentola - la sera in cui venne uccisa la Setti - confabulò con la madre, guardò dentro la pentola stessa togliendone il coperchio, ed egli stesso apri la finestra per fugare il nauseabondo odore proveniente dalla schiuma ch’era caduta sul fuoco.
A questi elementi altri se ne aggiungono di minor conto, ma uno v’è che lo accusa: l’aver egli spedito a casa e ad altre persone di Correggio, cartoline illustrate con la falsa firma della Soavi, allo scopo di far credere a un viaggio di questa. Paura o criminale? Oltre a quelle, principalissime, di omicidio, triplice distruzione di cadavere, rapina, calunnia (per aver la Cianciulli accusato d’averle aiutata  nella consumazione dei delitti persone che poi vennero riconosciute innocenti e assolte in sede d’istruttoria con formula piena), la strega di Correggio è accusata di furto aggravato di 300 bottiglie di vino in danno del suo coinquilino, prof. Amilcare Benzi, di 400 uova in danno di Enrico Gandolfi e di una bicicletta in danno di Ulderigo Della Casa.
Concludendo: la Cianciulli è una disgraziata, demente, comunque non in possesso delle sue facoltà mentali od è una criminale che agì a scopo di lucro?
La sentenza della sezione d’accusa dice testualmente: “Le orribili imprese di detta donna avevano per fine non propiziazioni fantastiche ma scopi concretamente lucrativi. E del resto la specifica capacità di lei a delinquere in reati patrimoniali è rivelata dai suoi precedenti che la descrivono quale donna di facili costumi, disordinata, impulsiva ribelle anche all’autorità maritale, dedita alle millanterie e alle truffe per quanto si riferisce alle informazioni assunte presso l’Arma del suo, paese d’origine: Mantella in quelli di Lauria e Lacedonia dove aveva avuto residenza col marito impiegato all’ufficio del registro.

 E più oltre: Ora pure non potendosi aver ragione di contrastare i rilievi clinici circa la psicosi isterica del perito riscontrata nel soggetto sottoposto al suo esame, sembra potersi convenire che tale, grave malattia, anche se esistente e la istruttoria non ne offre evidenti prove di riscontro, al di fuori beninteso degli autorevoli rilievi del sanitario, non ha inciso nelle azioni delittuose commesse dall’imputata, che per questo riguardo sembra doversi dichiarare perfettamente cosciente e volitiva e quindi pienamente  imputabile.
Il processo è fissato per il prossimo 12 giugno innanzi al Corte di Assise di Parma-  Per ora la Cianciulli  è ospite delle carceri di San Tomaso ove è immatricolata.  La difenderanno gli avvocati Sandro Cucchi di Reggio Emilia e Claudio  Magnanini di Bologna.  

Fonte: La Stampa 06/06/1946


La condanna della Cianciulli confermata in Cassazione. Piena assoluzione del figlio.
  Leonarda Cianciulli  sconterà, interamente, i 30 anni di reclusione a lei inflitti dalla Corte d'Assise di Reggio Emilia, che la riconobbe, a suo tempo, responsabile, sia pure con le attenuanti del vizio parziale di mente, di tre omicidi, di rapina e di distruzione e vilipendio di cadavere. Cosi ha deciso questa mattina la Corte di Cassazione che ha preso in esame il ricorso proposto dalla Cianciulli e quello del figlio Giuseppe Pansardi, il quale, in quello stesso processo, venne assolto per insufficienza di prove, dall’imputazione di avere concorso nel delitti commessi dalla madre.
Per Giuseppe Pansardi la Corte ha deciso l’annullamento, senza rinvio, della sentenza e la trasformazione della formula assolutoria da quella dubitativa in quella completa per non avere commesso i fatti a lui addebitati.
Sul terreno esclusivamente scientifico si è sviluppata, dinanzi al supremo collegio, la battaglia fra accusa e difesa, imperniata, soprattutto, sulle condizioni psichiche della Cianciulli al momento dei suoi crimini.
La “saponificatrice” non ha nè può avere avuto alcuna responsabilità di quanto da lei commesso, ha sostenuto l’avvocato Nevio Mengarini; sta ad attestarlo l’indagine scientifica eseguita su di lei dal prof. Flippo Saporito.
La Corte di Reggio Emilia non negò la diligenza e l’esattezza con cui venne redatta la perizia; ma, nella sentenza, si accettarono le premesse dell’ indagine peritale mentre si volle rigettare le conclusioni del tecnico nella parte che rifluite la capacità di intendere e di volere, ritenendo la sussistenza di una capacità semplicemente diminuita.

L’accusa, per pari sua ha sostenuto che la sentenza della Corte d’Assise di  Reggio Emilia è perfetta. Infatti, la totale infermità di mente  riconosciuta alla Ciunciulli dal tecnico, se esiste, è sopravvenuta solo dopo i delitti commessi, a meno che non si debba pensare a una simulazione che darebbe la possibilità alla Cianciulli stessa di essere rimessa in libertà dopo un breve ricovero in un manicomio giudiziario.
Lo stesso Proc. Gen. ha perorato per l’accoglimento del ricorso di Giuseppe Pansardi e la trasformazione della formula dubitativa in assoluzione in  quella completa per non avere commesso il fatto. 
TUTTE LE DONNE PAZZE RICOVERATE
AL MANICOMIO DI AVERSA

Partono tulle le donne dal manicomio di Aversa. Un primo scaglione con Leonarda Cianciulli, è giunto nella sede di Pozzuoli - Tra giorni il viaggio della contessa Pia Bellentani Ventisei delle duecento ricoverate del manicomio criminale di Aversa hanno lasciato l’istituto, soppresso con recente disposizione governativa e adibito al ricovero di internati di sesso maschile.
Tra le trasferite la più nota è Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio. Nella vasta ex-caserma di cavalleria, trasformata nel 1931 da Filippo Saporito in manicomio femminile, sono rimaste invece Pia Bellentani Insieme ad altre recluse dichiarate intrasportabili. La nuova sede manicomiale, mèta del trasferimento, è stata posta a Pozzuoli, in una grande villa a picco sul mare; ad Aversa, invece, tra poco giungeranno oltre 700 dementi provenienti dai manicomi di tutta Italia. La causa del trasferimento è dovuta al desiderio di sfruttare completamente le attrezzature del manicomio di Aversa, uno del primi d’Europa, capace di ospitare oltre 700 reclusi; mentre le donne affette da follia criminale sono in Italia circa 250.
Il provvedimento governativo non ha causato scontento tra gli abitanti di Aversa. Una commissione, presieduta dal sindaco, si è però recata a Roma per perorare dinanzi al ministro di Giustizia la “causa delle pazze”.
Gli aversani affermano infatti che il trasferimento avrà ripercussioni economiche negative sull’economia del piccolo centro, mentre diminuirà l'importanza scientifica degli studi criminologici di Aversa, dato che le ricoverate di sesso femminile si prestano maggiormente ad approfonditi esami psicologici e antropologici.
Tra qualche giorno .un secondo scaglione di donne, compresa la Bellentani lascerà Aversa per Pozzuoli.
La Stampa 10/06/1955 - numero 137 pagina 5


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