il nuovo libro di
Fabio Isman “Andare per l’Italia degli intrighi”, per il Mulino
I
lingotti di Gelli, Gladio, le Br: viaggio nell’Italia degli intrighi
Le
stragi di piazza Fontana e di piazza della Loggia, il finto rapimento di
Sindona, la strage di via Fani: Fabio Isman li ripercorre in «Andare per
l’Italia degli intrighi»
I
lingotti di Gelli, Gladio, le Br: viaggio nell'Italia degli intrighiDa sinistra,
la strage di Piazza Fontana, (1969), la strage di Via Fani (1978) e il
rtrovamento di uno dei depositi di armi di Gladio (1990)shadow
E
chi se lo ricordava il «Comitato proletario eversivo per una vita migliore»?
Eppure nella storia dei misteri italiani dell’ultimo mezzo secolo spuntò un
giorno perfino questa misteriosa sigla a cavallo fra il burocratese brigatista
e la new age. Se lo inventò il bancarottiere Michele Sindona giurando d’essere
sparito non per scappare da chi lo voleva in galera ma perché sequestrato e
ferito da quell’irreale gruppuscolo terrorista. Tutto finto: a sparargli una
revolverata alla gamba (dopo avergli fatto l’anestesia!) era stato infatti il
medico, massone e amico Joseph Miceli Crimi. Tutto fumo per coprire una fuga
rocambolesca che si sarebbe conclusa con una condanna all’ergastolo e un caffè
al cianuro in carcere a Voghera due giorni (due!) dopo la sentenza.
La
memoria cancellata
Ma
quanti sono gli italiani che ricordano, a distanza di poche manciate di anni,
la storia recente del nostro Paese? Quella che ha segnato le nostre spaccature
politiche, i guai economici, l’indebitamento folle, il declino culturale,
morale, industriale di oggi? Come potrebbe l’Italia di certi quiz televisivi,
convinta che Hitler prese il potere nel 1964 (!) o che Mussolini invitò Ezra
Pound a palazzo Venezia nel 1979 (!), ricordare tragedie quali la strage di
piazza Fontana del 1969 se sei su dieci degli studenti milanesi già nel 2005
l’attribuiva alle Brigate Rosse e due alla mafia?
Il
«contesto»
Va
da sé che il nuovo libro di Fabio Isman «Andare per l’Italia degli intrighi»,
uscito ieri per il Mulino, offre una rilettura di una stagione di sangue,
tradimenti, gialli irrisolti, violenze feroci e complicità infami che aiuta
tutti a non dimenticare. Non solo perché il giornalista, come inviato del
Messaggero, ha visto in presa diretta quasi tutti gli intrighi raccontati (fino
a farsi 131 giorni a Regina Coeli per non aver rivelato chi gli aveva fornito i
verbali dell’interrogatorio del primo br pentito, Patrizio Peci) ma perché ogni
ricordo è accompagnato da dati, cifre, dettagli che oggi appaiono stupefacenti.
A partire dal Contesto, per dirla con Leonardo Sciascia, nel quale si sviluppò
quella stagione di violenza rossa e violenza nera sfociata in centinaia di
attentati, bombe, agguati e morti: «Nel 1960 62 prefetti su 64 erano stati
funzionari nel “ventennio”; e tutti i 241 loro vice, tra i quadri fascisti; 120
su 135 questori provenivano dalle carriere precedenti». Tra loro anche quello
di Milano ai tempi di Piazza Fontana, Marcello Guida: coi fascisti dirigeva il
confino di Ventotene e Sandro Pertini, da presidente, si rifiutò pubblicamente
di stringergli la mano.
Tra
bombe e misteri
E
tornano a galla dettagli lontani e sbiaditi, se non rimossi. L’ordigno alla
Rinascente dell’agosto ‘68 inesploso per un difetto e finito negli archivi per
la «singolarissima rivendicazione preventiva, che rappresenta un hapax, un
unicum: due giorni prima, una lettera alla questura, addirittura affrancata a
carico del destinatario, con il volantino di una sedicente “Brigata anarchica
Ravachol”». I troppi dubbi sull’ipotesi che il presunto bombarolo Pietro
Valpreda, arrivato da Roma a Milano perché convocato proprio quel giorno dalla
magistratura per dei volantini, avesse preso un taxi (facendosi notare dal
taxista Cornelio Rolandi: «L’è lü») per fare 252 metri. Lo smistamento assurdo
del processo a Catanzaro, torrida l’estate e gelida d’inverno al punto che gli
avvocati sbuffavano: «Un giorno senza vento è meno raro / di un amico sincero a
Catanzaro».
La
nascita delle BR
E
poi la strage di Piazza della Loggia a Brescia: «L’unica di cui esista un
documento sonoro: si odono il boato, i lamenti, le urla dal palco ai
manifestanti perché si mettano al riparo…». E i giornali dai nomi bellicosi:
«L’assalto», «Forza uomo», «La Legione», «In piedi!», «Combattentismo attivo»,
«Conquista dello Stato», «La voce della fogna»... E la cattura a un passaggio a
livello di Pinerolo del ricercatissimo Renato Curcio, il fondatore delle BR,
«grazie all’infiltrazione di Silvano Girotto, detto “frate Mitra” per le sue
prodezze, più bellicose che religiose, in Sudamerica». E l’incredibile velina
dei servizi segreti che già nel novembre 1969, come rivelerà un documento da
poco desecretato, identifica tutti i 68 partecipanti a un convegno di possibili
«catto-brigatisti» e le targhe di tutte le 32 auto con le quali hanno raggiunto
l’hotel Stella Maris di Chiavari. E la non meno stupefacente associazione tra
Aldo Moro e l’ignoto «Antelope Cobbler beneficiario di una tangente nello
scandalo Lockheed» sparata in prima pagina da Repubblica (notizia «originata,
pare, da un assistente di Henry Kissinger») proprio la mattina in cui lo
statista democristiano stava per esser rapito dalle Br nella mattanza di via
Fani.
Argo
16, Gladio, Gelli
E
poi il racconto dell’ultima cena in famiglia di Guido Rossa, l’operaio
dell’Italsider di Genova, delegato sindacale, che aveva avuto il fegato di
denunciare un compagno che distribuiva volantini brigatisti. «La figlia Sabina
ricorda un dialogo in casa, tra madre e padre: “Perché tu solo hai firmato,
perché ti sei dovuto esporre tanto?”. “Ognuno deve assumersi le proprie
responsabilità; io ho fatto il mio dovere”». All’alba uscì per andare in
fabbrica. Pochi passi e un sicario delle Br gli sparò quattro colpi alle gambe,
un altro lo ammazzò: tre colpi di calibro 9. Alla schiena e alla testa. E poi
ancora i silenzi su Gladio e sul Douglas C-47 Dakota in gergo «Argo 16»
precipitato a Marghera che portava i «gladiatori» in Sardegna dove la struttura
paramilitare appartenente alla rete internazionale Stay-behind aveva una base
segretissima. Così protetta che l’Aga Khan, il quale voleva aprire al turismo
l’area di Capo Caccia per la vicinanza ad Alghero, fu costretto a ripiegare
sulla Costa Smeralda. E i misteri di Licio Gelli e di quella villa Wanda dove
il «burattinaio» della P2 nascondeva 165 chili di lingotti d’oro nelle fioriere
del giardino.
Domande
irrisolte
Troppe
storie oscure, troppi depistaggi, troppi agenti dei servizi che facevano il
doppio gioco, troppe domande irrisolte... Fra le tante, una quasi del tutto
dimenticata: «Chi ha ucciso come un cane, per esempio, il 2 settembre 1980 a
Roma, Maurizio Di Leo, tipografo del Messaggero, scambiato per un giornalista
che non gli somigliava affatto? Un volantino dei Nar, due giorni dopo, ammette
l’errore. Quarant’anni più tardi, nemmeno un indizio».
Fonte: di Gian
Antonio Stella/ Corriere della Sera del 29 maggio 20
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