Coronavirus, il Governo sta pensando a un’app per tracciare i movimenti degli italiani
Coronavirus, il Governo sta pensando a
un’app per tracciare i movimenti degli italiani
In Corea del Sud l’idea di controllare
gli spostamenti dei cittadini ha funzionato, così si studia se e come
applicarla nel nostro Paese. Ma i dubbi sono molti, e non solo per la privacy
Combattere il
Covid-19 con un'app per tracciare i positivi e ricostruirne movimenti ed
interazioni. E' la strada seguita in Corea del Sud. Sul tavolo del ministero
dell'Innovazione stanno arrivando diversi progetti in materia, ma la Polizia
postale è cauta. "Tecnicamente - spiega la direttrice del servizio, Nunzia
Ciardi - è fattibile, ma sarebbe uno strappo importante alle regole che
ispirano il nostro ordinamento sulla tutela della privacy. Ovviamente -
sottolinea - oggi siamo in un'emergenza straordinaria e potrebbe anche
giustificarsi una deroga a quei principi generali. Una valutazione spetta a chi
strategicamente, politicamente e giuridicamente deve gestire l'emergenza".
In discussione c'è
anche la possibilità di seguire, utilizzando le cellule telefoniche, i
cittadini che non rispettano i divieti ad uscire di casa. Il monitoraggio con
questo sistema è stato attivato in Lombardia e il governatore, Attilio Fontana,
mette le mani avanti. "Non è - sottolinea - un Grande Fratello pubblico.
Si notano solo i grandi flussi, non c'è nessuna individuazione e nessuna
volontà" di controllo: "Vogliamo solo capire quanto si muovano i
cellulari sul territorio".
Il Garante della
Privacy, Antonello Soro, frena: "Finora - spiega - ho letto numerosi
generici riferimenti all'esperienza coreana e, più timidamente, cinese.
Bisognerebbe conoscere proposte più definite. Mi limito a osservare che quelle
esperienze sono maturate in ordinamenti con scarsa attenzione, sebbene in grado
diverso, per le libertà individuali. E in ogni caso - aggiunge - mi sfugge
l'utilità di una sorveglianza generalizzata alla quale non dovesse conseguire
sia una gestione efficiente e trasparente di una mole così estesa di dati, sia
un conseguente test diagnostico altrettanto generalizzato e
sincronizzato".
Dal Governo non
arriva ancora un'indicazione in materia, ma gli sviluppatori italiani di app
sono scatenati ed hanno riversato al ministero dell'Innovazione guidato da
Paola Pisano diversi progetti. A uno di questi sta lavorando Luca Foresti,
fisico e amministratore delegato della rete di poliambulatori specialistici
Centro medico Santagostino. "Vogliamo - informa l'esperto - costruire un
sistema tecnologico che possa andare nelle mani delle istituzioni per aiutarle
a gestire la crisi, tenuto conto del fatto che non sarà breve e avrà una
crescita, è importante avere strumenti che permettono di tracciare cosa succede
sul territorio". La tecnologia alla base dell'app permette, a partire dai
dati georeferenziati e anonimi, di individuare movimenti e interazioni delle
persone, raccoglie un loro diario clinico come l'insorgenza della febbre e
altri sintomi, e sulla base delle informazioni georeferenziate ad esempio
capisce, molto prima dell'arrivo in ospedale, che in una zona c'è un focolaio.
Del team che sta elaborando l'applicazione fanno parte anche Giuseppe Vaciago,
avvocato ed esperto nella protezione dei dati sensibili in Italia, e le società
tecnologiche Jakkla, Bending Spoons e Geouniq.
Un'analoga
applicazione è stata sviluppata dall'Università di Urbino ('Digital Arianna
diAry'). "Consentiamo all'utente - spiegano gli autori - di conservare sul
proprio dispositivo tutte le informazioni utili a tutelare sè stesso e gli
altri. E' come se tutti gli smartphone fossero una grande banca dati
distribuita in cui ciascuno gestisce i propri dati senza farli viaggiare in
rete, ma sapendo che potranno essere incrociati in caso di necessità".
Il tracciamento
degli utenti per contenere l'epidemia del coronavirus si può fare con gli
operatori di telefonia mobile, con le app, oppure chiedendo dati ai big della
tecnologia come Facebook e Google. Ma deve essere stabilità una finalità ed è
necessario un provvedimento legislativo. E nel caso delle app, vecchie e nuove,
ci vuole una disponibilità dell'utente a installarla e farsi localizzare. E'
questo il parere di Antonio Capone, professore ordinario di Telecomunicazioni e
preside della Facoltà di Ingegneria al Politecnico di Milano. "Le
soluzioni tecniche ci sono - osserva Capone - ma bisogna chiarire gli obiettivi
di un'operazione del genere con un numero di contagi così elevato. Tracciare i
flussi è una cosa, tracciare le persone con una sorta di braccialetto
elettronico è un'altra, legalmente non si può fare e ci devono essere
provvedimenti giudiziari appositi, come nel caso di rapimenti o indagini. Sono
le autorità che si stanno occupando dell'emergenza, quelle sanitarie e la
Protezione Civile, a dover stabilire di cosa hanno bisogno. Se vogliono
informazioni sulla base di una cella telefonica e le possono fornire gli
operatori tlc (ieri Asstel, l'associazione che li riunisce, si è detta
disponibile a collaborare con il governo, ndr); oppure la localizzazione
precisa da gps con un'app già esistente come Google Maps o Facebook, oppure
un'applicazione nuova. Bisognerebbe obbligare Facebook e Google o altre società
tecnologiche a dare i dati".
Proprio ieri Mark
Zuckerberg ha specificato che non ha ricevuto dalle agenzie governative nessuna
richiesta di condividere informazioni personali per controllare la diffusione
del virus. "Tutti noi già usiamo tante applicazioni popolari da cui si può
estrapolare la localizzazione - aggiunge l'esperto - ovviamente tutte sono
soggette alla normativa europea sulla privacy (Gdpr) e seguono la regola del
consenso".
Serve creare un'app
nuova? "Se si tratta di seguire qualche individuo forse si', ma per
centinaia o migliaia di persone bisogna obbligarle a installare l'app e dare il
consenso. E sappiamo che anche le applicazioni più popolari ci mettono mesi o
anni per raggiungere la massa".
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