La
gazzarra e le illusioni
(di Stelio W. Venceslai)
Qualcuno
dovrebbe spiegare perché se si fa gazzarra per istrada è violenza e, comunque,
qualcosa da cui dissentire. Se si fa in Parlamento, invece, è una manifestazione
legittima di dissenso. Questa sottile distinzione è il patrimonio ideologico di
Forza Italia che, per bocca del suo anziano profeta, promette opposizione dura
al nuovo governo giallo-rosso, ma in Parlamento. In piazza no, è troppo
volgare.
Uno
malizioso potrebbe pensare che ormai Forza Italia, in piazza, raccoglierebbe solo
i parenti più stretti dei suoi eletti. Comunque, fatto il nuovo governo, ora si
devono raccogliere i cocci, vecchi e nuovi.
Quelli
vecchi riguardano il centro-destra, dove l’ambiguità regna sulla vecchia
alleanza con la Lega e spunta un nuovo, ancor minuscolo attore, il gruppo di
Toti, il governatore della Liguria.
I
cocci nuovi, freschi di rottura, sono del PD e del Movimento, uniti da un patto
di sangue anti-Salvini ma, in pratica, divisi su tutto. Questa è una buona cosa
perché, sembra un paradosso, la sensazione diffusa che non possa durare li
stimolerà a durare.
Il
primo evento da considerare è quello europeo. La nomina di Gentiloni ha
ringalluzzito tutti. Finalmente l’Italia tornerebbe ad avere un ruolo
importante nell’Unione, sconfessione implicita dell’attività inutile della
Mogherini, già pupilla di Renzi e assurta come enfant prodige prima a Ministro degli Esteri italiano e, poi, a
Vice Presidente dell’Unione,
responsabile della politica estera della Comunità (che non esiste).
A
Gentiloni è stato assegnato il portafoglio Economia e Finanze, un posto
difficile per un Italiano, che dovrà fare la faccia feroce con il governo che
l’ha designato e rispondere ad un super Commissario, a ciò appositamente
delegato, Dombrowski, un rigorista ben noto nella passata legislatura
comunitaria. Una nomina, dunque, sotto condizione, com’è stato subito
giustamente osservato dai vari commentatori politici. Il Te Deum di ringraziamento va quindi un po’ corretto e un po’ ridotto
al Miserere nobis. Gentiloni non è
uno sciocco ed è uomo di una certa esperienza. Ma non avrà un compito facile.
L’immediata
visita di Conti alla Van der Layden il giorno dopo la fiducia, è stata salutata
come il ritorno del figliol prodigo all’ovile, ma di concreto non c’è nulla. Né
le speranze di minor rigore contabile né le prospettive di una modifica delle
regole di Dublino sull’immigrazione. Il vincolo dell’unanimità rende
improbabile qualunque modifica.
Il
secondo evento da considerare è la questione della
finanziaria, tra l’altro strettamente legata alle regole comunitarie. L’idea peregrina
che la finanza sia un gioco, per cui si possono ridurre le tasse e, quindi, le
entrate dello Stato e, allo stesso tempo, fare gli investimenti sociali,
sostenuta a spada tratta dal governo già giallo-verde, non sembra tramontata.
Le illusioni finanziarie sono dure a morire. Ne citiamo due: i proventi
determinati dai risultati della lotta all’evasione e la tenuta di uno spread a basso livello per tre anni. Le
solite bufale che ascoltiamo a ogni nuovo governo. Su queste speranze si
fondano le promesse finanziarie del Conti bis. Chiacchiere. Il vero problema è
se si riuscirà a tamponare l’aumento dell’IVA. Qualche risparmio c’è stato, ma insufficiente
e i timori di una nuova patrimoniale (la temuta imposizione sugli immobili) sono
sempre molto forti.
Un
terzo punto si presta a ulteriori commenti. Potrà il Conti bis, fresco di firma
sui decreti sul reddito di cittadinanza (con i famosi navigators) e su quota 100, procedere ad una revisione pressoché
ablativa degli stessi? Potranno i 5Stelle accettare un altro ridimensionamento
dei loro conclamati principi? Già in materia di decreti sulla sicurezza si cominciano
a fare dei distinguo pericolosi, sempre nell’illusione che il Trattato di
Dublino venga modificato e che i Paesi del Nord e del patto di Visegrad
acconsentano a fare del continente europeo un centro d’accoglienza. Un
Presidente succeduto a se stesso con quale faccia potrà rimangiarsi ciò che ha
decretato solo qualche settimana fa? Misteri della politica che, però, non
ingannano l’elettorato, sempre più disgustato.
Le
prossime elezioni regionali in Umbria e, dopo qualche mese, in Calabria, Emilia-Romagna
e Toscana, metteranno a dura prova il governo. Se il centro-destra dovesse prevalere,
il che è probabile, almeno in Umbria e, forse, in Emilia-Romagna, si arriverebbe
al paradosso di un Paese governato in periferia dal centro-destra con un governo
centrale di sinistra. La questione delle autonomie regionali diventerà una
macchia d’olio per tutta Italia e un inciampo non da poco per il governo.
Chissà se Matterella si renderà conto della stortura creata dal suo
legittimismo costituzionale?
Comunque
vada, abbiamo un governo, pessimo come il precedente, inquinato dalla stella
declinante del Movimento, cui va bene tutto, pur di governare. Prima con la
Lega, poi con il PD. Per il bene dell’Italia, naturalmente. Una favola buona
cui non crede più nessuno.
Rotto
il matrimonio difficile con la Lega, il Movimento non più virginale ha trovato subito
un altro partner. In mezzo alla
strada, quando si batte, c’è di tutto. Niente amore, solo interessi. Se le cose
andranno male anche con questo, purtroppo, non c’è un altro celibe disponibile,
tranne il Berlusconi che, però, è un po’ attempato e giura che non lo farà mai.
Forse si arriverà alla fine dell’anno, forse alla prossima primavera. Ma non
c’è da farsi illusioni. Il laboratorio Italia è in fermento. Nuove elezioni
diventeranno inevitabili. Di Maio non potrà fare danni più di tanto. Possiamo
restare tranquilli.
Roma, 12/09/2019
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