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giovedì 24 gennaio 2019

La Corte di Strasburgo condanna l’Italia: “Violati i diritti di Amanda Knox”. Dovrà pagare 18 mila euro

La sentenza riguarda l’interrogatorio in cui l’allora studentessa accusò Patrick Lumumba dell’omicidio di Meredith Kercher. Ma non vi furono maltrattamenti
Amanda Knox all’epoca del processo per il delitto di Meredith Kercher

Pubblicato il 24/01/2019
Ultima modifica il 24/01/2019 alle ore 18:54
I diritti di difesa di Amanda Knox non furono garantiti dalla polizia italiana, ma non ci sono prove che la giovane americana sia stata maltrattata durante l’interrogatorio del 6 novembre 2007. Si chiude con una decisione salomonica il procedimento intrapreso dalla Knox contro l’Italia davanti alla Corte dei diritti umani di Strasburgo.
L’Italia dovrà quindi risarcire la cittadina americana con 18.400 euro, 10.400 come danno non patrimoniale danno e 8.000 per costi e spese. Knox aveva chiesto 30 mila euro per la procedura davanti alla Corte, e più di due milioni per le spese sostenute dai suoi genitori per i processi in Italia.
Era il 27 gennaio 2018 quando la Corte di Cassazione aveva chiuso definitivamente il caso per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher. I due imputati principali, i fidanzati Raffaele Sollecito e Amanda Knox, condannati a pesantissima pena nel processo di Appello, erano stati assolti sia pure con formula dubitativa. In carcere resta come condannato solo un terzo studente, Renè Guede, condannato a 16 anni per l’omicidio della povera Mez.
A quel punto, l’americana Amanda, che nel frattempo, dopo tre anni trascorsi in un carcere italiano, è tornata a casa. Lì è diventata una star. Buona parte dell’opinione pubblica solidarizza con lei. Le vengono dedicate trasmissioni televisive e fiction. E lei, che ha il dente avvelenato con la polizia e la magistratura italiana, ha fatto anche l’ultimo ricorso, rivolgendosi alla Corte che dipende dal Consiglio d’Europa (da non confondere con l’Unione europea).
Alla base del ricorso, lamentava il trattamento ricevuto dalla polizia nel primo interrogatorio, appunto il 6 novembre 2007,quattro giorni dopo il ritrovamento del corpo della sua coinquilina, accoltellata a morte. Amanda lamentava di non avere avuto assistenza da un avvocato, di non avere avuto ausilio di un interprete «professionale e indipendente», che anzi l’interprete fornitole dalla polizia italiana l’aveva spinta a confessare cose che non capiva, e in sostanza di avere subito un trattamento inaudito di pressioni psicologiche e tensioni che rasentava il «trattamento di tortura» che la Corte di Strasburgo immancabilmente sanziona.
Il giorno successivo all’interrogatorio, la magistratura l’avrebbe arrestata e da quel momento la giovane avrebbe avuto tutte le garanzie dell’indagato, avvocato compreso. Ma il 6 novembre? Secondo la Corte di Strasburgo, i suoi diritti di difesa furono violati. Evidentemente, visti gli indizi di colpevolezza, Amanda doveva essere immediatamente denunciata alla magistratura, iscritta a registro degli indagati, e interrogata dal magistrato. E se fosse andata così, forse la vicenda giudiziaria sarebbe stata meno tortuosa e contraddittoria.
L’interrogatorio sotto accusa è quello in cui la Knox accusò Patrick Lumumba, cittadino congolese che lavorava all’epoca dei fatti in un bar di Perugia, di aver ucciso Meredith. L’uomo venne successivamente assolto, mentre lei fu condannata a tre anni di reclusione per calunnia.

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