Forse in peggio, ma cambiare
(Stelio W. Venceslai)
Quello
che sta accadendo in Francia è la fine della democrazia occidentale di
quest’ultimo cinquantennio. Possono sembrare parole grosse, ma la verità non si
può nascondere. Tarda a essere capita, ma vince sempre.
La
gente si ribella e sulle bandiere sventolate dai gilet gialli ci sono tre date:
1791, 1968, 2018, quasi a simboleggiare la fine di un’era, quella delle
democrazie occidentali, appunto.
Che
vogliono i gilet gialli? Non lo sanno neppure loro, ma chiedono un cambiamento,
fiscale, dapprima e poi economico fino a diventare una richiesta di cambiamento
politico. La piazza scende contro il governo di Parigi, un pallido esecutivo
riflesso di un Macron nevrotico e sostanzialmente incapace. Nell’ombra, trama
il partito lepenista. Macron promette misure, programma ritirate che sembrano
avanzate, ma il suo gradimento da parte dell’elettorato è il peggiore rispetto
a tutti i Presidenti francesi che l’hanno preceduto, il suo partito è
un’accozzaglia di profughi, di arrivisti e di ombre, la sua politica fa acqua
da tutte le parti, all’estero come all’interno.
Macron
ha vinto le ultime elezioni con una maggioranza sparuta da una quota
minoritaria di elettori, perché i più si sono rifiutati di andare a votare.
In
concorrenza con la Le Pen, ha agitato lo spettro dell’Europa facendosene propugnatore
e garante, in questo sostenuto dal sistema finanziario che a Bruxelles ha
trovato una tana comoda e calda. Ha vinto, ma è stata una vittoria di Pirro.
Dopo tante promesse sul “nuovo” non ha fatto nulla. L’Europa non si muove, la
Francia si è mossa, male un po’ dovunque, il cambiamento promesso è stato la
conservazione dell’esistente. E poi le tasse.
La
gente si sta ribellando. Se si dovessero indire nuove elezioni, un rischio
notevole, sarebbe un disastro. Come sempre, un po’ sgomenta e un po’ blasé, l’Europa sta a guardare.
Diciamolo
pure, l’esempio italiano sta facendo scuola. Il tema di fondo è quello di rinnovare
un’Europa dove contenere e gestire le diverse istanze nazionali. Ma nessuno ci
dice come. Neanche Salvini.
In
Italia l’indifferenza, la stanchezza, il rifiuto sono stati canalizzati da un
buffone, che però ha evitato scontri sulle piazze. Di questo il merito va tutto
a Grillo, che ha usato l’arma del clown
per far capire a tutti che il re era nudo e anche un ladro. Saliti al potere in
modo controverso, i giallo-verdi si sono trovati impastati fra un programma di
governo concordato come un abito di ferro e un’Europa dalla quale non si può prescindere,
un fantoccio rivestito di utopia, come una moglie, un tempo molto amata, ma della
quale non ci si può liberare. Il cambiamento italiano, il primo in assoluto in
Europa, ha dato forza al movimento della La Pen che aspira alla presidenza
della Francia.
Il
cambiamento italiano ha anche risvegliato pruriti nazionalistici un po’ in
tutta Europa, taluni velatamente razzisti, altri nostalgici di antiche
frontiere, altri, ancora, semplicemente, contro il sistema.
È
questo sistema che si vuole abbattere, la sua burocrazia, la sua capacità
endogena di strangolare l’economia, di abbattere la classe borghese perché è
quella che pensa, ma che se non ha quattrini e benessere per vivere non conta
più nulla. La società borghese europea è in disfacimento, si assimila a quella
operaia e artigiana, protesta, perché vuole avere quello spazio che la stretta
finanziaria e il rigore europeo le hanno tolto.
C’è
una convergenza di nuovi poveri e di politicamente emarginati che ha spiazzato
i partiti di sinistra e di centro-sinistra, arroccati su vecchie posizioni
classiste. In Francia comunisti e socialisti sono scomparsi. In Italia la
sinistra è in disfacimento totale. Non hanno capito, non hanno saputo, non
hanno guardato.
Altrove,
la destra, con sfumature diverse, si sta facendo interprete di questa nuova alleanza
di esausti dalle sciocchezze di una classe dirigente imbelle e impotente, vuota
di pensiero e di azione. Cambia il vento, in Europa, in Austria, in Ungheria,
in Slovacchia, nella Repubblica ceca, in Polonia, ma soprattutto in Germania.
Forse,
mercoledì prossimo, cambierà il vento anche nel Regno Unito, dove Teresa May è
contestata al punto che non si sa se sopravvivrà dopo la votazione del
Parlamento britannico sui risultati del negoziato Brexit.
Scomparsa
la Merkel, in bilico per ragioni diverse Macron e la May, è l’intero assetto
europeo che traballa. Altro che Juncker e Tajani!
Fa
un po’ sorridere, in questi frangenti, la corsa dei candidati al Parlamento
europeo da parte del PD e di Forza Italia. Corrono per delle poltrone, non per
fare politica. Non riescono a farla neppure al prossimo congresso del PD che,
almeno, ci prova a fare un congresso (sempre secondo vecchi schemi). Forza
Italia, invece, neppure ci prova. Il congresso è lui, sempre lui, immarcescibilmente
lui, Berlusconi.
A
questo punto, il governo italiano diventa un punto di riferimento per cambiare,
forse in peggio, ma almeno per cambiare.
Roma, 10/12/2018

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